La Senatrice Valente è una garanzia, non si smentisce mai. Continua a sostenere Laura Massaro e sente il bisogno di dirlo. Ammirevole nella sua ostinazione, insiste nel propagandare la teoria secondo la quale dietro ogni denuncia femminile si nasconda una reale, concreta e conclamata violenza maschile. Evidenziamo da anni l’accanimento istituzionale nel non voler riconoscere il fenomeno dilagante delle falseaccuse, vale a dire una mole immensa di denunce che finiscono nel nulla: il 50% per archiviazione, il resto per proscioglimento o assoluzione. In percentuali irrisorie, inferiori al 10%, l’iter giudiziario riconosce la effettiva colpevolezza del reo; tuttavia nella larghissima maggioranza dei casi le sedicenti vittime non sono vittime affatto.
In un post, riportato qui sotto, la Senatrice loda il proprio operato, o perlomeno tenta di farlo, riferendosi alla Commissione di Inchiesta sul Femminicidio da lei presieduta nella precedente Legislatura: «Le indagini di quella Commissione (…) hanno chiarito per la prima volta come in oltre un terzo delle separazioni con affido di minori e dei provvedimenti di affido dei tribunali per minorenni siano presenti allegazioni di violenza, cioè attestazioni di violenza subita da madre e figli, che però rimangono invisibili. Un marito violento viene troppo spesso considerato un buon padre e ciò è inaccettabile». Per la cronaca: con un lavoro certosino di verifica una ad una delle sentenze di separazione e divorzio allo scopo di cercare col lanternino le madri vittime di “violenza istituzionale”, la Commissione dopo oltre un anno ha saputo scovare 36 casi che dimostrerebbero le discriminazioni anti materne nei nostri tribunali su oltre 200.000 tra separazioni, divorzi e cessazioni di convivenza. Nota bene: 36 casi, non 36.000. Proprio trentasei e basta.
Una difesa diffamante.
Cita poi espressamente il caso Massaro/Apadula, che ha catalizzato gran parte del lavoro palese ed occulto della Commissione, e lo fa insistendo sul fatto che molte separazioni – in primis proprio la querelle Massaro/Apadula – sono corredate da allegazioni/attestazioni (leggi: denunce) di violenza. Valeria Valente prima di essere eletta in Parlamento non era una fioraia o una cassiera di supermercato, era ed è un avvocato, quindi dovrebbe conoscere la differenza tra una denuncia ed una condanna. In estrema sintesi: una denuncia è la dichiarazione della sedicente vittima, una condanna è la verifica giudiziaria che tale dichiarazione sia fondata e contenga gli estremi di reato. I processi si fanno proprio per questo, altrimenti la sola denuncia basterebbe a spedire in galera il denunciato. Forse è un malcelato desiderio di certa gente, ma purtroppo ancora esiste la noiosa incombenza di dover verificare la fondatezza delle accuse facendo i processi, pensa un po’ che stranezza.
L’intera narrazione istituzionale, della Commissione (e non solo) ha sempre giocato sull’equivoco di equiparare ogni denuncia allo status certo di “vittima” della denunciante ed alla colpevolezza altrettanto certa dell’accusato. Non è così: i fatti (non le opinioni, i fatti) dicono il contrario. Vero è che la vicenda Massaro/Apadula fosse farcita di denunce, ma forse alla Senatrice sfugge che siano cadute tutte nel vuoto. Non una sola volta il sig. Apadula è stato condannato, anzi, non è mai nemmeno stato rinviato a giudizio: tutto sistematicamente archiviato, a riprova del fatto che nelle allegazioni/attestazioni contro di lui non esistessero nemmeno gli elementi minimi per incardinare un processo. Eppure la Valente e altre parlamentari si sono accanite per anni a “difendere” la sig.ra Massaro dall’aggressività dell’ex compagno, definendo Giuseppe Apadula uomo e padre violento nonostante mai un solo iter processuale abbia confermato le accuse che gli sono state mosse.

Un’interrogazione contro la verità dei fatti.
Sbadati organi di informazione hanno ripreso fedelmente tali accuse senza verificarne la corrispondenza con gli atti di causa, infangando così Giuseppe Apadula, la sua immagine, la sua dignità, la sua onorabilità. In merito la Senatrice Valente dimentica di citare un particolare tutt’altro che trascurabile, allora facciamolo noi: sia l’agenzia di stampa Dire che il quotidiano La Repubblica sono stati riconosciuti colpevoli di diffamazione a mezzo stampa e condannati a risarcire il danno causato ad Apadula, innocente ingiustamente accusato di nefandezze mai commesse. Adesso la Senatrice insorge contro l’Avvocatura dello Stato che ha riconosciuto le proprie colpe, proponendo alla CEDU di risarcire Apadula per non aver tutelato il diritto di vedere il figlio.
Non è rilevante l’importo ma è fondamentale l’ammissione di colpa: “abbiamo sbagliato, siamo disposti a pagare per gli errori commessi”. La Senatrice non ci sta ed annuncia di aver presentato un’interrogazione parlamentare, vuole sapere perché l’Avvocatura dello Stato non si sia difesa ma abbia accettato la tesi di Apadula. Possibile che l’Italia abbia accettato senza motivo di risarcire un danno… così, giusto per fare un favore ad Apadula? Forse dei motivi ci sono, noi li conosciamo, prima o poi li avrà chiari anche la Senatrice. Staremo a vedere. Splendida la chicca “I figli non sono pacchi e hanno il diritto di crescere sereni”. Vero Senatrice, ma chi ha rovinato irrimediabilmente la serenità del figlio di Giuseppe e Laura è scritto chiaramente in una dozzina di sentenze, compresa l’ultima.