La Fionda

Popper, falsificazionismo e femminismo

Il filosofo Karl Popper (1902-1994) è stato una delle figure più importanti e influenti nel pensiero filosofico del XX secolo. Uno dei concetti centrali del suo pensiero è il falsificazionismo, l’idea che una teoria è scientifica solo se può essere potenzialmente smentita (falsificata). Invece di cercare prove che confermino una teoria (verificazionismo), la scienza progredisce cercando di falsificarla attraverso esperimenti critici. Popper rivolse la critica principalmente alla psicoanalisi e al marxismo: «Psicoanalisi e marxismo sembrano sempre verificati, qualsiasi cosa accada; sono onniesplicativi, non suscettibili di smentita: sembrano in grado di spiegare addirittura sia un dato evento sia il suo opposto». «Per esempio, la teoria freudiana spiega tanto il comportamento di un uomo che spinge un bambino nell’acqua per affogarlo, quanto quello di un uomo che sacrifica la propria vita nel tentativo di salvarlo. Nel primo caso si dirà che l’aspirante assassino soffre di qualche tipo di repressione, dovuta a un non risolto complesso di Edipo, mentre il comportamento eroico del secondo individuo sarà spiegato come sublimazione delle pulsioni aggressive». Di segno opposto invece l’atteggiamento di Albert Einstein nei confronti della sua teoria della relatività, alla ricerca non di verificazioni, bensì di prove in grado di confutare la teoria sotto esame. Popper parla di un “atteggiamento scientifico” (Einstein, cerca prove in grado di confutare la sua teoria) rispetto a un “atteggiamento dogmatico” (la ricerca di prove ovunque a conferma della teoria proposta). La scienza deve mirare alla falsificazione più che alla verificazione delle teorie. Una teoria che non può essere falsificata non è scientifica.

In quanto disciplina razionale fondata sull’esercizio della ragione (come lo sono altre discipline, come la matematica, la chimica, la storia, ecc.), la filosofia è nella sua essenza ricerca e il suo presupposto è che non possiede già la verità, ma la deva ricercare. La filosofia perciò corrisponde alla consapevolezza di non sapere, dunque rimane una visione del mondo aperta che può in qualsiasi istante modificarsi (attraverso ad esempio il metodo della falsificazione). Le discipline dogmatiche del sapere invece, come possono essere le religioni e le ideologie, partono da presupposti già noti, i dogmi, e da questi sviluppano il loro sapere e la loro visione del mondo. Ogni realtà nel mondo viene quindi sottoposta all’analisi e alla riflessione sotto questo prisma dogmatico. Al contrario delle argomentazioni razionali della filosofia, il mito, le religioni, le ideologie non hanno bisogno di essere dimostrate, i dogmi non vengono sottoposti al metodo della falsificazione, devono soltanto essere creduti. Sono discipline chiuse che dividono il mondo tra adepti ed eretici. Secondo Karl Popper, per il nazismo e il comunismo la storia era retta da una legge necessaria e immutabile, dogma cui gli individui dovevano conformarsi: sotto la legge biologica della superiorità della razza per il nazismo la storia era tracciata dalla “razza eletta”; sotto la legge economica della lotta di classe, per il comunismo la storia era tracciata dalla “classe eletta”.

Karl Popper
Karl Popper

Applicare Popper al femminismo.

La stessa critica che Popper sollevò all’epoca sulla psicoanalisi, sul nazismo e sul marxismo, può essere pacificamente sollevata sul femminismo. Come tutte le ideologie, il femminismo è dogmatico e totalizzante, penetra nel sistema sociale e si propone di trasformare le coscienze individuali, fin dalla scuola. Tutta la realtà del mondo è analizzata sotto il prisma dogmatico dell’oppressione delle donne da parte degli uomini, e tutte le conclusioni alle quali arrivano devono combaciare e rinsaldare la fondatezza di questo dogma di fede: le donne hanno vissuto e vivono oppresse per mano degli uomini in un sistema denominato patriarcato. Non c’è ambito della vita – lo studio, il riposo, i lavori casalinghi, i discorsi, il linguaggio, l’arte, lo sport, il modo di sedersi… – che ne resti escluso da questa analisi, né comportamento umano che non riesca ad essere spiegato sotto questo prisma dogmatico. E come tutte le ideologie totalitarie, il femminismo teorizza l’avvento di un ordine nuovo, l’arrivo di una nuova società paritaria e pacifica: sotto l’ineludibile legge della prevaricazione maschile e dell’innocenza femminile la storia è tracciata dalla liberazione del “sesso eletto”. Così come il nazismo, secondo il filosofo Emmanuel Lévinas, non ha più identificato l’essenza dell’uomo nella sua anima e nella sua libertà, ma nel suo corpo, in una sorta di incatenamento dell’io alla propria identità biologica (somatica, razziale, etnica), così il femminismo ha incatenato l’io alla propria identità biologica (il sesso). I dati biologici e razziali si sostituiscono nel nazismo ai valori dello spirito, i dati biologici e sessuali si sostituiscono nel femminismo ai valori dello spirito.

La dottrina femminista diventa così la metafisica delle donne, fondata su concetti indeterminati e su argomentazioni spesso inconcludenti e, soprattutto, non falsificabili: gli uomini discriminano e opprimono le donne e i bambini, il sesso maschile è privilegiato, la forza fisica è la causa della dominazione maschile, la sofferenza maschile è auto-provocata… Molte delle questioni problematiche sollevate dal femminismo – la violenza, l’ingiustizia, l’infelicità, la sofferenza – non sono false, ma irrisolvibili e connaturate nelle difficoltà della vita. Ragionamenti e soluzioni proposte sono spesso privi di senso, al limite della psicosi, tra il delirio e l’allucinazione: la logica, il peggior nemico del femminismo; le emozioni, l’argomento di maggior peso. La dottrina femminista descrive un rapporto psicotico tra oppressori e oppresse dove da sempre gli uomini (oppressori) danno la vita per le donne (oppresse), al contrario di quello che fanno i padroni per gli schiavi, gli aristocratici per i servi, gli ariani per gli ebrei, i borghesi per gli operai… L’uomo sarebbe stato nella storia dell’umanità l’essere privilegiato, e pure è lui il destinatario prevalente di lavori forzati, condanne a morte, torture, coscrizioni obbligatorie, tassazioni obbligatorie, mendicità… Le lingue, le religioni, i valori, le fiabe, sarebbero tutti strumenti di oppressione patriarcale, malgrado la loro trasmissione sia avvenuta, di generazione in generazione, in modo prevalente grazie all’universo femminile.

oppressione femminile

Il dogma dell’oppressione.

Il dogma dell’oppressione femminile da parte degli uomini regna dittatorialmente nell’analisi storica, e qualsiasi altra spiegazione o argomento alternativi (ad es. l’importanza del progresso tecnologico, tra l’altro realizzato prevalentemente da uomini, nel miglioramento della condizione femminile, oppure l’introduzione e l’uso dell’aratro, oppure l’importanza della carne, attraverso la caccia maschile, nell’alimentazione femminile, oppure la dipendenza emozionale tra madre e figlio, oppure il potere sessuale femminile…) vengono ignorati o scartati. Per le femministe, la liberazione delle donne (il femminismo) è l’unica soluzione possibile ogniqualvolta ritrovano eventi che danneggiano le donne (danni misogini o patriarcali). Quando invece viene fatto notare l’esistenza di eventi che danneggiano maggiormente gli uomini (ora danni antropologici o sociali), per le femministe il femminismo continua a rimanere l’unica soluzione possibile, per liberare gli uomini da loro stessi: le vittime maschili di suicidio, gli uomini non sanno esternare i sentimenti e chiedere aiuto per colpa dell’educazione patriarcale; i soldati vittime delle guerre, sono gli uomini, violenti, che li dichiarano e li combattono; la persecuzione storica all’omosessualità maschile, sono stati gli uomini eterosessuali i responsabili, ecc. Nessuna sofferenza a danno dell’universo maschile riesce in questo modo a controbilanciare la sofferenza femminile. Ogniqualvolta viene mossa un’obiezione di peso che smentisce e confuta la tesi sostenuta dal femminismo (gli uomini non subiscono discriminazione, le donne non uccidono, le donne nei CdA migliorano le prestazioni aziendali, il voto femminile avrebbe reso il mondo migliore…), sorge in automatico una spiegazione femminista alternativa, sottoposta allo stesso prisma dogmatico, che giustifica l’inesattezza di quanto prima sostenuto.

Per i pensatori dell’antichità la vita del singolo era inserita nella vicissitudine universale (la Fortuna) di momenti contrastanti: il piacere effimero è destinato a trasformarsi in dolore, le pene lasciano il posto alla gioia. Nel pensiero medievale (e nella Divina Commedia di Dante) la Fortuna era identificata con la Provvidenza cristiana e la Virtù consisteva nel sottomettersi al governo divino del mondo che escludeva l’influenza del caso. Tutto accadeva perché il governo divino lo voleva. Più tardi, durante il Rinascimento e l’Umanesimo, il pensiero evolve e predomina la massima: homo faber fortunae suae. L’uomo è capace di determinare il proprio destino. La Virtù (la virtus latina, da vis, “forza”) è la capacità umana di eccellere e primeggiare, che si scontra con la Fortuna (da fors, “caso”, “sorte”), ossia con gli ostacoli e le circostanze che costituiscono i casi della vita. Con l’avvento del femminismo il pensiero evolve ancora. Nel pensiero femminista non esiste la Fortuna come tale per le donne, ma un destino di ostacoli e circostanze segnato dal sistema patriarcale nel quale le donne vivono. La Virtù consiste quindi nella capacità che hanno certe donne di erigersi sopra questo sistema oppressivo.

ringrazia una femminista

La non falsificabilità del “patriarcato”.

Ogni riuscita femminile diventa una conquista sul Patriarcato, ogni successo femminile è attribuito alle lotte femministe. Ogni sconfitta, la normale conseguenza di una vita segnata da questa sovrastante opposizione. Se oggi Giorgia Meloni è Presidente del Consiglio in Italia, è da attribuire alle lotte femministe che lo hanno reso possibile. Se Hillary Clinton ha perso le elezioni negli Stati Uniti, è da attribuire alla misoginia e al maschilismo della società americana. Tutte le donne di successo, scrittrici, attrici, scienziate, raccolgono il frutto delle lotte femministe. Tutte le donne che falliscono, falliscono in quanto discriminate. I successi maschili invece sono una conseguenza dei privilegi maschili. La sofferenza e i fallimenti maschili sono auto-provocati, responsabilità loro. Tutta la realtà quindi è sottoposta all’idea onniesplicativa del Patriarcato, ogni evento trova in questa la sua spiegazione che diventa a sua volta l’ennesima conferma della teoria femminista stessa. Dottrina non falsificabile.



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