Nella prima parte abbiamo discusso il Ddl sul trattamento dei “minori trans” la cui bozza è stata da poco approvata dal CdM, e la conseguente levata di scudi degli attivisti arcobaleno, che si sono affrettati a paventare la grottesca e immotivata idea di una “schedatura e criminalizzazione degli adolescenti trans”, essendo i registri di patologia e di monitoraggio del farmaco una prassi ormai consolidata da molti anni nel nostro sistema. Gli stessi arcobaleno paventano il rischio che il “comitato etico” chiamato a valutare caso per caso l’idoneità alla prescrizione dei farmaci, in attesa della promulgazione dei protocolli nazionali, venga composto in base a un preciso colore e obiettivo ideologico, denunciando così il rischio di un «tribunale politico» (cit. Zan). Peccato che il comitato etico pediatrico esista già, istituito nel febbraio 2022 in ottemperanza a una legge del 2018, quindi non voluto dai “transfobbici” cattivi di questo governo; ed esiste proprio per esprimersi sulle sperimentazioni cliniche in ambito pediatrico, quale questa certamente è, essendo l’uso di questi farmaci per il trattamento della “disforia di genere” un uso off-label. Nella retorica arcobaleno contro questo Ddl si osservano anche le solite autocontraddizioni irrisolvibili sulla natura della “condizione trans”, che a seconda di come fa loro comodo, dev’essere vista come patologica e potenzialmente letale, quando serve la pietà dell’opinione pubblica (c’è addirittura chi ha parlato di «condanna a morte per tante giovani persone»!) e pretendere vantaggi e trattamenti a spese dei contribuenti; mentre dev’essere considerata una condizione sana, totalmente naturale e perfino gioiosa, quando si deve spingere sulla totale “autodeterminazione” legale.
Se devi poterti “autodeterminare” in merito, non può essere una condizione legata alla salute; ma se devi ottenere trattamenti medici, non può essere una condizione sana e “autodeterminabile”. Le due cose non stanno insieme neppure su un piano meramente logico, ma al povero attivista arcobaleno tocca il lavoraccio di provare a presentarle in modo coerente. Ad esempio si veda come Christian Leonardo Cristalli, responsabile delle “politiche trans” di Arcigay, probabilmente sudando freddo, fa wrestling con la logica in questo intervento supinamente assecondato dal Fatto Quotidiano: «Si medicalizza e si patologizza una condizione che già oggi è accompagnata da una sofferenza sociale enorme» – ma quindi la prescrizione di farmaci, che è appunto una medicalizzazione, va bene oppure no? – «Se devi passare un comitato etico nazionale per avere un farmaco che può salvarti la salute mentale, non sei più libero» – infatti nessuno è libero di prendere farmaci di testa propria, cosa in generale molto pericolosa: vengono somministrati in presenza di diagnosi specifiche – «E poi c’è un giudizio implicito, un’idea per cui essere transgender sia qualcosa da evitare, un problema da gestire. Ma non è così» – ma come? Non hai appena detto che il farmaco è necessario per “salvare la salute mentale”? Ma allora è un problema o no? Va “medicalizzato” o no? Li volete i farmaci, che vi “salvano la vita”, o siete felici così?

“Idiritti” delle “piccole persone trans”.
Ritirano fuori pure lo spettro agghiacciante delle atroci “terapie” o “pratiche” di “conversione” (di cui abbiamo parlato qui e qui): si vuole convincere la gente, con un falso paragone tra situazioni totalmente differenti tra loro – i gusti sessuali e l’“identità di genere” autopercepita – che qualsiasi approccio che non sia immediatamente “affermativo”, senza nessuna regolamentazione e nessuna diagnosi, equivalga all’idea di voler “curare” un omosessuale e imporgli di cambiare gusti sessuali con la forza. Ad esempio Rosario Coco, presidente di Gaynet.it e il collettivo noto come “Transatlantike”, in un post congiunto, affermano che pretendere che la prescrizione di farmaci segua una valutazione diagnostica precisa e accurata – come avviene per qualsiasi farmaco – equivale a “tortura”: «per accedere alla triptorelina bisognerà dimostrare che la psicoterapia o la psicologia non hanno funzionato … siamo di fronte a una forma di pratica di conversione, cosiddetta terapia riparativa, pratiche riconosciute come torture dalle Nazioni Unite», e come se fosse una cosa positiva, chiudono dicendo che questa linea va contro le linee-guida del Wpath, la gilda di professionisti e ideologi del settore della “medicina trans” coinvolta nel più grande scandalo medico della contemporaneità, che abbiamo documentato in una serie di articoli qui. E in questo contesto vengono anche strumentalizzate le firme di chi, in buona fede, pensando ai poveri gay mandati dagli esorcisti per far loro cambiare gusti sessuali, ha sostenuto l’iniziativa dei cittadini europei “ACT” contro le “terapie di conversione”.
Chiudiamo con la ciliegina sulla torta e cioè il richiamo alla presunta capacità di autodeterminarsi delle “piccole persone”. Così questi propagandisti chiamano i bambini e gli adolescenti, come abbiamo visto qui e come accaduto anche nel corso delle recenti audizioni alla Camera (a 1h30’23”) per i disegni di legge sull’educazione sessuale-affettiva in fase di discussione (dettagli più avanti). Di nuovo Cristalli invoca ad esempio «un’agenda politica trans condivisa, che restituisca al soggetto la sovranità sul proprio corpo», fingendo di dimenticarsi che stiamo parlando di bambini e adolescenti (magari vogliamo dire che un tredicenne ha totale “sovranità sul proprio corpo” e può farci quello che vuole, eh, Cristalli?); e l’avvocato Roberta Parigiani, presidente del Movimento Identità Trans, configura il tutto sotto il consueto schema de “idiritti” minacciati: «Ci si vuole togliere il diritto all’infanzia e all’adolescenza trans». Per un bambino, autodeterminarsi come “trans” sarebbe addirittura uno de “idiritti” umani metafisici fondamentali, che i “transfobbici” cattivi cercano di cancellare.
Lasciate in pace bambini e adolescenti.
Ma il premio in questa categoria lo vince Matteo Mammini, avvocato e attivista per diverse realtà arcobaleno, che in un post sui social scrive col consueto patetismo «Giovani persone trans. Una legge blocca le loro vite», e prosegue, con un dettato degno del Cocciante meno ispirato: «Immagina di avere 15 anni. Sai chi sei. Lo senti nella pelle, nelle ossa, nel cuore. Sei chi sei. Poi un governo decide che non puoi fidarti di te stessə. Che il tuo corpo debba aspettare. Che qualcun altrə decida se sei abbastanza per ricevere ciò che ti serve». Ok Mammini, ma tu sei adulto e laureato, davvero ci vuoi convincere che a 15 anni, nel bel mezzo della pubertà, uno sappia già tutto su chi e che cosa è, e sia maturo abbastanza da poter prendere in modo autonomo e responsabile decisioni così pesanti, con conseguenze irreversibili che durano tutta la vita? No, e non ne sei convinto neppure tu: è solo che quegli adolescenti, che ti seguono sui social, sono il target della tua propaganda. E sai benissimo pure tu che nessuno è libero di “autodeterminarsi” i farmaci e gli interventi che gli servono: per questo occorre il parere di esperti appositamente formati. Anche per i non-“trans”, e non solo a 15 anni ma pure a 60.
Il CdM è al lavoro anche su altre bozze di Ddl: il C.2423 e il C.2271, volti a istituire l’obbligo di ottenere il consenso informato delle famiglie per svolgere ogni attività scolastica che tratti temi come affettività, sessualità, identità o corpo: la famigerata “educazione sessuale-affettiva” che, secondo i proponenti, avrebbe il potere taumaturgico di diminuire i “femminicidi” – ad es. Gino Cecchettin che lo sostiene in ogni suo intervento, o la presidente di Agedo, associazione di genitori di omosessuali, che lo ha affermato nel corso delle recenti audizioni alla Camera (al minuto 25’55”) – ma che invece, come abbiamo dimostrato ricerche alla mano, non ha alcuna efficacia preventiva sui crimini violenti. E il C.2278, che in aggiunta istituisce il requisito di aver intrapreso una procedura di rettifica del sesso per poter richiedere una “carriera Alias” (l’escamotage burocratico per cui si può scegliere il sesso e il nome con cui essere identificati a scuola, nell’università o sul posto di lavoro). Gli arcobaleni, anche in merito a questi Ddl, stanno urlando alla «repressione» e all’«attacco istituzionalizzato» contro “idiritti” dei “trans”, al loro solito modo folkloristico: scrive ad esempio la pagina social dell’associazione Gender X, dedicata specificamente a “idiritti” dei “giovani trans”: «Siamo stanchx e anche siamo furiosx». Ormai è chiaro ed evidente: quando “questx” diventano “isterichx”, come guardacaso capita ogni singola volta che si allenta la loro presa su bambini e adolescenti, è segno che la società civile ha preso una decisione che va nella strada giusta.