La Fionda

Le sculacciate di Shakespeare. Il poeta Aaron Barry contro la spazzatura woke

«Prima o poi qualcuno lo doveva fare. Era inevitabile». Comincia così l’articolo, firmato con lo pseudonimo “Jasper Ceylon”, dove il giovane poeta canadese Aaron Barry racconta il suo “esperimento sociale” che ha dimostrato (ma c’era bisogno?) come la cultura woke abbia impregnato di sé anche l’ambito letterario, conferendo un vantaggio a quelle “identità minoritarie e oppresse” che secondo l’ideologia del vittimismo perenne sarebbero “marginalizzate” e praticamente escluse da ogni ambito della vita civile, dal lavoro alle posizioni di potere, dalla ricerca scientifica alla scena artistica e culturale. L’esperimento di Barry, che aveva già qualche piccola pubblicazione a proprio nome, è consistito nel «testare i limiti dell’industria letteraria, e sondare quanta buffonaggine sia disposta a tollerare». Barry non è il primo ad architettare un imbroglio siffatto, e nel suo stesso articolo fa riferimento ad alcuni casi precedenti, che hanno premuto la spina nel fianco degli alfieri della “vera letteratura”. Il primo è uno dei più celebri episodi della letteratura moderna: l’inganno con cui i poeti australiani James McAuley e Harold Stewart intesero sbeffeggiare, negli anni ’40, gli eccessi delle tendenze “moderniste” della poesia del tempo (che nel frattempo sono comunque peggiorati…), inviando alla rivista Angry Penguins (“Pinguini Arrabbiati”) una raccolta di poesie di uno scrittore inventato, Ern Malley. Le poesie furono valutate entusiasticamente e pubblicate da Max Harris, blasonato poeta e redattore della rivista, che poi passò i guai suoi per questo “errore”, sia perdendo la sua autorevolezza di letterato, sia finendo a processo e multato per la pubblicazione di “oscenità” (la rivista dovette chiudere poco dopo). Le poesie di “Malley”/McAuley e Stewart, composte – lo raccontarono gli stessi autori – «buttando giù le prime cose che ci venivano in mente, aggiungendo parole astruse scelte aprendo dizionari e libri a caso e integrandole in frasi senza senso, usando le rime più bizzarre tratte da un compendio», hanno però avuto un seguito importante e duraturo, anche grazie alla risonanza data dalla vicenda.

Un altro inganno menzionato da Barry, stavolta contemporaneo e con lo stesso bersaglio polemico, ma in ambito accademico e non letterario, è il grievance studies affair. Gli studiosi Peter Boghossian, James Lindsay e Helen Pluckrose inviarono una serie di finti paper scientifici (con titoli e contenuti parodistici come Reazioni umane alla cultura dello stupro e performatività queer nei parchi per cani di Portland, Oregon e Entrare dal retro: decostruire l’omoisteria e la transfobia dei maschi etero mediante l’uso ricettivo di sex toys penetrativi) a riviste accademiche di studi di genere, femministi, decolonialisti, queer e simili, molti dei quali furono seriamente considerati per la pubblicazione e alcuni addirittura pubblicati e accreditati dai comitati scientifici delle riviste ospitanti. L’inganno dimostrò la totale assenza di rigore in questi ambiti accademici, guidati non da una ricerca di oggettività e attendibilità scientifica, ma dalla volontà di spingere una determinata ideologia e la relativa agenda esplicitamente “rivoluzionaria”. Ma tra gli ispiratori di Barry c’è anche un precedente “anti-woke” in ambito letterario, l’inganno perpetrato dal poeta Michael Derrick Hudson nel 2015. Hudson, stufo di vedersi rifiutata una composizione per la pubblicazione (ben quaranta volte), decide di provare a spacciarla per l’opera di una donna di mezza età di origine cinese, Yi-Fen Chou: e guarda un po’, stavolta non solo viene pubblicata (dopo averla proposta “solo” a nove riviste) ma anche selezionata per comparire nell’edizione 2015 della blasonata antologia The Best American Poetry (“la migliore poesia americana”).

letteratura woke
Esempi di letteratura woke (ovviamente per bambini).

Personalità “alternative”.

Ma veniamo all’esperimento di Aaron Barry, così raccontato da lui stesso sotto pseudonimo (la sua reale identità è stata rivelata da The Free Press soltanto qualche giorno fa): «Tra il 2023 e il 2024 ho assunto una serie di nom de plume ‘suggestivi’, sotto i quali ho inviato una cinquantina di poesie a riviste di lingua inglese di tutto il mondo e di diversa caratura, da alcune famose e autorevoli ad altre più piccole e indipendenti. Ho scritto questi testi con materiale intenzionalmente farsesco, inaccurato, carico di pregiudizi, o in alcuni casi del tutto privo di senso, spaziando tra diversi stili e temi tipici della poesia contemporanea. Alcuni con un tono più serio, altri con elementi apertamente parodistici o formulazioni nonsense (ad esempio ‘yah jah gah hah‘, poesia pubblicata da Tofu Ink Art Press, o ‘w/stern man @ foundation‘ [‘l’uomo occid/ntale @ fondamenta’], pubblicata da Arteidolia) ma, in sostanza, tutti con una caratteristica in comune: sono spazzatura. La cosa peggiore è che tutti sono stati pubblicati, online o a stampa. Ciascuno è stato accolto dai redattori con feedback lusinghieri. Ciascuno ha contribuito a far crescere la personalità letteraria di questi pseudonimi, dando loro ulteriori possibilità di pubblicazione a cascata. Tutt’a un tratto, ero ‘dentro il circuito’, e venivo pure pagato bene. Sotto una di queste finte personalità, sono stato perfino candidato a un premio internazionale di poesia, come ‘raccomandazione dell’anno’ da parte di una di queste riviste».

Cosa avranno in comune queste “personalità” adottate da Barry, i nomi d’arte saranno stati “suggestivi” di cosa?… Il lettore avrà già indovinato: lo status dell’autore come “BIPOC” (sigla che sta per “nero, indigeno, persona di colore”) e/o “identità queer”. L’esempio più celebre è “Adele Nwankwo”, “membro gender-fluid della diaspora nigeriana” che usa pronomi they/them, la più prolifica tra le identità create da Barry (qui una sua poesia su una “rivista femminista”); oppure “b.h. fein”, che usa i pronomi it’s/complicated (è/complicato) e la lettera minuscola: identità selezionata per il Best of Net Award 2025, uno dei premi più autorevoli riservati agli autori emergenti della scena online, con una “poesia” dal titolo che suona come: La p*ttan*lla di Shakespeare (asterischi nell’originale) e il cui testo (il lettore può trovarlo qui) comincia così: «?sere o non ?sere la p*ttan*lla di William Shakespeare? Questa è la domanda. Voglio che Billy bardo ??? sculacci ??? il mio grosso ? succoso ?? sedere ??? mentre scrive ? le sue sexy ??? sofisticate ??? commedie» (interrogativi nell’originale). Qui un altro esempio dell’arte immortale di “b.h. fein”. Con un’altra identità, “S.A.B. Marcie”, immaginaria donna di colore e “poco istruita” di Vancouver, Barry ha pubblicato un romanzo (ritirato dal commercio dopo la rivelazione dell’inganno) dal titolo Femoid, descritto come “un’opera metamoderna” su una protagonista meticcia, mentalmente instabile, e la sua ricerca dell’amore romantico.

shakespeare
Un ritratto di William Shakespeare.

Il discrimine anti uomo-bianco-etero.

Per essere certo di non generare un falso positivo, racconta Barry, «ho anche provato a proporre in parallelo una mezza dozzina di composizioni: ad alcuni le inviavo presentandomi come un banale ‘maschio bianco’, ad altri presentandomi sotto suggestive identità LGBTQ+ (o altre ‘minoranze’). Gli stessi identici testi non sono mai stati accettati quando presentati come autore uomo bianco, mentre sono stati tutti accettati, con pochissimi rifiuti, sotto le altre identità. L’esempio più estremo è la poesia intitolata ‘stoico uomo di tiktok‘, rifiutata ventisei volte quando presentata da un uomo bianco, mentre una sola volta prima di essere pubblicata come opera di ‘b.h. fein’». C’è da scommettere che Barry potrà capitalizzare un po’ il suo “esperimento sociale” per la futura carriera di scrittore e infatti ha già pubblicato una raccolta dei suoi testi fake, Echolalia Review, e aperto un Substack. A detta di Barry, pur essendo critico verso la cultura woke, il suo interesse principale nel perpetrare l’esperimento non era tanto in questa battaglia culturale, quanto piuttosto l’intenzione di «esplorare nuove forme di libertà artistica e in particolare quella che si potrebbe chiamare ‘creatività non-denominativa’».

Ma è indubbio che per il più ampio pubblico l’interesse di simili “esperimenti” stia nel mostrare a tutti una volta di più che il re è nudo: se sei un “maschio bianco etero-cis” – quindi uno dei privilegiati, un patriarka, uno dei padroni di tutto – e vuoi farti strada nell’ambito artistico o letterario, devi fare i conti con la «montagna di nepotismo, amichettismo politico e ‘quote’ di inclusività» che, nelle parole di Barry, domina il settore (ogni riferimento a premi letterari assegnati di recente legati a celebri liquori è puramente accidentale), mentre se fai parte di una “minoranza oppressa” e “sistemicamente esclusa da ogni ambito della società civile”, la strada è spianata. Perfino se scrivi spazzatura.



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