«La filosofia femminile non è mai mancata, è semplicemente stata ignorata da millenni di cultura patriarcale», scrive il giornale la Repubblica. Per «restituire l’onore meritato» e correggere «l’emarginazione subita dalle donne» nella filosofia vengono pubblicati libri, come il Libro rosa della filosofia, e introdotta a scuola all’interno della materia di filosofia «la storia del femminismo», che «porrà l’accento sulla discriminazione storica che ha comportato l’ingiusta emarginazione di molte filosofe da questa disciplina». È stato il movimento femminista e, in specifico, Simone de Beauvoir, ad aprire le porte a questo nuovo ramo di studi filosofici, sulla specificità e sulla condizione femminile, denominato filosofia delle donne o filosofia di genere. Si tratterebbe di un’area della filosofia che si interessa delle esperienze, delle prospettive e dei contributi delle donne, spesso in contrapposizione alla filosofia tradizionale dominata da uomini, un ambito di riflessione praticato prevalentemente dalle stesse donne. L’espressione filosofia delle donne, in realtà, sarebbe ambigua, a seconda offrirebbe due accezioni differenti: l’una racchiuderebbe la filosofia elaborata da qualsiasi pensatrice, al di là del contenuto, dalle riflessioni sul totalitarismo e sul male della filosofa Hannah Arendt a quelle sulla disumanizzazione della società moderna e la spiritualità di Simone Weil, ad esempio; l’altra racchiuderebbe unicamente la riflessione filosofica sulla donna, cioè il pensiero femminista, anche quello elaborato da uomini. Insomma, questa disciplina riguarda il pensiero delle donne o il pensiero sulle donne? Inoltre, il termine “genere”, nella denominazione filosofia di genere, come succede spesso in qualsiasi altro ambito (studi di genere, violenza di genere…), ha smarrito completamente il suo significato ed è diventato un sinonimo di donne: la filosofia di genere sta per la filosofia delle donne.
In questo modo la filosofia delle donne ha fatto l’ingresso nei libri di filosofia e nei libri scolastici, con sezioni specifiche, affiancando altre correnti o scuole di pensiero come la filosofia analitica, la scolastica, lo strutturalismo, l’ermeneutica, la bioetica, l’esistenzialismo, il positivismo, l’idealismo, ecc. «Il carattere patriarcale del pensiero occidentale non è attestato solo dai testi di filosofi quali Platone, Cartesio ed Hegel, ma anche dalla psicoanalisi freudiana, incapace di riconoscere la specificità della sessualità femminile», si può leggere, sotto la sezione “Filosofia delle donne”, nei libri scolastici di scuola superiore (tratto da Agorà manuale di filosofia 3, Il dibattito contemporaneo, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 2019, a pag. 122). E l’ha fatto, come dicevamo, in maniera ambigua. Innanzitutto, le espressioni filosofia delle donne e filosofia di genere vengono adoperate indistintamente, come se fossero sinonimi: nel libro sopraccitato, la sezione è denominata “filosofia delle donne” mentre nell’elenco del programma in copertina è elencata come filosofia di genere… assieme alla filosofia analitica, neoscolastica, biotica, ecc. Inoltre, assieme al pensiero femminista, che fa la parte del leone, all’interno della sezione filosofia delle donne si trovano i pensieri di altre filosofe che nulla hanno a che fare con il pensiero femminista, come le sopraccitate Hannah Arendt o Simone Weil. Altre filosofe invece, come Ildegarda di Bingen, donne anche loro, si trovano fuori da questa sezione (?), sparse lungo il contenuto generico del libro.
Filosofia e ideologia
L’emergere, nel mondo occidentale, di questo «pensiero femminile» sull’essere donna (rispetto all’uomo) è riuscito a far introiettare nell’immaginario sociale, attraverso anche l’insegnamento scolastico, una serie di concetti – o, meglio, di preconcetti –, tra i quali, appunto, la subordinazione della donna. Recita ad esempio il libro scolastico sopraccitato, stessa sezione, stessa pagina, «l’emancipazione delle donne è lotta per la liberazione dall’oppressione sessuale maschile: un’oppressione esercitata tramite la trasformazione della differenza biologica in differenza di genere, ponendo la donna in posizione subordinata, o – per citare un’altra ipotesi – tramite la minaccia dello stupro, violenza esclusiva della specie umana» (per inciso, quest’ultima enorme stupidaggine, pubblicizzata purtroppo nel libro scolastico (!) senza alcuna smentita di sorta, è una falsità divulgata per la prima volta dalla femminista Susan Brownmiller nel suo libro best-seller Contro la nostra volontà (1975); la violenza sessuale, persino lo “stupro” di gruppo, denominato dagli etologi “coito coercitivo”, è un pattern comune della maggior parte degli animali, compresi i primati). Questi “preconcetti” (la subordinazione delle donne, l’oppressione maschile…) vengono trasmessi ai giovani attraverso l’insegnamento scolastico come delle verità, senza alcun contraddittorio di sorta.
Innanzitutto bisogna evidenziare che la dicitura “filosofia delle donne” stabilisce una premessa sbagliata, confina la ricerca filosofica in un mondo specifico e determinato che può soltanto partorire “conclusioni delle donne”. La visione femminile/femminista diventa così il centro di qualsiasi giudizio etico e il pensiero femminile si promuove come fondatrice di validi criteri normativi universali dove la donna è il centro e la misura di tutte le cose (ginocentrismo). La filosofia, al contrario delle ideologie, dovrebbe essere caratterizzata dalla sua neutralità e universalità, e offrire una visione olistica (ad esempio, in che modo lo sviluppo della rivoluzione scientifica ha migliorato la condizione della donna?). Il femminismo invece spiega la realtà ridotta in comparti isolati, che hanno sempre come punto di partenza la discriminazione e l’oppressione subite dalle donne, e da questa analisi vengono sempre escluse la condizione e la visione maschile. Di fatto, senza fare astrusi ragionamenti, la dicitura “filosofia delle donne” evidenzia già nella denominazione stessa la carenza di quest’imparzialità e universalità. La riflessione e la narrazione storica delle donne non si limitano soltanto alle donne, diventano la riflessione e la narrazione storica di tutti. Quando descrivo gli italiani, sto anche definendo come non sono i tedeschi. In un mondo binario (uomini/donne), come è questo mondo, ogni volta che descrivo le donne come pacifiche, collaborative o brave, in realtà implicitamente sto descrivendo gli uomini come meno pacifici, meno collaborativi o meno bravi. Nella filosofia delle donne, nella narrazione storica delle donne, se la donna è la protagonista, l’uomo diventa, per forza, l’antagonista.
La filosofia “invisibilizzata”…
Per il filosofo John Rawls (1921-2002) la molteplicità delle idee rappresenta il fondamento stesso di una società democratica, pensata come cooperazione tra persone libere e uguali. Secondo Rawls il pluralismo culturale, religioso, filosofico non è solo un dato storico dell’epoca contemporanea, ma un carattere costitutivo della democrazia: essa verrebbe meno, infatti, se qualcuno pensasse di usare il potere politico per imporre un certo credo filosofico o religioso. Ora, questo pluralismo filosofico manca nei libri di testo scolastici quando si parla di donne e di uomini, di questioni di genere, cioè di femminismo e di una visione critica del femminismo, che non è mai presente. Evidentemente, in questi libri non esistono sezioni denominate filosofia degli uomini, come se gli uomini non avessero un particolare punto di vista sulla relazione di vita e storica tra uomini e donne, né può essere considerata tale la parte generica, dove compaiono, come già accennato, anche se in numero molto ridotto, delle filosofe. Esiste certamente una produzione intellettuale critica con il femminismo (che si esprime tramite libri e, soprattutto, sul web), che rimane in questo modo sconosciuta nel mondo dell’istruzione e non trova spazio nei testi scolastici. Ancora più incomprensibile risulta la invisibilizzazione che subisce il mascolinismo, movimento che analizza i problemi e le discriminazioni che subiscono gli uomini. Il femminismo vive questo movimento come un attacco alle donne, coerentemente con la propria ideologia, che assegna agli uomini il ruolo di privilegiati oppressori (quindi, per definizione, senza problemi e senza discriminazioni). L’obiettività di queste denunce maschili significherebbe la smentita dell’impianto ideologico femminista.
Oggigiorno sembra prevalere nel mondo occidentale, anche nei libri di testo scolastici, la pluralità di idee augurata da Rawls, ci sono critiche pubbliche alle più diverse correnti ideologiche e religiose, al comunismo, al fascismo, al cristianesimo, al liberalismo, alla destra, alla sinistra, allo Stato, ecc. Stranamente le critiche alla questione femminista non compaiono, non sembra lecito criticare il femminismo. L’ideologia femminista si è presentata come un messaggio salvifico, di alto contenuto morale, fatto coincidere i diritti umani con le richieste (i diritti) delle donne e schedato i critici come misogini e maschilisti, persone cattive che vogliono soggiogare le donne in un regime quasi di schiavitù. Secondo questa visione del mondo, chi critica il femminismo, critica valori eticamente inattaccabili. Le ideologie sono concezioni del mondo che cercano di incidere sulla realtà, mediante la conquista del consenso intellettuale e morale, e il femminismo si comporta allo stesso modo: è diventata la nuova religione laica e attivistica allo scopo di operare nella società una trasformazione della realtà. Nel prossimo intervento cercherò di analizzare, per l’ennesima volta, semmai ci fosse bisogno, il cuore di questa ideologia. In conclusione, i libri scolastici spacciano per filosofia quello che in realtà è soltanto ideologia, non dando spazio ad alcuna visione critica che faccia da contraltare. Se le parole hanno un senso, i giovani non studiano la “filosofia delle donne” ma “l’ideologia delle donne”. La scuola non fa quindi istruzione, fa indottrinamento, fatto inquietante e molto grave.