Qualche giorno fa su Facebook il profilo “Essere Uomo” ha pubblicato questo post: «Togli al femminismo il vittimismo e distruggi il 90% della sua struttura ideologica. Il femminismo non ha bisogno di soluzioni. Ha bisogno di conflitto permanente. Perché la sua sopravvivenza dipende da una ferita storica che non deve mai guarire. Se guarisse, perderebbe potere narrativo. E questo non può accadere. L’unico modo per mantenerla viva, sanguinante, pulsante, è creare un nemico comune. Ed è qui che arriva il colpo di genio. Il nemico diventa l’archetipo maschile. Lo stesso archetipo a cui viene chiesto di aderire alla causa femminista. Paradossale? Sì. Ma perfettamente funzionale. Perché a ogni uomo che vi aderisce viene chiesto, implicitamente, di rinnegare sé stesso. Viene chiesto di lottare per qualcosa che promette di fare i suoi interessi, senza impegnarsi davvero a mantenerli. Perché adesso ci sono altre priorità. Inutile girarci intorno. Il femminismo, spesso, fa rima con fanatismo. E in una realtà polarizzata da algoritmi e consensi è proprio il fanatismo a dominare. Più sei “offesa”, più sei ascoltata. Più ti dichiari “oppressa”, più accumuli legittimità. Ma tutto questo serve a qualcos’altro. Serve al vero potere. A quello che pratica il divide et impera. A quello che alimenta il mercato dell’attenzione, che capitalizza sulle nostre emozioni. Un uomo che vuole restare lucido deve fare l’impresa di costruire la propria fortezza della solitudine. Uno spazio interno libero dal rumore ideologico. Un territorio lontano, inviolabile, critico, autonomo, dove il pensiero non si piega all’informazione preconfezionata, che punta il dito sempre e solo verso un colpevole: il maschile».
Concordiamo in modo pressoché totale con la prima parte di questa riflessione, quella che mette a fuoco le contraddizioni del femminismo: «Il femminismo non ha bisogno di soluzioni. Ha bisogno di conflitto permanente», è sicuramente una delle chiavi di lettura più esatte per leggere il fenomeno. Tuttavia non concordiamo con le riflessioni conclusive, quando auspicano come soluzione una sorta di isolazionismo dell’uomo per difendersi dal vittimismo femminista ignorandolo. A noi questa pare una soluzione sterile, a volte. Altre volte sembra una fuga. È sterile per il semplice fatto che un essere umano, a prescindere dal suo sesso, non è fatto per stare da solo. Millenni di evoluzione e secoli di cultura hanno reso istintivamente e oggettivamente indispensabile il collegamento con una rete relazionale che include, tra gli snodi più vicini all’individuo, quello del rapporto affettivo. Isolarsi o peggio scappare è come (a proposito) tagliarsi gli attributi per far dispetto alla moglie. Pur nascondendosi, pur isolandosi, pur scappando, le donne restano lì: una moltitudine che, guardiamo in faccia la realtà, si guarda bene dall’abbracciare l’ideologia femminista, che fa i suoi danni in una piccola schiera di femmine irrisolte e irrisolvibili. La stragrande maggioranza delle donne sa ciò che vuole, sa chi è, sa cosa vale, e nei suoi progetti di vita in moltissimi casi è previsto un uomo partecipe. Che poi costoro non facciano tutto il baccano delle femministe, quello lo si deve ai megafoni che molte ideologie tossiche hanno ottenuto grazie ai social e ai nuovi modi di comunicare i propri deliri al mondo.
La responsabilità dell’uomo.
Nascondersi o fuggire però è anche una fuga. Di più: una fuga irresponsabile, per diversi motivi. A partire dal fatto che la narrazione femminista, sebbene abbracciata fanaticamente soltanto da poche sfigate e da astute frange del potere politico ed economico, ha comunque un appeal tale, nel modo di porre i concetti e per la storicità del suo effetto erosivo sulla cultura moderna, da riuscire a infiltrarsi anche nella moltitudine di donne normali, parte della quale si costituisce come “zona grigia”, che spalleggia il femminismo o si dice femminista anche senza conoscerne davvero la pericolosità, ma perché “così si fa”, perché “così è giusto”. Nascondersi o scappare significa non assumersi la responsabilità di lavorare su quell’area grigia di consenso silenzioso per risvegliarlo e cancellarlo, riducendo il femminismo alle sue vere e irrilevanti proporzioni. Quell’area grigia è il vero pericolo, perché può allargarsi facilmente: se la colpa di ogni male è il “maschio”, qualunque disagio o difficoltà darà l’occasione a quell’area del fiancheggiamento di ampliarsi. Resistervi è compito delle donne vere, ma anche e soprattutto degli ingiustamente accusati, ossia degli uomini. Se qualcosa ancora rimane vivo della maschilità, proprio questo dev’essere: mettersi in campo, sacrificarsi e resistere. Non con la forza bruta, ché ormai non serve quasi più, ma con la ragione e anche con un compito che non tramonta e non tramonterà mai: riaffermare la complementarietà di uomo e donna.
Per non non c’è da nascondersi né tanto meno da scappare. Noi crediamo che il fine al quale tendere trovi la sua base nella cementificazione condivisa tra uomini e donne di ciò che è stato il passato, perché è stato com’è stato, perché le cose sono gradualmente cambiate e soprattutto cosa, in tutta sincerità, rimane fermo e immutato. Ovvero il bisogno di in una sana, rispettosa e reciproca collaborazione tra uomo e donna, ricchezza nella diversità come asse portante di secoli di sviluppo sociale, da cui l’ideologia tossica femminista vuole regredire costituendo un cancro finalizzato al conflitto tra generi. Un cancro con infinite metastasi nella politica, nella giustizia, nelle università, nella ricerca, nella letteratura, nella cinematografia, nei media, nei social e quindi nella percezione collettiva, il tutto mascherato da cultura progressista, che però progressista non è. Anzi nel distruggere il presente, chiude ogni possibilità che uomini e donne possano essere parte attiva della costruzione del futuro. Noi la vediamo diversamente: su quel cemento del passato accettato e condiviso, uomini e donne dovrebbero oggi, insieme, captare i segnali di quello che potrebbero essere i vari futuri possibili e insieme lavorare perché tutti si vada in una direzione che preservi e anzi esalti la naturale complementarietà tra uomini e donne, con tutto ciò che di straordinario essa può produrre. L’alternativa è continuare a raccogliere i frutti velenosi di un’ideologia velenosa. Frutti come, lo si è visto proprio di recente, il crollo delle nascite in Italia sotto il livello delle due guerre mondiali, un grande successo femminista. A “Essere Uomo” diciamo: il femminismo è un’ideologia mortifera, siamo d’accordo. Ma uomini e donne insieme sono vita.