Mentre l’evidenza scientifica che dimostra i danni e l’inefficacia terapeutica della “affermazione di genere” (ex-“cambio di sesso”) continua a accumularsi, la propaganda da parte degli attivisti arcobaleno va avanti imperterrita, spinta da chi ha interesse nel mantenere aperti questi nuovi mercati e la relativa finestra di Overton dedicata al trasformare desideri e fantasie personali in “idiritti” umani fondamentali. Una recentissima review sugli effetti degli ormoni per il “cambio di sesso”, focalizzata sull’uso di ormoni femminilizzanti su soggetti maschili, ha riscontrato (confermando i risultati di ricerche precedenti) che l’uso di questi farmaci comporta rischio fino a dieci volte superiore rispetto alla popolazione maschile generale di tromboembolie e infarti, e elevato rischio di tumori maligni, infertilità, atrofia testicolare, fibrosi, problemi cognitivi tra cui perdita di memoria e demenza precoce, patologie cerebrali degenerative, sclerosi multipla, malattie autoimmuni e altro che non riportiamo per ragioni di spazio. “Sì, ma se salviamo queste persone dal suicidio certo e matematico al 100%, ne vale la pena, no?” No, perché anche quest’ultima indagine – come le precedenti – conferma che il rischio di suicidio risulta aumentato, e non diminuito, nei soggetti che subiscono la “terapia affermativa di genere”, a differenza di quanto gli attivisti arcobaleno continuano a predicare.
Nel nostro dossier sulle rivendicazioni politiche dei “Pride” abbiamo illustrato alcune strategie della propaganda, ma c’è un’altra forma da evidenziare, ancora più perniciosa: quella messa in atto da chi, abboccando al ricatto morale intrinseco nella narrazione arcobaleno (“siamo costantemente oppressi e discriminati, vogliamo solo che non ci vengano tolti i nostri idiritti”, “se non vengono assecondate, le ‘persone transgender’ si uccidono, non volete averle sulla coscienza, vero?”), non sottopongono a sufficiente scrutinio razionale il messaggio ideologico, e lo trasmettono a loro volta, credendo di contribuire a una buona causa. Così, con dinamiche analoghe a quelle che trasmettono i “virus” della propaganda femminista (ne abbiamo parlato nel podcast L’anello di troppo), anche i “virus” dell’ideologia arcobaleno infestano e sfruttano i loro ospiti inconsapevoli come “utili idioti” – absit iniuria verbis – per diffondersi sempre più. Un esempio lampante è l’iniziativa “ACT” contro le “terapie di conversione”, di cui abbiamo parlato qui. Trattasi di un cavallo di Troia che sfrutta l’istintiva ripugnanza che i più sentono verso chi pretende di “curare” un omosessuale e “renderlo normale”: col gioco di prestigio di mettere sullo stesso piano i gusti sessuali e la “identità di genere” percepita, spingono l’adozione di norme sovranazionali che rendano illegale ogni trattamento che non sia quello “affermativo”. Questa iniziativa è stata quindi attivamente promossa da molti anche in buona fede (o perlomeno, lasciamo il beneficio del dubbio). Che le associazioni di settore spingano sulla necessità di “affermare” gli adolescenti che si sentono “trans” e sulla innocuità degli ormoni bloccanti è ovvio e ce lo si aspetta, ma quando una convalida di queste teorie arriva anche da soggetti solitamente attenti e critici verso altri tipi di propaganda, il mix è letale.
Dati falsi, in assoluto e in relativo.
Un esempio (scelto unicamente a scopo illustrativo) è questo intervento in cui due soggetti per altri versi capaci nel contrastare e smontare la narrazione femminista, fanno uso delle stesse strategie che solitamente combattono e denunciano, per spingere l’agenda arcobaleno sulla “affermazione di genere” anche nei minori. Basandosi su un testo dell’APA, l’American Psychological Association (la cui deriva ideologica da tempo è sotto gli occhi di tutti) si afferma ad es. al minuto 18’: «Negli Stati Uniti nel 2018 700.000 persone adulte e 350.000 adolescenti sono stati inclusi in queste terapie riparative». Già, peccato che questi numeri siano falsi in assoluto e in relativo. In relativo perché la stessa fonte che l’attivista sta citando – il report “Conversion therapy and LGBT youth” prodotto dal Williams Institute of Law dell’UCLA, istituto “dedicato a ricerche sull’orientamento sessuale e l’identità di genere” – dice testualmente altro, e cioè che «698,000 adulti (tra i 18 e i 59 anni) negli Stati Uniti hanno ricevuto ‘terapie di conversione’, di questi 350.000 le hanno ricevute da adolescenti». Quindi non si parla di 700.000 adulti più 350.000 adolescenti nel solo 2018, come spacciato con nonchalance dall’attivista, ma di 698.000 adulti che nel corso della loro vita sarebbero stati soggetti a tali trattamenti di cui 350.000 quando erano adolescenti. Ma sono numeri falsi anche in assoluto, perché tale report (cfr. nota 5) fa una proiezione totalmente congetturale, sull’intera popolazione statunitense, a partire da dati raccolti da due diversi sondaggi, uno per le persone “LGB” e uno per le persone “trans”.
Ad esempio, il campione di partenza, per i “LGB”, consisteva di 1345 soggetti. Di questi, dice il report, il 6,7% ha dichiarato di aver subito tentativi di “terapie di conversione”. Trattasi quindi di circa 90 – novanta – persone, nella totalità degli Stati Uniti, che in un’intervista telefonica, senza alcuna forma di verifica o prova, hanno dichiarato di aver subito “terapie di conversione”. Questa percentuale è stata poi moltiplicata per la percentuale della popolazione americana che si identifica come abcdefghi+ – ma neanche secondo il sondaggio originale, bensì secondo una stima differente presa da una differente indagine, perché un po’ più alta. Un procedimento simile, ma stavolta basato su un sondaggio anonimo online del 2015 promosso da associazioni di settore, è stato seguito per le persone “trans”. E poi le due stime sono state sommate tra loro, ignorando il fatto che tra i due campioni erano quasi certamente presenti sovrapposizioni. Il lettore può valutare da sé quanto questo modus operandi sia distante o meno da quello delle nonunedimene e sorellanza varia, quando ad es. prendono le stime gonfiate della proiezione Istat del 2014 e simili sondaggi anonimi promossi su siti di associazioni femministe, per poter affermare che “una donna su tre è vittima di violenza di genere”, terrorizzare la popolazione femminile e coinvolgere in un ricatto emotivo gli uomini.
“Totale inattendibilità”.
Nel video si prosegue dicendo (a 25′) che «ogni organizzazione per la salute mentale ha parlato contro queste terapie di conversione», citando a riprova – senza metterlo minimamente in discussione – un documento risalente al 2015, intitolato “Ending conversion therapy” commissionato dall’istituzione governativa USA per la salute mentale e contro l’abuso di sostanze (SAMHSA) in collaborazione con l’HHS, il ministero della salute statunitense. Dal 2015 sono passati dieci anni, e in questi dieci anni la ricerca ha fatto molti passi avanti (e infatti il report non è neanche più accessibile sul sito del SAMHSA, anche se lo si può ancora reperire su web): ricorrere a quel documento a supporto della propria tesi equivale a citare i testi degli anni ’30 e ‘40 in favore della lobotomia come strumento per migliorare la salute mentale dei pazienti (l’ideatore vinse il premio Nobel nel 1949), ignorando l’evidenza scientifica successiva. Non sono quei “transfobbici” di La Fionda a dirlo ma è l’HHS, esattamente lo stesso ente statunitense che nel 2015 convalidò e pubblicò il report citato nel video: il quale di recente ha emanato la propria meta-analisi dell’evidenza scientifica internazionale, esprimendo posizioni aggiornate e totalmente differenti su questi problemi (le abbiamo illustrate qui), incluso l’uso degli ormoni bloccanti della pubertà. Tali farmaci, dice l’attivista più avanti, sono stati usati per decenni per il trattamento di patologie come la pubertà precoce e l’endometriosi: vero, queste sono però patologie fisiche, a differenza dell’”incongruenza di genere” che – a sentire gli ideologi gender – non sarebbe nemmeno una condizione di salute mentale, ma una modalità sana dell’esperienza umana.
L’uso degli ormoni bloccanti della pubertà per avviare la “meravigliosa avventura di esplorare il proprio genere” in minorenni fisicamente sani è attualmente “off-label”, ovverosia non è stata rilasciata alcuna autorizzazione ufficiale per tale uso, che dipende dalla valutazione del rapporto costi/rischi/benefici per il paziente: è quindi da considerarsi un trattamento sperimentale, che va a causare alterazioni fisiche, effetti collaterali e potenziali effetti avversi irreversibili ai minorenni sani cui viene somministrato, oltre a avviarli alla medicalizzazione a vita. Oltre al report HHS del 2025 citato più sopra, lo conferma l’ultima review sul problema in esame, pubblicata pochi mesi fa: che dimostra come gli studi cui i promotori dell’uso degli ormoni bloccanti per i “minori trans” fanno riferimento, poggiano su un livello di evidenza “very low” (“estremamente basso”) nella scala GRADE di valutazione della qualità degli studi scientifici, che corrisponde a totale inattendibilità. In altre parole, trattasi di una pratica purtroppo molto diffusa in ambito clinico che però poggia su presupposti totalmente ideologici e antiscientifici. Esattamente come la lobotomia negli anni ’30.
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