La cronaca della settimana ci regala, ancora una volta, un film già visto ma che il mainstream si ostina a lasciare inedito: la violenza femminile contro minori e anziani. Altro che «gentilsesso». Tra maestre pronte a legare bambini alle sedie – sì, proprio così, succede a Roma dove un bambino viene immobilizzato con cura dall’insegnante dell’istituto Pietro Pallavicini con le solite scuse zuccherose di chi lo fa «per il loro bene» (qui il caso), o a Napoli, con una bimba legata alla sedia in mensa – e nessuna denuncia dei genitori (vedete il “mondo reale”). Altro che slogan da prime time sulla violenza «sempre maschile»: qui il paradosso è che i minori, tra nidi e scuole, sono alla mercé di chi, sulla carta, dovrebbe proteggerli.
E poi ci sono i casi che rasentano l’incredibile, se non fossero tragicamente veri. È di questi giorni la notizia di una madre che tenta di abusare del proprio piccolissimo figlio, scoperta dal padre solo per puro caso. Ebbene, il tribunale non ha dubbi: la donna era perfettamente lucida. Eppure giornali e opinionisti si esercitano con il linguaggio del «dubbio», tutto al femminile, si sa. A Treviso, la sentenza è chiara ma la retorica piange e arrampica sugli specchi (leggete qui). Dobbiamo forse stupirci? Nell’Italia delle attenuanti a senso unico, persino le madri pluri-condannate ottengono sconti di pena generosi se le vittime sono i figli, come evidenzia il clamoroso dimezzamento di pena a Milano nel caso di una bambina lasciata morire di stenti per settimane: 24 anni, che sembrano quasi un peccato capitale per taluni giudici troppo comprensivi (ecco la moderna clemenza).

Nel silenzio generale, chi difende minori e anziani dall’aguzzina?
Non servono perizie psichiatriche creative né la retorica dell’«amore materno» per spiegare la costanza con cui, ogni settimana, anziani e bambini finiscono nel mirino della violenza femminile. Raggiungiamo vette tragicomiche: dalla 90enne aggredita a suon di forbici e coltello dalla figlia premurosa (nessun persecutore maschio all’orizzonte, ma il “gentilsesso in azione” che ora prova a spiegare al giudice i propri slanci domestici: articolo da non perdere), fino alla direttrice e alla coordinatrice del centro per disabili in provincia di Cuneo, finite nuovamente agli onori delle cronache – e in manette – per maltrattamenti, botte e violenze ai danni di minori, anziani e disabili. La reiterazione sembra la prassi, mentre lo Stato si limita, al massimo, a spostare poltrone e aprire un nuovo fascicolo. E intanto i media tacciono: nessun talk show, nessun hashtag, solo la nuda realtà dei fatti (ecco la cronaca in video).
Ma il vero spettacolo si consuma in tribunale e sulle pagine dei giornali: si cercano sempre pretesti, attenuanti, cuscinetti psicologici per chi, in nome delle proprie esigenze abbandona o maltratta la prole. C’è persino chi considera atti gravi come abbandonare una neonata vicino ai cassonetti ormai una routine, più preoccupato di far notare che almeno non l’ha strangolata e seppellita in giardino (cronaca stucchevole). O ancora, madri che arrivano a uccidere i propri neonati e poi si domandano, con sguardo candido, «ma io cosa ho fatto di male?» (il processo surreale qui). E infine, la ciliegina sulla torta: in asili privati di Vicenza si scoprono botte e maltrattamenti, rigorosamente a opera delle maestre (ennesima prova del “gentilsesso in azione”). Se volete davvero un quadro globale, non lasciatevi confondere dalla narrazione selettiva. Esplorate gli altri articoli su La Fionda, visitate il nostro Osservatorio Statistico, anche attraverso il nostro chatbot, e scoprirete che il reale va ben oltre le ideologie confezionate per il pubblico. Perché la violenza contro minori e anziani non ha sesso. Gli autori possono indossare la gonna, e lo fanno – con più che significativa frequenza.