Riteniamo opportuno analizzare qui due fenomeni: da un lato quello della irrilevanza (o addirittura nocumento) dei contenuti di alcuni spazi online comunemente iscritti nell’alveo dell’androsfera, dall’altro quello del fraintendimento del concetto di “sganciamento emotivo” espresso da uno dei padri fondatori e dei punti di riferimento della Questione Maschile in Italia, ossia Rino Della Vecchia. Partiamo dal secondo problema. Rino Della Vecchia definisce lo sganciamento emotivo come «la progressiva liberazione dal giudizio femminile, pensata, sofferta, praticata in ogni ambito ed in ogni aspetto della vita».
Con questa espressione l’autore fa riferimento alla condizione di subordinazione in cui il maschile si trova rispetto al femminile, nella sfera psico-emotiva. Tale condizione è stata evidenziata anche da un altro grande intellettuale dei movimenti per i diritti degli uomini, Warren Farrell, il quale ha osservato come gli uomini cerchino nelle donne una oasi di accettazione rispetto alla condizione di competizione, talvolta feroce e spietata, in cui sono immersi nella vita pubblica. L’idealizzazione del femminile quindi, oltreché da elementi di natura sociale -matriarcato psichico, nella fattispecie – deriva anche da questa dinamica, ovvero è funzionale al bisogno di guarigione/protezione della propria sfera emotiva. Ma cosa significa esattamente liberarsi dal giudizio femminile? Online si trovano diverse opinioni in merito che riportiamo nel patchwork qui di seguito.
La deviazione assolutizzante.
Come si vede, secondo diversi utenti, attivi soprattutto in blog che si richiamano alla sigla MGTOW (“Men Going Their Own Way”, in inglese: uomini che vanno per la propria strada), “sganciamento emotivo” significa non avere più contatti di nessuna natura con le donne finché «non diventeranno come gli uomini gay». Significa poi astenersi non solamente dall’assunzione di impegni legali (e questo, stante l’attuale contesto giuridico e orientamento giurisprudenziale, è più che condivisibile) o relazioni stabili, ma anche dalla condivisione di qualsiasi spazio fisico con le stesse. A questa affermazione se ne aggiungono altre in cui si postula l’inferiorità morale («dimostrata dalla scienza») delle donne, il fatto che le donne non siano in grado di provare sentimenti di amore o amicizia, che siano mosse solamente dal calcolo personale, che non abbiano la capacità di proiezione mentale verso il futuro, che andrebbero private del diritto di voto, eccetera eccetera. Si badi bene, non si tratta di considerazioni relative al maschile e al femminile, come archetipi che in quanto tali possono avere un loro significato o riferimento né di rilievi di carattere generali calati all’interno di analisi di tipo strutturalista, ma di assolutizzazioni esplicite su tutte le donne.
Segnalando tutto ciò stiamo forse gridando: “Guardate che brutti misogini?”. No, evidentemente non è questo il punto e non ci interessa minimamente accodarci al liet motiv della narrazione femminista, secondo cui nella nostra società le donne vivrebbero una condizione di oppressione, alimentata da certi movimenti (anche perché si tratta giusto di un paio di utenti di qualche blog semisconosciuto). Quello che cui ci preme sottolineare è che liberarsi dal giudizio femminile, sottrarre il maschile all’approvazione del femminile, non significa nutrire odio o disprezzo generalizzato o ancora peggio assolutizzato per le donne e predicare al contempo una sorta di asessualizzazione o omosessualizzazione (peraltro impossibili entrambe) del genere maschile. Chi afferma di non avere alcun bisogno di riconoscimento affettivo e sessuale da parte del genere femminile, ma al tempo stesso perde ogni controllo di sé quando si fa riferimento agli effetti benefici che sulla psiche tale riconoscimento produce, e a questo aggiunge una narrazione di odio e disprezzo contro le donne (interpretando in maniera antiscientifica alcune idee o concetti), mostra platealmente di essere totalmente schiavo del giudizio femminile.

Una deriva narcisista.
Quello che intendiamo evidenziare non è il fallimento di uno o più individui, che non riescono a uscire dai limiti angusti della propria idiozia o delle proprie curvature narcisistiche, ma quanto certe strategie difensive e di rifugio compensativo da ansie e frustrazioni sociali e relazionali possano prestare il fianco alle qualificazioni di certe sacche di sofferenze o pensiero critico del femminismo come “complottista”, intendendo per complottismo quell’attività di attribuzione ai fenomeni più vari di significati strampalati (e detta così è una definizione che calzerebbe a pennello per il femminismo). L’alto grado di antagonismo interpersonale che i cosiddetti MGTOW di certi blog mostrano verso altri attivisti, sostenuto da grandiosità, bisogno di ammirazione e forte egocentrismo, unito al peculiare stile relazionale, cognitivo ed emotivo della loro comunicazione ha un nome ben preciso: disturbo narcisistico di personalità. Il nucleo emotivo della loro incapacità nel tollerare le critiche ruota spesso intorno a un sentimento di vergogna inaccettabile che si esprime con rabbia e svalutazione dell’interlocutore (di qui gli strali, del tutto irrazionali e immotivati, che sovente gettano contro altri attivisti).
Nel disturbo di personalità narcisistico (presente in gran parte degli MGTOW così come in molti esponenti del pensiero femminista), certe difese della psiche, sempre in allerta e continuamente innescate, si attivano soprattutto nei momenti in cui si avverte un possibile crollo dell’autostima. Quindi, se da un lato tali difese aiutano l’individuo a salvaguardare il proprio sé da un profondo senso di fragilità inconscia e da un senso di pericolo soverchiante, dall’altro finiscono per compromettere la qualità delle relazioni. Il narcisista di tipo MGTOW (lo ripetiamo, esattamente come molte femministe o femministi) comincia così ad attivare comportamenti idealizzanti o svalutanti l’altro, esige una narrazione identica alla sua e si sente onnipotente, ma soprattutto nega: nega la relazionalità e il bisogno di una relazione qualitativa con gli altri, a tal punto da generare, almeno in alcuni casi, una deriva dei rapporti interpersonali di tipo paranoideo, che lo porta ad essere sospettoso, rigido e a non accettare la confutazione del suo pensiero. L’adesione agli spazi MGTOW sembra in definitiva essere in grado di soddisfare il bisogno sociale di mantenere un’alta autostima, che alla base in realtà è molto precaria. Si tratta sovente di individui che cercano schemi e ordine nel loro ambiente e di quelli con livelli di istruzione inferiori, ai quali l’ideazione MGTOW dona l’illusione di soddisfare il bisogno di riconoscimento, accettazione (da parte del femminile o di chi subordina il maschile all’approvazione del femminile), controllo sugli eventi della propria vita.
Alla causa maschile serve costruttività.
Ed è in particolare da questa illusione che, a nostro avviso, prende l’abbrivio la dissociazione tra le credenze e i convincimenti che proclamano e la realtà della loro condizione esistenziale: al di là dei proclami di separatismo e indifferenza o disinteresse verso le donne e il femminile, spesso (per non dire sempre) sono persone che soffrono moltissimo per la loro condizione, che cercano in tutti i modi di essere attraenti o colpire l’attenzione delle donne, elemosinando nella quotidianità briciole di accettazione femminile o versando in uno stato di anedonia: il fatto che gli esponenti degli spazi MGTOW non riescano a realizzare niente di produttivo o efficace sotto il profilo della elaborazione teorica e dell’attivismo stesso, nessun articolo, nessun saggio, nessun contenuto audiovisivo, nessuna attività di volontariato a favore degli uomini vittime di violenza, mostra dal punto di vista culturale la sterilità di quel movimento e dal punto di vista personale quella condizione di compromissione delle facoltà intellettuali (non intellettive, si badi bene) e cognitive a cui abbiamo fatto riferimento. E dimostra a fortiori che la motivazione che spinge alcune persone a fare ciò non avrebbe a che fare tanto con il bagaglio di conoscenze di tali individui, o al rovescio con la loro ignoranza, ma è una questione psicologica, di spinta motivazionale indirizzata alla propria difesa e affermazione personale, conquistata cercando un po’ di prestigio in qualche gruppo virtuale.
Questi sono gli MGTOW (quelli di alcuni blog in particolare). Ma torniamo allo sganciamento emotivo. Posto che non lo si può considerare nei termini in cui viene definito da chi è affetto da un delirio narcisistico della personalità, cosa è realmente? A nostro avviso, si tratta della consapevolezza della realtà delle dinamiche sociali, realtà che non coincide con quella propugnata dalla narrazione dominante, la quale ha ricondotto il maschile a un eterno inemendabile, lo ha ridotto alla sua Ombra e lo ha identificato con essa, rimuovendo invece quella femminile o, peggio, celebrando ogni manifestazione del femminile, male compreso. Consapevolezza che investe sia la poietica (la comprensione dei codici morali e ideologici) che la prammatica (la conoscenza dei mezzi per tutelarsi dal punto di vista sociale e giuridico) della condizione maschile. La difesa degli uomini ha un’unica strada davanti a sé: l’impegno civile e politico, individuale e collettivo. L’estremismo, il nichilismo o il velleitarismo, sono tre errori madornali che essa non può permettersi.