Pochi se ne sono accorti, ma dal 23 maggio scorso l’ISTAT ci ha privati di uno strumento utile e trasparente per essere informati sulla cosiddetta “violenza di genere”, intesa ovviamente solo come violenza maschile contro gli uomini. Ci riferiamo in particolare al portale “Violenza sulle donne” che era reperibile a questo link: http://dati-violenzadonne.istat.it. Secondo la WayBackMachine, il 23 maggio scorso, appunto, l’ISTAT ha svuotato la pagina mettendola “in manutenzione“, probabilmente per sempre. Ma perché era così importante? Perché ospitava una banca dati forse un po’ lenta e macchinosa, ma molto completa e personalizzabile nelle ricerche. La fonte dei dati erano il Ministero dell’Interno (per le denunce) e quello della Giustizia (per le condanne) e si potevano aggregare per autori uomini e donne, italiani e stranieri, periodi o aree geografiche specifiche. Tutto molto utile perché aggregando correttamente i dati si vedeva come la montagna di denunce da Codice Rosso (una media di 40.000 all’anno) producesse un topolino di condanne (circa 5.000, lo 0,02% della popolazione maschile adulta in Italia), troppo poche per parlare di violenza dilagante, patriarcato tossico, strage, mattanza, eccetera.
Erano dati di fatto che mostravano tutta la malafede delle tante femministe che gridano all’emergenza facendo riferimento sempre alle denunce e mai alle condanne, fingendo di dimenticare che in Italia la denuncia è libera, può farla chiunque per qualsivoglia motivo, mentre le condanne vengono inflitte soltanto ai colpevoli veri. Ma non solo: la banca dati dell’ISTAT era utile anche da un altro versante, perché presentava dati veri, contabili, tangibili. I numeri riportati riguardavano persone che hanno depositato documenti, che si sono difesi in aula, che hanno subito restrizioni o sentenze, il tutto registrato ufficialmente da due ministeri. Ben altra affidabilità rispetto alle varie indagini campionarie furbette fatte proprio dall’ISTAT anni fa in base alle quali si è asserito che le donne vittime di violenza in Italia sono addirittura milioni. Quei 5.000 condannati all’anno devono essersi dati parecchio da fare per produrre quei milioni che però, numeri alla mano, sono soltanto proiezioni da indagini campionarie ideologicamente orientate (e per questo mai riprese da nessuno a livello internazionale, non a caso). Rimane il fatto che uno strumento efficiente per sbugiardare la narrativa dei centri antiviolenza, dei politici che li proteggono e finanziano, e di tutto lo stream che criminalizza la sfera maschile vittimizzando quella femminile, ora non è più disponibile. Il database che si trovava una volta online alla url http://dati-violenzadonne.istat.it non esiste più.

Perché l’ISTAT nasconde i dati?
Si dirà: ok, però l’ISTAT non può non esporre dati sul tema. Certo che no. Però può renderli più difficili da reperire e più confusi, in modo che nessun cittadino, quand’anche indotto da grande curiosità, trovi tempo e voglia di ricollegare i punti. Ed è esattamente ciò che è stato fatto. Ora i dati sulla “violenza di genere” si trovano a questa pagina del sito ISTAT. Per trovare qualche dato bisogna navigare fino alla pagina “Il percorso giudiziario” e lì scaricarsi singole tabelle sulle denunce, i procedimenti definiti in procura, le condanne e i dati sui detenuti. Caso strano le tabelle sulle denunce sono molto aggiornate (fino al 2022) mentre le altre si fermano prima (2018); addirittura le tabelle sulle condanne non sono declinate per sesso; insomma è difficilissimo arrivare a isolare i totali e a fare dei confronti sensati. Ma non preoccupatevi, ci abbiamo pensato noi, isolando i totali delle denunce, delle archiviazioni e delle condanne. Il risultato è ciò che le femministe e i loro alleati non vogliono farvi sapere: in Italia non c’è nessuna emergenza “violenza maschile contro le donne”. Se il patriarcato c’è, insomma, i suoi rappresentanti italiani sono davvero inefficienti. Guardate con noi la tabella qui sopra e notate subito due cose: primo, gli unici reati su cui c’è continuità di dati sono gli atti persecutori (stalking), i maltrattamenti e la violenza sessuale; secondo, moltissimi dati annuali non sono disponibili (ND) e alla fine gli anni comparabili sono soltanto cinque, dal 2014 al 2018. Grave e inspiegabile deficit per l’ISTAT e per un paese che denuncia a gran voce un’emergenza “violenza patriarcale”…
C’è poi una terza notazione importante: il numero di denunce registrate in un singolo anno non sono state definite a livello giudiziario in quello stesso anno. Lo sappiamo, la giustizia è lenta. Probabilmente quei procedimenti si sono esauriti nel giro di tre-quattro anni, forse anche di più. Non è possibile però seguire la filiera di ogni singolo caso, dunque non si può far altro che affidarsi alle medie, con tutti i pregi e tutti i difetti che lo strumento della media comporta. In questo senso abbiamo elaborato due medie, una relativa all’intera serie dei dati e una relativa ai soli cinque anni comparabili. Risultato? Quello che già sapevamo: la metà delle denunce viene archiviata perché non contiene nemmeno i minimi elementi per far partire un procedimento (niente prove, niente testimoni, casi bagatellari fatti passare per reati orribili, e così via). Ma soprattutto per lo stalking solo tra il 9 e il 13% delle denunce finisce in condanna; tra il 15 e il 20% per i maltrattamenti; tra il 29 e il 25% per la violenza sessuale. E le altre? Per l’appunto archiviate o finite in assoluzione: tra l’87 e il 90% per lo stalking, tra l’80 e l’85% per i maltrattamenti, tra il 71 e il 75% per la violenza sessuale. Tante, troppe. In passato operatrici di giustizia avevano un nome per questo fenomeno: false accuse (FA). Ora nessuna operatrice di giustizia ha più il coraggio di parlarne e ne parliamo solo noi, dati alla mano. Mentre l’ISTAT fa di tutto per nascondere i dati che contano.