Ogni giorno ci viene riproposta, martello pneumatico dello storytelling pubblico, la stessa fiaba: la violenza è una prerogativa esclusiva dell’uomo e ogni donna è una potenziale vittima fragile, in balia della sopraffazione maschile. Ma basta gettare uno sguardo onesto alle cronache della settimana per vedere frammentarsi questa narrazione posticcia, svelando un mondo reale decisamente meno edulcorato. Si fa finta di non vederle – salvo relegarle a brevi di cronaca – eppure, nelle ultime ore, due casi eclatanti sono balzati agli onori delle pagine di giornale. Nel primo, a Caserta, un uomo è stato accoltellato dalla compagna durante una lite domestica. Sarebbe sufficiente leggere le modalità – tentato omicidio a coltellate sfociato in un viaggio d’urgenza verso la sala operatoria – per capire che il pericolo in casa non è sempre e solo quello raccontato dalla propaganda. Eppure la risposta delle istituzioni e della narrazione dominante ha lo stesso ritornello: «La violenza contro le donne e i figli è sempre maschile», come ha reiterato con dogmatica sicurezza la nota associazione Artemisia al TGR Rai Toscana.
Lo stesso copione si ripete poche settimane dopo: una giovane donna, particolarmente “soddisfatta del risultato conseguito”, gambizza l’ex compagno con tre colpi di pistola dopo che lui aveva espresso la volontà di non riconoscere il figlio. Un agguato premeditato, portato a termine con lucidità e sangue freddo. Ciononostante, il tribunale si affanna subito a cancellare ogni ipotesi di tentato omicidio: la donna, dicono, voleva solo metterlo “sulla sedia a rotelle”, non certo eliminarlo. Un ragionamento che sfiora l’assurdo e che difficilmente, a parti invertite, sarebbe stato anche solo preso in considerazione.
Il mondo reale, questo sconosciuto: quando la violenza è donna
Negli slogan e nei convegni, la realtà resta sempre quella raccontata dalla crociata femminista: la donna è buona, l’uomo è colpevole a prescindere. Eppure, di fronte a simili episodi, il castello di carte mostra le sue fragilità: il “gentil sesso” si muove, agisce, ferisce e colpisce con una violenza tanto fisica quanto psicologica, mentre, all’esterno, si continua imperterriti a ignorare queste verità scomode. Quando la vittima è un uomo, i riflettori si spengono di colpo, le motivazioni vengono quasi giustificate, la gravità minimizzata. Se l’aggressore veste una gonna, si cerca subito la zona grigia, la causa scatenante, il movente passionale: tutto diventa aneddotica lenitiva, mai condanna secca e definitiva che piomberebbe, implacabile, se solo fosse l’uomo il carnefice. Così si costruisce quella che non è altro che una complicità sistemica, una zona d’ombra protetta dai media e dalle istituzioni. L’uomo, che si tratti di accoltellamenti, gambizzazioni o stalking, resta sempre e solo il sospettato, la parte meno credibile. Le donne, invece, mantengono quell’alone di innocenza incapacitante che le protegge anche davanti al più efferato atto criminale.
Questo è il vero volto della parità idolatrata dal femminismo: uno scenario dove l’uomo vittima di violenza viene cancellato, deriso, umiliato da una narrazione selettiva e da una giustizia troppo spesso complice. Quanti altri casi dovremo ancora leggere prima di accettare che la violenza non ha sesso ma, evidentemente, ha ancora un solo colore per la propaganda? Mentre la realtà viene sistematicamente piegata, invitiamo chiunque abbia dubbi a sfogliare le decine di storie raccolte sul nostro Osservatorio Statistico e negli articoli settimanali: ogni settimana raccontiamo quanto sia “invisibile” eppure concreta la violenza femminile sugli uomini. Il mondo reale, quello che si vorrebbe nascondere, vi aspetta tra le nostre pagine. Non lasciatevi ingannare dalle fiabe: qui troverete solo i fatti, e sono ben diversi dai dogmi della crociata femminuccista.