La recente proposta di Legge sul consenso nei rapporti sessuali, per il momento “insabbiata” ma sempre pronta per essere riproposta, se approvata, porterebbe a compimento un processo pluridecennale, progressivamente implementato nelle sentenze in attuazione degli ukase del femminismo internazionale. Ciò a partire almeno dalla famigerata “sentenza jeans” del 1999, con la quale i media nazionali fecero sapere al mondo intero (sì, fu così) che in Italia una donna in jeans poteva essere impunemente violata. Libertà di stupro qui da noi. La legge proposta di recente prevede che sia punito (6-12 anni) chi faccia sesso «senza il consenso libero e attuale» della partner. Questa locuzione non è altro che l’espressione esplicita dello schema che la magistratura ha adottato come stella polare dai tempi suddetti. La sua approvazione non farebbe altro che formalizzare, suggellare e canonizzare i “valori” applicati oggi sistematicamente nei tribunali (anche se con qualche eccezione) e questo non sarebbe un male, ma un gran bene.
Il momentaneo stop all’iniziativa di legge ha sollevato attacchi da femministe e Sinistra, e viceversa l’approvazione da alcuni media di Destra (ovviamente), come anche da parte di alcuni attivisti antifemministi. Questi ultimi sbagliano clamorosamente. Essi sono in errore perché l’esplicitazione formale dei criteri adottati in sede di giudizio da decenni è straordinariamente utile alla presa di coscienza degli uomini che possono vedere finalmente lo scheletro dietro la maschera del fantomatico “equilibrio” tra accusa e difesa in tribunale. Scheletro di cui alcuni sospettavano l’esistenza ma che la legge proposta mostra in tutto il suo orrore. La sola proposta infatti ha suscitato reazioni pubbliche e in rete che noi in anni di attivismo non siamo mai riusciti a provocare. Analizziamo dunque le ragioni per le quali l’approvazione della proposta darebbe agli uomini una possibilità aggiuntiva per rendersi conto della condizione in cui vivono. Anzitutto sarebbe una campana a morto. La formulazione è subdolamente depistante e mistificatoria, di sottigliezza al limite del diabolico, come è inevitabile e non è compito banale smascherarla. Il diavolo è furbo. Verrebbe dunque richiesto il “libero consenso” adombrando così l’idea che sin qui esso non fosse richiesto o che fosse coercibile, imponibile, estorcibile. Che il consenso fosse non-consenso, insomma che il reato di stupro non esistesse nel passato e non esista tuttora, condizione scandalosa di inaudita barbarie tale da far sobbalzare lo stesso Hammurabi (Codice H. Disp. 130).

La legge certifica il consenso libero indimostrabile
Ora, l’esigenza di un consenso libero, sembra davvero ragionevole e sensata. Ci mancherebbe che potesse valere un consenso imposto, estorto, forzato: non sarebbe consenso ma violenza. Si tratta di ovvietà da sottoscrivere. Nondimeno ci si accorge che la spontaneità del consenso non può essere provata, non può essere dimostrata in alcun modo, mai, in nessuna relazione. Incredibile ma vero. Chi potrà dimostrare che il mio accordo con altri su qualsiasi scelta sia spontaneo? Gli altri no di certo, io, da parte mia, potrei fingere assenso pur non gradendo la proposta, o potrei accorgermi in seguito che in realtà non volevo ma che ero in un momento particolare, avevo bevuto, ero stanco, non osavo contraddire o deludere amici, parenti, colleghi. Non avevo capito la portata della mia adesione eccetera. Temevo di frustrare le altrui aspettative, di metterli in imbarazzo, di rompere le relazioni. Non volevo andare al mare, ma ho finto di sì, per non frustrare gli amici, non volevo il pranzo di Natale dai suoceri, ma ho finto di gradirlo per ovvie ragioni, eccetera. La “libertà dell’assenso” mio e altrui in campo sessuale o fuori di esso, non può essere dimostrata da nessuno, mai. In nessun ambito, su nessuna scelta. Fatto banale, universale, mai da nessuno negato. La pretesa dunque è folle, le conseguenze per gli uomini sono esiziali (uso il presente proprio perché questo criterio è già stato adottato nei tribunali, come ripetuto sopra).
Non solo nella sfera sessuale, ma in tutti gli ambiti, è vero che si può credere di volere mentre in realtà non si vuole, che si può credere di aver voluto, ma erroneamente, giacché nel profondo, non si voleva, ma non sono mai e non devono essere gli altri a pagarne le conseguenze. Ci mancherebbe. Invece oggi (già oggi) siamo davvero a questo estremo: gli uomini portano e pagano le conseguenze delle incertezze, dei ripensamenti e persino della incoscienza di sé delle partner (oltreché delle vendette, è ovvio). Gli uomini sono già chiamati a provare ciò non si può provare, il libero assenso della donna, condizione che giace nella sua interiorità, come il mio assenso su qualsiasi scelta giace, occulto e insondabile, nella mia. Devono già ora dare una prova (la libertà del consenso) che non è mai richiesta nelle altre relazioni né con le donne né con chichessia e per questioni di qualsiasi natura. Le donne, ad esempio, non devono mai dare prova del libero consenso maschile in nessuna scelta della vita, neppure su questioni ben più importanti e decisive del coito, come, ad esempio nella decisione di avere dei figli, dove il consenso maschile non vale nulla, libero o estorto che sia. Già ora gli uomini devono rispondere delle intenzioni femminili nel sesso, con l’inversione dell’onere della prova, una prova che non si può dare. Pretesa che vale solo in quel contesto giacché nella vita gli altri non rispondono delle nostre intenzioni, vere o false che siano, ne rispondiamo noi stessi. Se non fosse così ogni rapporto umano diventerebbe impossibile. Eppure è così nell’alcova e solamente lì.
Le manifestazioni del consenso nel passato e in altre sfere
Fino all’avvento del femminismo ci si è sempre fondati sul consenso apparente, nel suo significato specifico: quello che appariva, che veniva manifestato, che non veniva negato. Lo stesso criterio impiegato da sempre e tutt’ora nel valutare la volontà in ogni ambito e relazione, in ogni accordo e contratto, dove valgono pienamente e a tutti gli effetti il consenso implicito e quello per atti comportamentali (in diritto: comportamento concludente). Il femminismo ha progressivamente eroso e infine demolito quella regola nella sfera sessuale, con le motivazioni che sappiamo, al punto che il comportamento della donna non ha più alcun valore e da esso non può essere dedotto alcunché. Parole e silenzi, gesti e movenze non significano più nulla, non impegnano la donna, non indicano niente. Se non posso dedurre il consenso dal comportamento della donna, da cosa lo posso dedurre? Da nulla e infatti si è già giunti da tempo (nei tribunali) all’approdo finale, la pretesa del sì esplicito, come accade in Spagna. Senonché quella proposta di Legge lo esplicita, non lo suggerisce nemmeno. Eppure tutti hanno capito al volo che si tratterebbe proprio di questo, tanto che qualcuno ha riesumato l’idea (infantile) delle liberatorie, dei disclaimer. Perché allora la proposta non è esplicita sul sì esplicito? Cosa impedisce che lo si dichiari… esplicitamente? Lo impedisce il disvelamento che ciò comporterebbe (e lo vedremo dopo).
Di fatto verrebbe formalizzato che il libero consenso deve essere “attuale” e con ciò la massa distratta intende che significhi: “in questa occasione”, una volta e poi basta. Alcuni però hanno capito bene, proprio in base a questa proposta. “Attuale” significa: reiterato/continuativo/costante, istante per istante. La proposta di legge non usa però questi aggettivi (che sia una dimenticanza?) e non specifica neppure quale debba essere la frequenza del sì esplicito. Qualche minuto? Decine di secondi? Eppure non ci voleva molto a precisarlo. Che sia anche questa una dimenticanza? O è invece una dissimulazione, una trappola? La pretesa del sì esplicito scavalcherebbe il problema del mutamento inespresso della volontà di lei, che da positiva poteva diventare negativa senza che essa avesse l’obbligo di segnalarlo, stando all’uomo intuirlo, sospettarlo, immaginarlo. Il fatto che la donna non sia oggi tenuta alla parola data neppure per pochi secondi e che l’uomo paghi le conseguenze di questa volubilità, sono per sé sole un abominio (ma lo vediamo solo noi). Il no va presunto, il sì è indimostrabile. La proposta di legge prevede che lui chieda e richieda, richieda e chieda e se lei risponde sì lui finalmente si tranquillizzerà (per un minuto o due). Lui sarà un medicante.
La trappola del sì
Qui sta l’imboscata. Un sì esplicito e reiterato potrebbe venir estorto al pari di qualsiasi comportamento, (perché no?) perciò esso non significa niente. Parole e silenzi, gesti e movenze di lei non significano niente, non comportano nulla, nemmeno il sì esplicito e urlato, se lo vogliamo finalmente capire (e anche se non vogliamo capirlo). Perciò il sì esplicito-reiterato è solo una condizione necessaria ma non sufficiente, che lo sia è una tartuferia diabolica. Cosa è dunque sufficiente? Cosa garantisce all’amante di non violare la femmina? Non parole, non gesti, non liberatorie firmate ogni due minuti. Cosa allora? Nulla. Semplicemente nulla. Niente garantisce al maschio di non star violando la femmina: niente. Non è vera dunque la boutade qualunquista secondo cui ogni uomo è stupratore, è vero invece che ognuno lo è potenzialmente. Siamo giunti da tempo ad una nuova tappa della civilizzazione, dove finalmente quel sesso che una volta era virtualmente peccato (per entrambi) è diventato virtualmente reato, ma per uno solamente. La legge in parola lo suggellerebbe e cià sarebbe utilissimo: a flash in the night!
Ma chi lo chiederebbe, chi lo chiederà quel sì esplicito reiterato? Nessuno, nessun uomo lo ha fatto e nessuno lo farà mai, neppure i paladini di questo nuovo terrore si abbasseranno a tanto. Nessuno mai scenderà a tale livello di umiliazione, sottomissione, annientamento. Di ridicolo. Di più: neppure le donne ne pretenderanno la richiesta, neppure esse vogliono giocare con un uomo ferito, prostrato, infantilizzato, ridicolizzato, castrato. Con un questuante. Neppure le proponenti di questo orrore lo hanno fatto o lo faranno, giacché tutto questo ha un nome preciso: oltraggio. Quella legge adveniente che smaschera la realtà, non sarebbe una leggina, un gioco maldestro, ma un aperto oltraggio agli uomini, ai loro sentimenti, alla loro passione, alla loro dignità. Colpirli finalmente là dove devono essere colpiti! Una luce nel buio attuale.
Scandali necessari, scandali utili.
Si sta già compiendo dunque la promessa femminista della liberazione del sesso dai vincoli della morale clerical-patriarcal-misogina, dalla pruderie piccoloborghese, dalle catene del peccato e della colpa. In questa tappa della Civiltà il sospetto, l’inquietudine, la paura, il tremore sono finalmente entrati in camera da letto. Questa è dunque, al postremo, la celebrata e glorificata, attesa e promessa Liberazione Sessuale femminista. Confido che sia di vostro gradimento.
Sarebbe invece certamente di nostro gradimento la legge in parola, luminosa e illuminante, di cui si prospetta però l’aborto, a nostro danno, perché ciò rafforzerebbe la convinzione infantile dell’imparzialità dei giudizi, della “mia parola contro la sua”, dell’accusa che “deve dimostrare la colpevolezza” dell’accertamento dei “fatti”, dell’esistenza dello stato di Diritto e di altre sciocchezze simili sentenziate perimenti nelle osterie e nelle Accademie (il n’y a pas de différence), come, del pari, sono dannose le sentenze di assoluzione/archiviazione dei querelati per stupro, per le ragioni dette, medesime stesse. La proposta legge “antistupro” non deve essere abortita perché è uno scandalo e come si sa: oportet ut scandala eveniant.