Women’s Rights Network (associazione che si batte per “idiritti” delle donne, quindi insospettabile di connivenza col potere etero-cis-patriarcale), basandosi sull’Office of National Statistics, equivalente dell’Istat britannico, e sui dati ufficiali del Ministero della Giustizia per il 2021 (quindi no sondaggini o aneddoti), ha rivelato che se il tasso di crimini sessuali con perpetratori uomini è più alto rispetto a quello con perpetratrici donne, il tasso di crimini sessuali commessi da “donne trans” è significativamente superiore rispetto a quello con perpetratori uomini (del 252%). L’associazione Fair Play for Women aveva condotto una simile indagine sui dati ufficiali del 2019, documentando che tra le “donne trans” detenute per crimini di qualsiasi tipo, quasi il 60% era costituito da responsabili di crimini sessuali (contro il 16,8% dei detenuti uomini non-trans). Questo dato è confermato dovunque si vada a verificare: e anche in ambito accademico, il migliore e più ampio studio quantitativo peer-reviewed disponibile, condotto su un campione di soggetti svedesi, rileva un tasso elevato di condanne per crimini sessuali e violenti per le “donne trans” rispetto al campione di controllo. N.b. nessuno sta dicendo che “tutte le donne trans devono fare mea culpa e sono potenziali criminali”: questa generalizzazione di colpe su intere categorie umane la fanno solo femministe e arcobaleni.
Si sta sottolineando invece che entro la ristretta minoranza di “donne trans” che delinquono, una gran parte è costituita da criminali sessuali, con un tasso molto più alto che tra i non-trans. Poi registriamo un secondo dato: spogliatoi, bagni, camerini etc. “misti” costituiscono un paese della cuccagna per i predatori sessuali. Fatto incontrovertibile, misurato ad es. dal Women’s Rights Network (WRN) su dati ufficiali del Ministero della Giustizia (no sondaggini o aneddoti) in un report fresco di pubblicazione. Il WRN inizia citando un’inchiesta del Sunday Times secondo cui gran parte dei casi di crimini sessuali (da voyeurismo a aggressioni) registrati nel 2017-18 tra centri sportivi e ricreativi pubblici, sono avvenuti in strutture prive di spazi riservati per sesso. Su questo esempio, investigando su un campione di 257 centri sportivi e ricreativi in Inghilterra e Galles (un terzo scarso di quelli totali), il WRN ha svelato 161 casi nel solo 2023, la grande maggioranza con vittime femminili e perpetratori maschili (per una certa quota di casi, il dato sul sesso di vittima e perpetratore non era disponibile). E ha rilevato che già un terzo delle strutture in UK non fornisce bagni e spogliatoi divisi per sesso: è un trend in crescita, adottato anche in ottemperanza al diktat dell’inclusività, per schivare la recente sentenza della Corte Suprema secondo cui per ogni rilevanza giuridica “donne” va inteso in senso biologico.

I furbetti del carcerino.
L’attivista arcobaleno dirà: non è detto che se lasciamo la possibilità a tutti di “autodeterminare” il proprio “genere” senza requisiti, diagnosi e verifiche oggettive, allora i predatori sessuali se ne approfitteranno per accedere agli spazi femminili. Eppure, esiste un contesto dove questo si può verificare: le carceri. Quelle femminili sono ambienti mediamente meno duri e restrittivi rispetto a quelle maschili; e un criminale attratto dalle donne ci troverà anche una compagnia più “congeniale”, diciamo. Se a un certo punto si consente a chiunque di “autodeterminare” il proprio genere, secondo la nostra tesi si vedrà un aumento brusco dei soggetti che vorranno indicare il proprio genere come “donna trans” e farsi mettere, o trasferire, in carceri femminili. E questo è esattamente quello che accade, come ha rilevato ad es. Michael Biggs, sociologo dell’Università di Oxford nel saggio del 2020 The Transition from Sex to Gender in English Prisons: Human Rights and Queer Theory (Il passaggio da ‘sesso’ a ‘genere’ nelle carceri inglesi: diritti umani e teoria queer): «Nel 2016 c’erano 70 detenuti autodefiniti transgender – esclusi cioè tutti quelli in possesso di un certificato legale di cambio di genere – nelle carceri inglesi (fonte Ministero della Giustizia). Il nuovo regolamento (per cui il certificato non è più necessario ed è sufficiente “autodeterminare” il proprio genere) è entrato in vigore nel 2017. Tre mesi dopo il numero dei detenuti autodefiniti transgender era quasi raddoppiato: 125».
Biggs fa notare che questa tendenza ad approfittarsi della “autodeterminazione di genere”, e i rischi che comporta, è un segreto di Pulcinella: «Già nel 2015 la British Psychological Society aveva attestato nero su bianco ‘una quantità di casi in cui uomini detenuti per crimini sessuali hanno falsamente asserito di essere donne trans, ad es. per ottenere in quanto donna, e quindi soggetto meno pericoloso, la libertà condizionata, oppure per suscitare la fiducia di donne e ragazzine presentandosi come donna; e motivando i propri crimini con ragioni diverse da quelle sessuali (es. la ‘curiosità di esaminare’ le giovani femmine), o scindendo il proprio sé criminale, quello maschile, da quello femminile, innocuo’. Un altro a sottolineare questo rischio era stato il Dr. James Barrett, allora presidente della British Association of Gender Identity Specialists (associazione britannica di esperti sull’identità di genere) che nella sua valutazione dell’evidenza disponibile del 2015 (richiestagli dalla commissione governativa su “idiritti trans”) descriveva ‘l’ondata crescente di detenuti per crimini sessuali anche gravi che hanno cominciato a identificarsi come transgender’ dei quali molti per le stesse ragioni sottolineate dalla BPA». Vogliamo sostenere che la stessa politica di “autodeterminazione di genere”, riferita a altri spazi riservati alle donne (bagni, camerini, spogliatoi) non possa mai e poi mai attirare soggetti opportunisti tra autoginefili, predatori sessuali e disturbati vari, rendendo questi spazi “riservati alle donne” solo sulla carta, ma di fatto “misti” e causando pertanto un rischio aumentato di abusi su donne e bambine?
Fuori gli uomini dai bagni delle donne.
Potete trovare qui e qui due esempi di raccolte di casistica passata, ad opera di associazioni che, come La Fionda fa per la violenza femminile, si preoccupano di evidenziare il fenomeno; un osservatorio che riporta casi di cronaca di questo tipo, spesso ignorati dai media generalisti fuori dal più ristretto livello locale, è Reduxx. In Italia la casistica riguarda un numero molto ristretto di soggetti ed è limitata per ora, almeno da quanto emerso alla cronaca e a nostra contezza, a un pietismo diffuso verso le povere “donne trans” (cioè uomini) costretti nelle carceri maschili, compreso qualche furbetto del carcerino che cerca di farsi trasferire in quelle femminili (ad es. questo caso condito con una probabile falsa accusa, di cui avevamo parlato sulle nostre pagine social), e ad alcuni casi di “studentesse trans” cui è stato rifiutato l’accesso ai bagni femminili (es. questo e questo). Ma con le “carriere Alias” (che consentono l’uso della “identità” preferita dal soggetto a tutti gli effetti) già implementate in oltre 350 istituzioni scolastiche, l’aumento delle identificazioni “trans” tra gli attuali adolescenti, e le associazioni arcobaleno che fanno pressione, anche per mezzo dell’infiltrazione nelle istituzioni UE, lo scenario potrebbe presto cambiare. L’attivista arcobaleno pur concedendo idealmente questi rischi, dirà che si tratterebbe di un numero molto limitato di casi, i quali sono un danno collaterale che siamo costretti ad accettare, per non rischiare di offendere o far soffrire le “donne trans”. Luglio 2024: nel Commonwealth Place, un centro ricreativo con piscina in British Columbia (Canada) la figlia di Angie Tyrrell, 10 anni, e una sua amichetta di 11 vanno negli spogliatoi femminili per lavarsi e cambiarsi ma, poco dopo, tornano dalla mamma di Angie terrorizzate: “c’è un uomo nelle docce con noi”. Tyrrell dice loro di tenere il costume addosso e va a controllare: la presenza dell’uomo, vistosamente maschile, muscoloso e peloso ma con indosso un bikini rosa del tipo per bambine tutto glitterato, stava causando un evidente disagio ad alcune altre donne e bambine presenti nell’area dei lavatoi e spogliatoi femminili.
La protesta di Tyrrell presso la direzione non ha avuto altra risposta che quella per cui il centro rispetta l’identità di genere di tutti, pertanto ciascuno può andare negli spogliatoi e bagni che preferisce (quindi perché non indicarli come “neutri”, dirà qualcuno? Perché molti clienti evitano le strutture prive di spazi divisi per sesso, proprio per le ragioni illustrate fin qua). In un altro caso a poca distanza da questo, un uomo con una parrucca addosso e il volto coperto da una maschera viso era stato visto spiare alcune bambine cambiarsi negli spogliatoi femminili della piscina pubblica di Nanaimo (British Columbia, Canada). La mamma di una di queste bambine, Janayh Wright, lo affrontò, ma l’uomo le rispose che «è un mio diritto umano cambiarmi nello spogliatoio femminile». Wright decise di insistere e costringerlo a uscire dallo spogliatoio. Lo staff della struttura intimò lei di non importunare più gli altri utenti, e la informò che poteva essere multata e arrestata per questo “crimine d’odio”. Attivisti arcobaleno, lo spiegate voi a queste bambine che simili “donne trans” (cioè uomini) hanno tutti “idiritti” di spogliarsi insieme a loro? Che in fondo mica le hanno molestate o altro, e se si sentono così spaventate o a disagio forse è perché sono loro ad avere qualche problemino psicologico da risolvere? E che comunque questo loro disagio non è “sistemico”, è solo un danno collaterale per un Bene Superiore, per cui devono starsi solo zittine e spogliarsi e lavarsi insieme a “donne trans” di qualsiasi aspetto ed età? Poi però dovete spiegarlo pure ai genitori che non hanno nessun diritto di protestare, perché sarebbe “odio omolesbobitransfobico”…