Accade a Bologna: dopo un fidanzamento di ben 14 anni, una coppia si separa. A stretto giro arriva la denuncia di lei per violenza sessuale: «Nessuna violenza», dice, «ma l’ultimo rapporto sessuale è avvenuto senza il mio consenso». Si va a processo e l’esito è una condanna a quattro anni di carcere per l’uomo. L’avv. Fausto Gianelli, suo difensore, in attesa delle motivazioni della sentenza, ha già preannunciato che ricorrerà in appello: «pur nell’imprescindibile e fondamentale rispetto che alle presunte vittime di un reato odioso e inaccettabile quale quello di stupro va senz’altro assicurato e garantito, desta preoccupazione un’interpretazione estensiva che giunge a considerare violenza sessuale, come tale punibile con le pesantissime pene detentive che questo reato prevede, un rapporto consumatosi senza violenza fisica né alcuna forma di costrizione e minaccia all’interno di una relazione durata 14 anni, dei quali 5 di convivenza (…).
Nel caso giudicato dal Tribunale di Modena, è stato infatti appurato come, dopo la cessazione della relazione e a distanza di alcuni mesi, la donna avesse rielaborato l’ultimo rapporto sessuale consumato con l’ex fidanzato, ritenendolo uno stupro pur in assenza di violenza fisica o verbale da parte del compagno (…) la donna non aveva interrotto il rapporto in quanto a suo dire sopraffatta dall’ansia. Del fatto non aveva poi parlato al compagno né nell’immediato né nei giorni successivi ma, dopo aver interrotto la convivenza, aveva poi sporto querela (…) in questo modo si rischia di allargare in maniera preoccupante i confini di un reato gravissimo, giungendo a qualificare come violenze sessuali rapporti consumati all’interno di una coppia nel quale una delle parti possa sentirsi intimamente abusata pur in assenza di alcuna coercizione e costrizione da parte del partner».
Basta la percezione.
In sintesi: è violenza sessuale quando una donna decide che lo sia. L’intero capitolo del libro “Malapianta“, a cui ho contribuito, è dedicato ad analizzare questo aspetto. Una domanda di ordine pratico: si parla solo del comportamento sbagliato e penalmente perseguibile, ma non è chiaro quale sarebbe il comportamento virtuoso. In sostanza, per dimostrare la propria innocenza cosa avrebbe dovuto fare il partner? Produrre il video di consenso dichiarato? Depositare l’audio di consenso verbale? Mostrare la ricevuta di consenso scritto? Consumare il rapporto davanti a testimoni o, meglio, davanti ad un notaio che certifichi il consenso della donna per tutta la durata del rapporto stesso? Nulla sarebbe valso ad evitargli la condanna per stupro, vista la “percezione” di essere abusata che può intervenire a posteriori anche dopo diversi mesi ed anche senza averla manifestata in alcun modo.
E dunque siamo al diritto e alla giustizia ridotti a un dibattimento come questo:
“Vostro onore, è vero che alle 22 avevamo iniziato un rapporto sessuale, ma alle 22,15 non volevo più”
“lo ha detto al partner?”
“No”
“Il rapporto è continuato con violenze o minacce?”
“No”
“Ha pianto, si è divincolata, si è ribellata, si è lamentata, ha tentato di comunicarlo in qualsiasi altro modo verbale e non verbale?”
“No”
“Non ne ha parlato col partner, neanche dopo?”
“No”
“Come mai i fatti denunciati avvengono nel 2023 e lei va dai carabinieri solo nel 2024?”
“Mah, non saprei … forse perché dopo qualche mese mi è sembrato di ricordare che quella sera ero sopraffatta da angoscia ed ansia”
“Ah, allora la colpa dell’uomo è evidente. Non ha sviluppato capacità telepatiche per leggere nel pensiero ciò che non viene detto né manifestato in alcun altro modo, né prima né dopo, quindi è un terribile stupratore e va condannato”.