Di John Stuart-Mill abbiamo già parlato in passato, in termini critici. Ma c’è un aspetto del suo pensiero che va considerato a fondo. «Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva». È questa la bellissima riflessione che il professore Keating (l’attore Robin Williams) rivolge ai suoi studenti nel famoso film L’attimo fuggente. Il mondo è pieno di angolazioni diverse, ergo la nostra angolazione non è l’unica né necessariamente la più valida. La tolleranza consiste proprio nell’accettazione di questo principio, nella capacità di rimettersi in discussione, di immaginare che una persona diversa del proprio sé possa aver ragione. Diceva il filosofo Voltaire nel Trattato sulla tolleranza (1763) che la tolleranza è la capacità di sopportare anche ciò che si disapprova. In fondo siamo tutti «fallibili e inclini all’errore». Afferma il filosofo nel Trattato sulla tolleranza: «La tolleranza è una conseguenza necessaria della nostra condizione umana. Siamo tutti figli della fragilità: fallibili e inclini all’errore. Non resta, dunque, che perdonarci vicendevolmente le nostre follie». È la tolleranza che rende possibile dialogo e confronto. È in nome della tolleranza che nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 durante la Rivoluzione francese viene per la prima volta proclamato il diritto di ogni essere umano alla libertà di opinione e di espressione.
Nelle democrazie contemporanee l’intolleranza ha addolcito le sue forme, ha perso la sua carica di violenza e di fanatismo dogmatico, oggigiorno nessuno va più al rogo, nessuna opinione è più estirpata con la forza. Ma l’intolleranza non ha cessato per questo di esistere e di provocare danni alla vita individuale e sociale, il potere delle opinioni dominanti di censurare, con una vera e propria condanna sociale, le idee e i comportamenti non conformi induce chi dissente a dissimulare o a tacere. Su questo argomento sono degni di nota le riflessioni del filosofo John Stuart-Mill (1806-1873) e la sua opera Saggio sulla libertà (1859). Scrive il filosofo nell’opera appena citata: «Ciò che fa del nostro paese un luogo in cui non esiste libertà intellettuale sono proprio le opinioni e i sentimenti predominanti dei nostri concittadini verso coloro i quali disconoscono le credenze che essi ritengono importanti. […] La nostra intolleranza, puramente sociale, non uccide nessuno, non estirpa alcuna opinione, ma induce gli uomini a dissimulare le loro o a rinunciare a qualsiasi sforzo attivo per diffonderle. […] Nessuno può essere un grande pensatore se non riconosce come suo primo dovere, in quanto tale, di seguire la propria intelligenza a qualsiasi conclusione possa condurre». E ancora: «Dove esiste una tacita convenzione che i principi non devono essere discussi, dove la discussione sui massimi problemi dell’umanità è considerata chiusa, non possiamo trovare quel livello di attività intellettuale…». Per concludere: «La pubblica opinione governa il mondo. L’unico potere degno di questo nome è quello delle masse e di quei governi che si fanno organi delle tendenze e degli istinti delle masse».

La distanza siderale tra Mill e le femministe.
Per Mill il dissenso e il conflitto – sia pure entro regole di reciproco rispetto – costituiscono un vero valore civile, la libertà di pensiero e di parola non è solo un principio etico connesso all’idea della dignità umana, e come tale un diritto individuale inalienabile, essa costituisce anche una garanzia per il progresso della conoscenza. La società codifica come “normali” idee che tende a imporre a tutti in maniera uniforme, i costi sociale della censura dominante quindi sono enormi: la società si priva di spirito di iniziativa, di energie innovative. Nel cammino della conoscenza non vi è posto per le certezze assolute e dogmatiche; ogni conoscenza è fondata sull’esperienza e sul ragionamento, quindi ogni verità non può mai essere considerata definitiva e deve poter essere messa in discussione. Il progresso si nutre del confronto e del dialogo. Solo la falsa convinzione nell’infallibilità di un’opinione o di una tesi può spingere gli uomini a svalutare un’opinione o una tesi diversa, condannandole come inaccettabili. Anche quando un’opinione viene ritenuta vera dalla maggioranza dell’opinione pubblica, e riveste quindi una forte autorevolezza, essa non muta la propria natura di verità non definitiva e non dogmatica, aperta al cambiamento e dovrebbe essere messa comunque in discussione. Mill afferma che negare la libera espressione di un’opinione o, peggio, reprimerla, anche quando si oppone o contraddice un’idea dominante, costituisce un “crimine” contro l’umanità. Il dubbio, la critica, la discussione sono componenti vitali della comunicazione e della ricerca. Quando si esclude il punto di vista altrui, gli uomini «se l’opinione è giusta, sono privati dell’opportunità di passare dall’errore alla verità; se è sbagliata perdono un beneficio quasi altrettanto grande, la percezione più chiara e viva della verità, fatta risaltare dal contrasto con l’errore», scrive il filosofo. Non vi dovrebbe essere dunque alcuna censura nei confronti delle idee, anche delle più lontane dal pensare comune.
La distanza tra il pensiero di Mill e l’attuale chiusura ideologica delle femministe risulta paradossale e degna di nota. John Stuart Mill è stato l’avvocato dei diritti delle donne e figura autorevole della storiografia femminista del XIX secolo, filosofo che abbiamo già approfondito in un intervento precedente per questo motivo, ma è stato anche l’avvocato della discussione libera, della libertà di opinione e di espressione. L’ideologia femminista, socialmente dominante, si comporta alla maniera disapprovata da Mill, spegne ogni confronto intellettuale e civile, limita l’emergere e la diffusione di idee diverse da quelle sue. Una verità che non intende esser contraddetta si propone come un dogma – ossia, un pregiudizio –, e così si comporta il femminismo. I dogmi femministi non vengono mai messi in discussione. Il femminismo non tollera la discussione, non esiste alcun dibattito critico pubblico, né politico né mediatico, men che meno nelle scuole. Qualsiasi critica alla dottrina femminista diventa un attacco alla dignità delle donne, alla loro essenza in quanto donne e ai loro diritti. Il femminismo si è arrogato la prerogativa di associare saldamente la sua ideologia a concetti come uguaglianza, giustizia, rifiuto della violenza, tutela del benessere delle donne, ecc., è chiunque lo critichi passa in automatico dalla parte del torto, contrario all’uguaglianza, alla giustizia o a favore della violenza, in modo da disumanizzare l’oppositore e le sue idee. «Coloro che si sentono discriminati dal femminismo sono quelli che hanno sempre avuto i privilegi», sostengono.

L’inganno della “parità” femminista.
È un sentire comune e socialmente diffuso che se sei a favore dell’uguaglianza tra uomini e donne, allora sei femminista. O, detto in altre parole, «se non sei femminista, sei maschilista». «Il femminismo non è una guerra tra i sessi, è la lotta per l’uguaglianza e, pertanto, bisogna essere femministi, che si sia uomini o donne, perché altrimenti si sarà maschilisti. Non lasciarti ingannare», recita il femminismo. Si tratta di una falsa dicotomia perché il femminismo non è l’ideologia che «lotta per l’uguaglianza», come falsamente affermato, ma l’ideologia che sostiene l’oppressione e la discriminazione storica e attuale delle donne per mano degli uomini in un sistema denominato patriarcato. Quindi si può essere a favore dell’uguaglianza senza condividere l’idea dell’oppressione delle donne e della esistenza di un patriarcato, a favore dell’uguaglianza senza essere femminista, giacché il femminismo non “lotta per l’uguaglianza”, ma “per l’uguaglianza delle donne”, concetto molto diverso, perché per la dottrina femminista soltanto le donne hanno bisogno di uguaglianza. Lo stesso discorso si applica a qualsiasi altra obiezione sollevata ai critici del femminismo. Il femminismo non è a favore della giustizia, ma a favore della giustizia per le donne, non rifiuta la violenza, ma la violenza sulle donne, non è a favore dei diritti, ma a favore dei diritti delle donne, e così via. Essere contrario alla violenza, a favore della pari dignità degli esseri umani o della tutela e della giustizia anche per le donne non vuol dire essere femminista. Il nesso logico indissolubile tra questi concetti e il femminismo, come ci vorrebbero far credere, non esiste. Sulla base del principio etico della libertà di opinione mi arrogo il diritto di criticare il femminismo e, se le femministe fossero veramente convinte della bontà delle loro idee, sarebbero sempre disponibili a un civile confronto… che non arriva mai. «La tirannia dell’opinione» dominante avversata da John Stuart Mill è diventata oggigiorno «la tirannia dell’opinione» femminista. Sarei curioso di sapere cosa ha da dire su questo l’avvocato dei diritti delle donne, John Stuart Mill.