Quando si sottolinea il sentimento oscurantista, autoritario e violento intrinseco alla cultura woke, e le sue radici nel marxismo attraverso la sua evoluzione “culturale”, c’è sempre la volpe che interviene per dire che non c’è nessun collegamento tra la lotta contro “l’odio” e “la discriminazione” delle “minoranze oppresse”, e gli atti criminali di qualche singolo soggetto, probabilmente affetto da disturbi mentali o da considerarsi scheggia impazzita. In effetti questo stesso ragionamento invalida la narrazione della “violenza di genere”, secondo cui qualche centinaio di squilibrati l’anno commette abusi o crimini violenti contro le donne (e vale anche a sessi inversi, come documentiamo quotidianamente), ma la responsabilità dev’essere presa in carico dall’intero genere maschile. La differenza tra le due casistiche sta nel fatto che nel caso della cultura woke, l’uso della violenza come strumento di rivoluzione, e di liberazione dalla “oppressione”, è esplicitamente teorizzato e rivendicato. Attenzione: non si può individuare un legame causale diretto tra queste enunciazioni e gli eventuali crimini violenti commessi da alcuni individui “in nome” di esse (proprio come non si può individuare un legame causale tra maschilismo e “femminicidio”, ad esempio). Ma è certamente significativo sottolineare la realtà di questo sentimento e clima morale: laddove si teorizza e si giustifica l’odio, l’intolleranza e l’uso della violenza come espressioni legittime (se non addirittura necessarie) di dissenso ideologico e di azione politica, si rischia di favorire – questo sì – l’incontro e lo sviluppo di reti di individui che, condividendo lo stesso progetto politico, ma non la stessa tempra personale dei più, si organizzeranno per mettere in atto quell’odio e quella violenza, considerata parte organica di quel progetto politico.
Ed è qui che casca l’asino: tale sentimento è esplicito nella cultura woke e fondato nelle sue premesse ideologiche dichiarate. Pur esistendo una casistica di atti estremisti commessi in nome di rivendicazioni e lotte di qualsiasi colore, è anche vero che solitamente vengono condannati a reti unificate, da tutte le parti politiche, tranne quando si tratta di crimini e sentimenti di odio espressi verso i presunti “oppressori”, nel qual caso, secondo le solite volpi woke, un certo tipo di odio diventa automaticamente giusto, legittimo, o perlomeno il presunto “oppressore” ha una corresponsabilità, insomma un po’ se l’è cercata e se l’è meritata. Sembra confermarlo una recentissima ricerca condotta da YouGov e The Economist, secondo cui l’uso della violenza per raggiungere obiettivi politici è ritenuto giustificabile dal 26% dei giovani “liberali” ma solo dal 7% dei giovani “conservatori”. Ma l’abbiamo visto anche nelle reazioni all’omicidio di Charlie Kirk qualche settimana fa: comprese le espressioni di scetticismo se non di negazione nell’attribuire le motivazioni del killer, Tyler Robinson, a un odio maturato precisamente per le idee e posizioni della vittima (tipiche di un conservatore moderato e religioso) e in particolare quelle contrarie alla teoria gender e ai cosiddetti “idiritti LGBT”.

“Un odio sul quale non si può negoziare”.
Un quadro che era emerso fin da subito e che il tempo ha potuto soltanto confermare: è la stessa madre del killer ad aver testimoniato come le sue posizioni negli ultimi tempi si fossero avvicinate a quelle della sinistra radicale statunitense e in particolare alle rivendicazioni “LGBT”, anche in virtù della relazione amorosa con il convivente Lance Twiggs, un giovane “donna trans” (cioè uomo) legato alla “cultura furry“ (il fetish per la personificazione di animali: ne tratteremo in un prossimo approfondimento); mentre è lo stesso Robinson ad aver così spiegato le sue motivazioni nei messaggi al suo partner transgender (corsivi nostri, qui e nel seguito): «Non ce la facevo più a sopportare il suo odio. C’è un odio sul quale non si può negoziare». L'”odio sul quale non si può negoziare” di cui parla Robinson sarebbe il presunto “odio” di Kirk, formula che come abbiamo visto in articoli precedenti, indica le sue idee legittime e moderate, ma che sotto la lente woke e dopo il salto logico tipico di tale dottrina diventano “odio”, “oppressione” e “discriminazione” equiparabili a crimini e come tali punibili. Si pensi alle idee “idonee”, non si sa bene secondo quale misura, “a determinare il concreto pericolo di condotte discriminatorie” del fu Ddl Zan, che, se fosse passato, sarebbero state punibili anche con il carcere.
Sebbene alcuni indizi facciano pensare a un’iniziativa solitaria e personale di Robinson, alcuni osservatori hanno registrato dei post su X sospetti nei giorni precedenti l’omicidio, da parte di soggetti legati all’attivismo trans che sembravano sapere che il 10 settembre sarebbe successo «qualcosa di grosso» in relazione a Charlie Kirk. L’FBI sta infatti indagando sulla possibilità che l’omicidio sia stato coadiuvato da una rete di attivisti arcobaleno: gli “Armed Queers SLC” (“queer armati di Salt Lake City”), un movimento “LGBTQ” di matrice comunista e a favore dell’uso delle armi, attivo nell’area dove è avvenuto l’omicidio, la cui iconografia e comunicazione lascia pochi dubbi. Ad esempio il volantino di una conferenza organizzata da questo gruppo presso il campus di Salt Lake City il 27 settembre 2023 riporta “Queer Resistance” (“resistenza queer”) ma la Q è sostituita da falce e martello, sotto si legge “Agitate educate organize” (“agitare, educare, organizzare”), e in primo piano figura una giovane ragazza armata con un AK-47. Armed Queers SLC ha rimosso molti dei propri contenuti dal web dopo aver appreso di essere sotto la lente degli investigatori, i quali hanno però acquisito e diffuso alcuni di questi contenuti, e dettagli in merito al movimento e alla sua storia: si apprende ad esempio che la fondatrice è tal Ermiya Fanaeian, immigrata iraniana “di seconda generazione” che sul proprio profilo social sfoggia le parole “Rivoluzione + liberazione trans subito!” e ama raffigurarsi armata di fucile.

Queer armati e pistole rosa.
L’attivismo di Fanaeian comprende «la liberalizzazione dell’aborto, i diritti dei trans nel sistema scolastico e universitario, e una legge contro le ‘terapie di conversione’» (vi ricorda qualcosa?). Una affermazione di Fanaeian è molto esplicita: «Ci sono casi in cui violenze, rivolte, e simili tipi di ribellioni rumorose, sono strumenti necessari se si vuole produrre un cambiamento tangibile». Nel 2020 aveva fondato la cellula locale di Salt Lake City delle “Pink Pistols” (“pistole rosa”), un movimento statunitense di “LGBTQ” sostenitori dell’uso delle armi, ma ne era stata espulsa perché, a detta dei dirigenti, aveva cominciato ad associare al movimento istanze di rivendicazione politica che non gli appartengono. Nel 2022 aveva invece fatto partire un gruppo studentesco per il Partito Socialismo e Liberazione, esplicitamente rivendicato come «anticapitalista e attivo per la rivoluzione delle classi lavoratrici e ispirato a rivoluzionari socialisti e comunisti di metà ‘900», tra cui sono citati Marx e Lenin. Ma anche Fidel Castro e il Black Panther Party: movimento di “Black Power” (“potere nero”) legato alle rivendicazioni di Malcolm X e Martin Luther King ma, a differenza di questi, favorevole all’uso della violenza come strumento di lotta politica e “di liberazione” e aduso ad esempio all’organizzazione di ronde armate, il cui scopo era intimidire e condizionare il lavoro delle forze dell’ordine, in quanto complici del potere oppressivo dei “bianchi privilegiati”. Nonostante questo quadro non proprio moderato e rassicurante, Fanaeian ha accompagnato la candidatura della senatrice Dem Elizabeth Warren alle primarie del 2020, salendo con lei sul palco in occasione della relativa campagna locale a Salt Lake City, e si è vista riconosciuta nel 2022 un’onorificenza istituzionale per il suo attivismo woke a favore dei diritti delle donne e delle “persone trans”, tra cui “lo stimolo all’impegno istituzionale nella ricerca sulle oppressioni di genere”.
Un collegamento di qualche tipo tra reti organizzate di “attivisti” e l’omicidio di Kirk sembra anche confermato dal fatto che (almeno) altri due potenziali attentati, apparentemente con la stessa matrice e nella stessa area, si sono susseguiti nelle settimane scorse. Solo due giorni dopo l’omicidio un ordigno incendiario sarebbe stato impiantato e innescato (ma non sarebbe esploso per un malfunzionamento) sotto un mezzo di servizio di una stazione locale di Fox News, importante network tv e radio statunitense di orientamento conservatore; i due presunti responsabili sarebbero stati arrestati e nelle loro abitazioni, oltre a “cartelli anti-Trump”, sarebbero stati sequestrati anche arsenali di esplosivi e armi da fuoco, oltre a sostanze stupefacenti illegali. Mentre il 30 settembre, poco prima del primo evento di Turning Point USA (il movimento fondato da Charlie Kirk) organizzato dopo l’omicidio, presso il campus dell’Università Statale dell’Utah, con vari politici conservatori e il governatore dell’Utah Spencer Cox tra gli ospiti, un altro ordigno sospetto è stato fatto brillare dagli artificieri, fortunatamente senza incidenti. Ok, si dirà, ma questi gruppi sono soltanto indagati al momento, il collegamento con Tyler Robinson non è ancora accertato; e queste dichiarazioni e posizioni deliranti appartengono alla sinistra radicale woke negli Stati Uniti, ma lì gli estremisti woke sono davvero estremisti, qui in Italia cose del genere non esistono, e nessuno comunque le sosterrebbe mai. Giusto?

La “rivoluzione violenta inevitabile”.
No. Un esempio di questa legittimizzazione della violenza come strumento di “liberazione” dall’“oppressione sistemica”, e di criminalizzazione delle idee contrarie alla dottrina woke, l’avevo mostrato nel precedente articolo sulle reazioni all’omicidio di Charlie Kirk, documentando come un collettivo universitario nostrano, di esplicita matrice comunista, dopo l’omicidio abbia postato sui social l’immagine di Kirk a testa in giù e un “-1”. Ma, si dirà, quello è un collettivo politicizzato e radicale, quindi non vale. Si ascoltino allora le parole, proprio a commento del terribile delitto, di un giovane attivista (un esempio tra i tanti woke italiani che in quei giorni hanno espresso sentimenti analoghi) che si definisce “antifascista” e fa contenuti sulla “violenza di genere”, il “consenso”, la “cultura dello stupro”, il “patriarcato” e simili: «Tocca che abbandoniamo questa retorica pacifista, moderata, liberale, dannosa per noi e che favoreggia unicamente l’oppressore, del discorso de ‘le idee diverse’, ‘è stato ucciso per le idee diverse’.
Se tu pensi che una persona che subisca una violenza debba tenere il bambino nonostante tutto, la tua non è un’idea, è un crimine … Non sei una persona con idee diverse dalle mie, sei un criminale. Non siamo nel mondo dove le differenze di idee si risolvono a parole, perché questa gente qua che rende impossibile il confronto a parole, è la stessa che rende impossibile l’avverarsi della democrazia vera e propria. Chi rende impossibile la rivoluzione pacifista, renderà inevitabile la rivoluzione violenta. Per ogni sorella, per ogni persona marginalizzata, per ogni persona razzializzata … per ognuno di loro quello è stato un proiettile giusto». Tutto chiaro?