Una delle più recenti manifestazioni del mito femminista per cui le donne sono portatrici di pace la si deve all’ex presidente americano Barack Obama, che ebbe a dire: «Le donne sono leader superiori e con loro al potere il mondo sarebbe un posto migliore». Una ruffianeria tra le tante che, a ben guardare, non ha alcun fondamento nella realtà e nella storia. Prima della Prima Guerra Mondiale, ad esempio, le suffragette nel Regno Unito furono coinvolte in una prolungata campagna di violenza politica che includeva attentati dinamitardi, incendi di case e il tentato assassinio del Primo Ministro Herbert Asquith. Quattro persone furono uccise negli attacchi e almeno 24 rimasero ferite. Il successivo ottenimento del diritto di voto, per altro, non attenuò l’aggressività politica femminile. Ulrike Meinhof, co-fondatrice della tedesca Rote Armee Fraktion (Frazione Armata Rossa), un partito di estrema sinistra, fu coinvolta in attentati che uccisero diverse persone, tra cui soldati e civili. Fu arrestata nel 1972 e trascorse il resto della sua vita in custodia.
Noto è anche quanto accaduto a Erin Pizzey, la fondatrice del primo rifugio per vittime di violenza domestica al mondo, il Chiswick Women’s Aid. Pizzey rivelò che, tra le ospiti del rifugio, la maggior parte di loro era altrettanto o più violenta dei loro mariti. In risposta, le femministe organizzarono una campagna di molestie con raduni pubblici e minacce di bomba, costringendo infine Pizzey a fuggire negli Stati Uniti. Ma è negli ultimi dieci anni che le donne si sono maggiormente radicalizzate. Membri femminili dell’Antifa sono state arrestate durante proteste violente, come le rivolte del giorno dell’insediamento del 2017 a Washington, DC, e gli scontri del 2020 a Portland, Oregon mentre dall’altra parte del mondo, in Medio Oriente, le donne hanno svolto un ruolo attivo nel movimento jihadista radicale, in particolare in Siria, Tunisia e Libia. A loro si devono attentati come quello di Mouna Guebla in Tunisia nel 2018.
La violenza politica e femminista.
Più di recente, in seguito alla fuga di notizie della sentenza Dobbs contro Jackson sull’aborto dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, è stato documentato un picco di attacchi violenti contro chiese, cliniche e organizzazioni pro-life, bersaglio di atti di intimidazione un po’ ovunque nel mondo (Italia inclusa). Solo nel 2023, sono stati identificati 436 atti di violenza, tra cui attentati incendiari e vandalismi di edifici. Negli ultimi anni, le manifestazioni in occasione della Giornata internazionale della donna sono aumentate in numero e intensità di violenza. Ad esempio, l’8 marzo scorso, decine di migliaia di femministe hanno organizzato una protesta a Città del Messico, con diversi edifici governativi dati alle fiamme. Il gruppo femminista Black Bloc ha distrutto vetrine, dipinto graffiti e oggetti durante la marcia per le strade. A questi dati si aggiungono alcuni dati storici che dimostrano come le regine siano state più inclini alla guerra rispetto ai re. Tra il 1480 e il 1913, le regine europee avevano il 27% di probabilità in più rispetto ai re di dichiarare guerra.
Nel tentativo di contrastare la copertura mediatica negativa, le femministe hanno fatto pressione sul Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite affinché nel 2000 approvasse la Risoluzione 1325, che afferma il “ruolo importante delle donne” nella “risoluzione dei conflitti e nella costruzione della pace”. Tuttavia, la Risoluzione ONU non fornisce un singolo esempio concreto in cui le donne abbiano contribuito alla mediazione in un conflitto armato, né cita studi che dimostrino che le donne possiedano una disposizione d’animo più “pacifica”. Da Obama in giù, le persone dovrebbero quindi smettere di accettare la romanticizzazione spacciata dal femminismo e accettare che, come dimostrano le ondate di violenza commessa dalle donne, la violenza stessa è una caratteristica umana che prescinde dal sesso. E magari le forze dell’ordine dovrebbero intervenire nel contrasto della violenza perpetrata dalle donne con lo stesso zelo con cui contrastano quella maschile. Se parità dev’essere, parità sia. Anche in quel campo.