L’assoluzione è femmina: ultima settimana, ultima puntata della tragicommedia italiana sulla giustizia dal volto materno. Hollywood non avrebbe potuto scrivere trama più delirante: una donna viene assolta con nonchalance dall’accusa più grave – l’induzione alla prostituzione dei tre figli – e rinviata a processo solo per i “modesti” maltrattamenti sui minori, come riporta la cronaca de La Sicilia (qui l’incredibile giudizio). In un’Italia sempre pronta a sbandierare emergenze mediatiche quando le vittime (o meglio, i presunti tali) calzano pantaloni, si spalanca invece un abisso di indifferenza e indulgenza per quanti, tra minori e anziani, vivono sulla propria pelle la violenza femminile. La cronaca si ripete ogni settimana, ma è come se nessuno volesse vedere: alla donna è riservato il diritto di ogni excusatio non petita, tra attenuanti, medicalizzazioni, un pubblico costantemente pronto a voltarsi altrove o, nella migliore delle ipotesi, a minimizzare e un sistema sempre pronto all’assoluzione.
Che si tratti di madri che passano dalla pedagogia alla crudeltà, di maestre sempre pronte a “contenere” bambini con pratiche da lager, o di nonne premurose con la voglia di azzuffarsi con la generazione successiva, il risultato è sempre lo stesso: il sistema giudiziario e il mainstream si prestano a fare da paravento e a spingere per l’assoluzione. Le eccezioni di rigore, quando compaiono, sono titoli fugaci, sottovoce, mentre il racconto dominante preserva una narrazione di assoluta innocenza femminile. L’elenco di casi recenti, ben presente nei nostri articoli, è lungo e raccapricciante, con l’aggravante che la sofferenza delle vere vittime rimane sempre fuori fuoco. Vale tutto, basta che venga commesso con delicata mano rosa – e spesso al riparo da qualsiasi rischio di gogna mediatica.
La doppia morale: quando l’assoluzione si trasforma in complicità
Non appena emergono casi di violenza, abusi o maltrattamenti ai danni di minori e anziani per mano femminile, il meccanismo è sempre quello: una corsa ostentata alle attenuanti e un dibattito pubblico che, invece di tutelare le vittime, preferisce giustificare il carnefice e preparare il terreno all’assoluzione. La vicenda della donna che, pur davanti all’accusa mostruosa di indurre i suoi stessi figli a prostituirsi, viene assolta e lasciata affrontare “solo” i maltrattamenti è la sintesi perfetta di una società pronta a sacrificare la verità sull’altare della retorica ideologica. I bambini, spesso maschi, rimangono orfani di giustizia e uguaglianza, considerati – nella migliore delle ipotesi – vittime di serie B.
Dietro ogni assoluzione o condanna blanda si cela un iceberg di casi non denunciati, sommersi dall’omertà culturale e dal bias che circonda la figura femminile. Alla base della narrativa c’è l’idea che le donne non possano essere aguzzine, e se lo sono è solo perché “fragili”, stressate, o vittime a loro volta. Nel frattempo, chi dovrebbe essere tutelato – i minori e gli anziani – resta invisibile, sacrificato sull’altare di un femminismo che non conosce limiti di narrazione. Basta una rapida carrellata sui processi lampo e le sentenze generose di queste settimane per capire che la tragedia assume contorni grotteschi: dall’archiviazione fulminea alle riduzioni di pena, fino all’insabbiamento mediatico sistematico. Lo dimostrano sia la clamorosa assoluzione di questa settimana, sia la tipica dinamica di minimizzazione dei processi a carico delle donne. L’unica risposta seria è ribaltare questa narrazione stantia, dare voce chi non ne ha e ricostruire una statistica reale e onesta. Invitiamo i lettori ad approfondire la tematica sulla violenza femminile contro minori e anziani sulle nostre pagine e nel nostro Osservatorio Statistico: qui troverete numeri, fatti, analisi e altre storie taciute da chi ha interesse a non farle sapere. Difendere davvero i deboli si può, se si ha il coraggio di guardare dove tutti preferiscono non vedere.