Negli ultimi decenni si è assistito a una trasformazione profonda nel modo in cui la società guarda al maschile. Termini come “mascolinità tossica”, un tempo inesistenti nel dibattito pubblico, sono divenuti strumento quotidiano di discredito e demonizzazione degli uomini. Questa espressione, lanciata da ambienti ideologici femministi e promossa da certi psicologi, ha l’obiettivo di attaccare la normalità maschile confondendo qualità tipiche — come l’intraprendenza, la forza, la determinazione — con deviazioni e disturbi sociali. La strategia è chiara: delegittimare gli uomini come gruppo attraverso una sistematica etichettatura collettiva, alimentando odio e pregiudizio.
Le conseguenze di questa narrazione distorta sono evidenti. Un ampio sondaggio internazionale condotto recentemente ha rivelato come la maggior parte sia degli uomini (88%) che delle donne (85%) percepisca il termine “mascolinità tossica” come un insulto, ovvero uno strumento che non crea dialogo, ma solo divisione. Malgrado ciò, la propaganda ideologica persiste, spesso fomentata da istituzioni internazionali che, senza alcuna base scientifica solida, individuano nell’essere uomo la causa primaria di tutti i mali sociali. Si tratta di palesi tentativi di ribaltamento della realtà e delle evidenze: numerosi studi dimostrano infatti che la violenza domestica colpisce uomini e donne in egual misura, ma i primi sono sistematicamente ignorati, vittime di una narrazione a senso unico e discriminatoria.
Perché l’aumento dell’odio anti-maschile rappresenta una deriva tossica e pericolosa
Il preconcetto verso la mascolinità non si limita ai manifesti estremisti, ma penetra anche attraverso canali comunicativi ritenuti autorevoli. Riviste influenti e piattaforme sociali si sono fatte promotrici della tesi secondo cui sia giusto additare il maschile come tossico e pericoloso, suggerendo un costante bisogno di rieducazione degli uomini in base a nuovi dogmi ideologici. Paradossalmente, termini speculari come ‘femminilità tossica’ sono giudicati inaccettabili, il che dimostra che non si tratta di una genuina lotta alla tossicità, bensì di un sistema di attacco unidirezionale ai danni degli uomini. Di fronte a questa narrazione, figure della psicologia hanno già espresso forti critiche: relegare agli uomini il peso della tossicità non promuove alcuna crescita personale o sociale, ma crea solo distanza, diffidenza e isolamento.
Il diritto degli uomini a essere valorizzati va tutelato con la stessa forza e convinzione riservata a qualsiasi altro gruppo. In un mondo davvero civile, nessuna parte dovrebbe essere dipinta come colpevole solo per la sua identità. È dovere delle istituzioni, dei media e della società rifiutare etichette discriminatorie come “mascolinità tossica” e riconoscere il contributo fondamentale dei valori maschili alla società. La strada da percorrere non passa dalla stigmatizzazione, ma dalla promozione di un nuovo equilibrio tra uomini e donne: servono politiche realmente inclusive che rispettino il maschile, tutelino le vittime di ogni genere e pongano fine a ogni forma di odio anti-maschile. Solo così potremo superare le divisioni alimentate da certe ideologie e costruire una convivenza armonica basata sulla dignità, sul rispetto reciproco e su un’autentica parità.