Jack Thorne, Keir Starmer. la Repubblica, Corriere della Sera, Arije Antinori, Tecnica della Scuola, Monica Lanfranco, Agenda Digitale, Il Post, Micromega, Wired, The Telegraph Mirror, Stefania Ascari… Cosa hanno in comune tutti questi soggetti e molti altri che all’indomani dell’uscita della serie “Adolescence” hanno rilasciato dichiarazioni, comunicati, interviste, pubblicato articoli e presentato interrogazioni parlamentari? Ciò che li accomuna è il fatto di mentire praticamente su tutto, persino contraddicendosi tra una dichiarazione e l’altra, al fine di ottenere potere e soldi per sé e criminalizzare i movimenti di critica del femminismo.
Le tesi sostenute da questi soggetti vedono la società occidentale pervasa da una violenza inaudita contro le donne: stupri, omicidi, stragi, atti di terrorismo. Tutto questo sarebbe promosso dai movimenti di critica del femminismo, che hanno creato una rete terroristica internazionale, collegandosi ad altre organizzazioni terroristiche (come l’ISIS, Hamas, e quelle a carattere suprematista nazifascita) e sfruttando la misoginia imperante nel nostro tessuto sociale, una misoginia connessa alla stessa identità maschile.

Lontani dalla realtà.
Nessuna delle tesi sostenute da questi soggetti ha la benché minima aderenza con la realtà. Non l’ha quella sugli accoltellamenti nel Regno Unito, i quali non vengono di certo commessi da pre-adolescienti che frequentano le pagine di critica del femminismo, ma per lo più da ragazzi usati come corrieri e spacciatori, con situazioni familiari di abbandono, storie di abusi e non di rado problemi psichiatrici conseguenti a danni cerebrali (e nel cui alveo vi è un gruppo statisticamente rilevante di ragazzi di etnia non caucasica). Non è reale nemmeno la tesi della “strage di donne” in atto in Italia, agita da uomini sobillati dalle pagine e dai movimenti di critica del femminismo: non c’è stato infatti neanche un caso di questo tipo. L’omicidio De Marco, da certe pagine online classificato come “omicidio incel”, è stato commesso da un uomo che non ha mai frequentato, neanche semplicemente letto, mezza pagina “incel” o di critica del femminsmo, ma che anzi aveva condiviso, poco prima di commettere il suo duplice omicidio, post sul tema della vendetta presi da Psicoadvisors, una pagina femminista. Per non parlare degli stupri, commessi per lo più da uomini non italiani, di sicuro non da utenti delle pagine dei movimenti di critica del femminismo.
Tutte queste tesi, idee e affermazioni sono state confutate più volte con analisi e riflessioni di natura statistica, sociologica, politologica, ma non è servito a niente. Non è possibile che i tentativi di opporsi alla narrazione femminista raggiungano alcuna vittoria definitiva perché il pregiudizio rinasce ogni volta dalle sue ceneri. Proprio perché è irrazionale, non si fonda su nulla di obiettivo e non è dimostrabile, esso non appare confutabile. Ma da dove ha origine? Come è possibile mentire così tanto, allontanarsi così tanto da una rappresentazione veritiera della realtà?
Interessi e insicurezza.
La prima ipotesi di spiegazione che viene in mente è quella più semplice, ovvero che ciò sia posto in essere per ragioni di tornaconto personale. Si pensi ad esempio al professor Antinori, che lavora come “esperto di cyberterrorismo”: è lecito pensare che quando afferma che i movimenti di critica del femminismo sarebbero una organizzazione terroristica volta a trovare adepti online e pianificare stupri, stragi, omicidi e rovesciamenti dell’ordine costituito, stia dicendo tra le righe quanto sia necessario investire nel campo della prevenzione del cyberterrorismo, che è appunto la sua attività. Così fanno tanti altri esponenti del femminismo che criminalizzano i propri avversari in modo da ottenere anche essi più soldi e potere, per di più togliendo di mezzo voci dissonanti.
Che sia una questione di soldi, insomma, può essere in parte vero, ma non è una spiegazione esaustiva. L’odio così feroce verso l’altro, la costituzione di una immagine su cui proiettare ogni negatività, la creazione di una identità fittizia del proprio avversario, visto come causa di ogni male, è insita a nostro avviso nella fragilità (dal punto di vista teorico) del pensiero femminista: consapevole di questa sua debolezza, esso tenta di esorcizzare la propria conseguente insicurezza e di rafforzare così la propria identità tramite l’odio verso l’altro. È sicuro che, se il “suprematista bianco, oppressore patriarcale, terroristia, stragista, femminicida, stupratore, stalker” non esistesse, il femminismo lo inventerebbe.