Ogni settimana le cronache italiane sui casi di violenza dimostrano quanto sia diventato noioso e scontato lo stereotipo della donna fragile e perennemente vittima. L’ossessione della narrazione unica produce miti ormai smentiti dai fatti, e la scorsa settimana ci ha regalato una vera e propria rassegna horror dell’invisibilità della violenza femminile contro gli uomini. Solo che stavolta nasconderla è stato impossibile: troppo eclatanti, troppo pubbliche, troppo gravi le azioni commesse affinché potessero essere travestite da “incidenti” o ridotte a pettegolezzo da terapia di gruppo. Da mariti picchiati regolarmente in casa, anche davanti ai figli minori, a veri e propri tentativi di omicidio, passando per stalking ossessivo, ricatti e sevizie. Eppure, secondo il mantra dominante, il fenomeno da abbattere continuerebbe ad essere solo la violenza maschile sulle donne: non è un caso, infatti, che la richiesta perenne sia sempre quella—più finanziamenti per i centri antiviolenza, più centri di rieducazione, purché si ignori tutto il resto.
Così, mentre ci si commuove a comando davanti all’ennesima conferenza autoflagellante, i casi di violenza femminile vengono minimizzati, ridicolizzati o addirittura celebrati come folklore, come dimostrato dall’assurdo quotidiano raccontato dalla cronaca. Prendiamo ad esempio la stalker di Monza, condannata a più di tre anni per aver perseguitato un uomo: provate a trovare titoli gridati, servizi tv, soloni in studio pronti a chiedere pene esemplari o percorsi di rieducazione. Niente. Quando la persecutrice è donna, si tende a suggerire che qualche colpa, in fondo, la vittima se la sia meritata. Ancora più palese nel caso della ragazza che ha minacciato di morte l’ex compagno e la nuova partner, quasi a rievocare l’archetipo della passione incontenibile e scusabile. D’altronde, nella narrazione tossica di questi anni, il possesso e la gelosia sono appannaggio esclusivo maschile: quando si capovolge il copione, diventa folklore o anomalia.
La violenza delle donne: tra impunità e doppi standard
Non mancano neppure i casi che sembrano scrivere la sceneggiatura di una farsa nera: come quello recente del giovane sequestrato, legato e picchiato da una donna di sessantuno anni e dal suo complice con sbarra di ferro e pugni, una situazione in cui se l’aggressore fosse stato uomo—a parti invertite—avremmo celebrity indignate in tv, fiaccolate e nuove proposte di legge. Invece, il dramma viene tratteggiato come una specie di incidente trasgressivo. Sullo stesso registro, troviamo gli episodi reiterati di aggressioni domestiche: donne che si fanno giustizia tra mura di casa arrivando a tentare di sgozzare il compagno con un oggetto di vetro, colpendolo al collo in una maniera che, oscillando tra “lite” e “lesione semplice”, sfuma la realtà di un vero tentato omicidio domestico. Non basta, perché si arriva pure ad ammirare chi picchia il marito così tanto da suscitare il quesito surreale sul “limite consentito” di schiaffi giornalieri. Il tutto condito dall’abitudine delle autorità a concedere misure accomodanti (vedi domiciliari anche per omicidi efferati, come quello di una ottantunenne che ha massacrato il compagno con decine di ferite al capo e al collo), come se l’età o il genere cancellassero il gesto.
Il bello arriva quando questa violenza non solo viene minimizzata, ma persino celebrata come prova di carattere, folclore, “colore esotico”. Non si sa se ridere o indignarsi nel leggere certe confessioni pubbliche—del tipo “sono aggressiva, manesca, ho menato tutti i miei fidanzati”—proferite non da un disperato in cerca di attenzione, ma da una star della tv nazionale come Belen Rodriguez che, invece di scatenare reazioni indignate, riceve magari qualche sorrisetto complice o un buffetto morale (senza ovviamente rischiare nulla in termini di carriera). Lo stesso indulgenza viene riservata a chi ferisce un compagno a coltellate: la violenza è sempre un incidente, uno sfogo, una stranezza isolata. E non importa se i “casi isolati” si ripetono a decine ogni settimana: sono sempre un’anomalia, quasi una bizzarria che serve solo per smorzare le tensioni del racconto maggiore. E se il malcapitato di turno si trova all’ospedale dopo un morso, due fendenti, una bottiglia e mobili in volo, come raccontano le pagine di cronaca campana, il ritornello dominante è sempre lo stesso: chissà cosa avrà fatto lui, chissà cosa l’ha scatenata. Colpa sempre maschile, anche da ferito. Non aspettatevi campagne di sensibilizzazione, discussioni approfondite nei talk show o nei grandi portali: la società preferisce fingere che esista un solo tipo di violenza, una sola vittima e un unico carnefice. Ma i fatti, settimanali, raccontano altro. E raccontano anche ciò che pochi hanno il coraggio di dire: la violenza sulle uomini da parte delle donne non solo esiste, ma è ignorata sistematicamente, banalizzata o utilizzata come intrattenimento. Ancora dubbi? Approfondite l’argomento leggendo gli altri articoli su LaFionda.com, fatevi un giro nell’Osservatorio Statistico o interrogate il nostro chatbot qui in basso a destra: i dati sono impietosi, le storie ancora di più. Sta a noi rompere il silenzio e riportare finalmente un po’ di verità nel dibattito pubblico.