Prendo in prestito un caso di separazione sottoposto ai lettori da La Settimana Enigmistica: «Dopo un lungo fidanzamento, i giovani Carlo e Laura decisero di sposarsi, ma inaspettatamente il matrimonio segnò l’inizio della crisi del loro rapporto: la convivenza acuì infatti i contrasti causati dalle differenze di carattere, tanto che, a meno di due anni dalle nozze, la coppia decise di separarsi. I due giovani, tuttavia, non raggiunsero alcuni intesa in merito alle conseguenze del divorzio: in particolare Laura, priva di un proprio reddito, pretendeva che Carlo, il quale invece esercitava un’attività professionale da cui ricavava cospicui guadagni, le corrispondesse un assegno di mantenimento. Il contrasto non fu appianato e pertanto la decisione al riguardo venne rimessa all’autorità giudiziaria. – “Il matrimonio di Carlo e Laura – affermò il legale dell’uomo – è durato solo un anno e mezzo, e la decisione di porre fine allo stesso è stata presa in piena armonia, quindi con il consenso della controparte, essendo la convivenza divenuta intollerabile per entrambi. La durata estremamente breve del matrimonio esclude che possa considerarsi sorto l’obbligo a carico del mio assistito di corrispondere l’assegno di mantenimento, cosicché la domanda avanzata da Laura dev’essere respinta.” – “La durata più o meno lunga dell’unione matrimoniale – ribatté il difensore della donna – è del tutto irrilevante ai fini del riconoscimento dell’assegno a favore del coniuge economicamente più debole: Laura non dispone di mezzi propri di sostentamento, e tanto basta per far sì che a Carlo venga imposto di versarle un importo periodico idoneo ad assicurarne il mantenimento.” Se voi foste il giudice, a chi avreste dato ragione?
Laura vinse la causa. La Corte di Cassazione ritenne infatti che unico presupposto per il riconoscimento dell’assegno di divorzio sia che il richiedente non abbia redditi adeguati e non sia in grado di procurarseli per ragioni oggettive. Viceversa, il criterio della durata del matrimonio appartiene soltanto al momento successivo della quantificazione dell’assegno, dopo accertata l’inadeguatezza dei redditi del richiedente. (Sentenza del 2017. Studio avv. Gagliardi)». Solidarietà post-coniugale. Si parla di solidarietà post-coniugale per indicare la continuità del dovere di assistenza e collaborazione tra i coniugi anche dopo la separazione e il divorzio, che si manifesta attraverso l’assegno di mantenimento, l’assegno di divorzio o l’assegnazione dell’abitazione familiare, in caso di malattia, disoccupazione o difficoltà economiche. A questo punto sarei curioso di capire come i giudici fanno entrare nella logica della solidarietà l’assegno di venti milioni di euro oltre al mantenimento da un milione l’anno a favore di Francesca Pascale, versato da Berlusconi per una convivenza di quasi dieci anni. Fra risarcimenti, assegni di divorzio, donazioni per quieto vivere o per garantirsi riservatezza, dal 2010 a oggi Berlusconi avrebbe speso oltre 75 milioni: «Berlusconi e le conseguenze (economiche) dell’amore», intitola schiettamente il giornale.
Le pretese degli uomini?
Spiccioli, in caso di malattia, disoccupazione o difficoltà economiche, di oltre 32.000 milioni di euro a favore di MacKenzie Scott versati da Jeff Bezos, di 2.000 milioni di dollari più una somma di 83 milioni annuali durante 13 anni a favore di Jocelyn Wildenstein versati da Alec Wildenstein, di 1.700 milioni di euro a favore di Anna versati da Rupert Murdoch, di 874 milioni di dollari a favore di Soraya versati da Adnan Kashoggi, di 700 milioni di euro a favore di Slavica Radic versati da Bernie Ecclestone, di 651 milioni di euro a favore della principessa giordana Haya versati dall’emiro di Dubai Mohamed Bin Rashid, di 560 milioni di euro a favore di Elin Nordengren versati da Tiger Woods, di oltre 300 milioni di euro a favore di Robyn Moore versati da Mel Gibson, e così via. Sarebbe interessante riflettere come abbia germogliato nell’immaginario femminile l’idea che possano pretendere “solidarietà” dagli uomini dai quali si separano. E questo, a quanto pare, non esclude le donne miliardarie. Che necessità avevano Kim Kardashian di pretendere l’assegno da Kanye West, o l’attrice Melanie Griffith dall’attore Antonio Banderas? All’epoca, nel 2014, non era forse la Griffith nota e famosa tanto quanto Banderas? Non facevano forse entrambi lo stesso mestiere? Dopo il divorzio, veniva forse impedita alla Grittith di lavorare? Solidarietà post-coniugale miliardaria. Il termine adoperato da La settimana enigmistica è «pretendere», la donna pretende, ed è il termine esatto. Sarebbe molto interessante poter avere i dati, dalla promulgazione del divorzio fino ad oggi, del numero di uomini e del numero di donne che hanno fatto richiesta di alimenti in sede di separazione a loro favore, capire il motivo per il quale le donne li richiedono sistematicamente in numeri spropositatamente più elevati degli uomini.
Da dove nasce nelle donne quella pretesa nei confronti dei loro ex compagni di vita? Da dove nasce nella Griffith, una donna miliardaria, la pretesa economica nei confronti di Banderas? Non vorrei sconfinare nell’antropologia, ma secondo me la spiegazione valica le sedi giudiziarie: le donne si attribuiscono un valore nei confronti degli uomini, conferiscono un valore alla loro bellezza, al tempo che gli uomini trascorrono con loro e traggono piacere da questa. Allo stesso modo che le donne amate pretendono che venga saldato materialmente un conto a loro favore dai loro innamorati, mediante fiori, o poesie, o cene, o azioni coraggiose, o attenzioni, o regali, un contributo insomma per la loro bellezza, pretesa che non avviene al contrario, così succede anche quando l’amore è finito, la donna pretende dall’uomo un risarcimento per il prezioso tempo trascorso (e il tempo per la donna è prezioso, la bellezza è effimera) nel quale l’uomo ha goduto della sua presenza (sesso compreso). E allo stesso modo che gli uomini innamorati non pretendono che venga saldato materialmente nulla a loro favore (tranne la presenza e l’amore dell’amata), gli ex raramente pretendono un risarcimento per il tempo impiegato in una relazione fallita, vogliono semplicemente voltare pagina e non pretendono altro. Gli argomenti giuridici servono solo a giustificare e a soddisfare questa pretesa femminile.
Redditi e capacità di produrli.
Perché, diciamoci la verità, chi ha stabilito che la “solidarietà”, l’assistenza e collaborazione tra i coniugi dopo la separazione e il divorzio deva essere confinata unicamente all’aspetto economico? Se l’ex marito non sa stirare o non riesce a mettere una lavatrice, non ha forse anche lui bisogno di “solidarietà” e di aiuto? Se l’ex marito ha carenze affettive, o una dipendenza dal sesso che lo costringe a dilapidare il suo patrimonio, non deve forse la ex moglie dimostrarsi “solidaria” in questi casi? Se è vero che dopo una separazione deve esistere solidarietà, collaborazione tra i separati, come stabiliscono i tribunali (cosa assolutamente illogica, negazione palese del significato del concetto di separazione), allora questa solidarietà, questa collaborazione deve essere bidirezionale, altrimenti non è “collaborazione” ma si tratta di una “prestazione” a favore di una delle parti. Inoltre l’essenza della “solidarietà” è la volontarietà. È giusto promuovere nella società la solidarietà, l’altruismo, la filantropia, ma questi vengono praticati liberamente. Se due coniugi si vogliono dare una mano dopo la separazione, benissimo, ma la coercizione imposta dai tribunali a quelli che non vogliono non è “solidarietà”, come falsamente descritto, manipolazione del reale, ma “schiavitù”. Sottrarre beni e lavoro coercitivamente, contro la propria volontà, è quello che facevano i padroni agli schiavi, è quello che fanno oggi molte ex a danno dei loro ex con la complicità della forza repressiva dello Stato.
L’idea che dopo una separazione qualcuno possa essere costretto a sostenere qualcun altro è perversa. Che separazione è? Quando ci si separa, si diviene a tutti gli effetti estranei uno dell’altra. L’ex coniuge non è tenuto ad essere solidale con la ex né viceversa, più di quanto non lo sia lo stesso giudice nei loro confronti. Il vincolo di collaborazione del matrimonio è spezzato tramite la separazione, e lo stesso dovere a favore dell’altro lo hanno tanto l’ex come il giudice che lo impone. I Tribunali privano gli ex della libertà di scelta di essere o meno solidari, e verso chi, forse verso qualche persona a loro cara, un fratello, una sorella, un genitore, che non possono più aiutare perché il tribunale priva loro del patrimonio a favore di qualcuno che è ormai un estraneo. In breve, il concetto di solidarietà post-coniugale è illogico, ingiusto, un perverso gioco d’azzardo al quale sarebbero sottoposti tutti in sede di separazione, dove si può vincere o perdere, se fosse vero che «la giustizia è uguale per tutti». Purtroppo sappiamo tutti che questo non è vero. Scrive La Settimana Enigmistica che «unico presupposto per il riconoscimento dell’assegno di divorzio sia che il richiedente non abbia redditi adeguati e non sia in grado di procurarseli per ragioni oggettive». In pratica, i redditi possono magari essere un dato oggettivo, ma il grado di procurarseli è soggetto al giudizio soggettivo (e pregiudiziale) del giudice. Qui il gioco è fatto.
La cortina di fumo.
Non ho bisogno di riportare esempi esterni, basta il mio caso in sede di separazione. Famiglia monoreddito, tre figli piccoli, io lavoro, la moglie casalinga. Durante l’udienza preliminare viene assegnata l’abitazione familiare alla moglie, casa che il sottoscritto deve abbandonare, e stabiliti gli alimenti. Nel frattempo la mia azienda chiude, io ero da oltre un anno in aspettativa non retribuita per gravi problemi familiari e mi ritrovo per questo motivo senza diritto di disoccupazione né cassa integrazione (per numero impiegati), insomma senza redditi né patrimonio e con un affitto da pagare di un appartamento che dovrebbe essere adatto ad alloggiare saltuariamente anche tre figli piccoli. Nel frattempo la moglie trova un lavoro part-time. Dopo tre anni, nel 2009 arriviamo in queste condizioni – io disoccupato e in affitto, lei lavoro part-time e casa gratis – alla sentenza di separazione in primo grado (che sarà modificata solo nel 2016). Il giudice stabilisce un assegno di euro 600 mensili a mio carico e un tempo di frequentazione dei figli di circa 30% annuale. Motivazione: «valutata la capacità di lavoro di ciascun coniuge, entrambi ancora giovani, in buone condizioni di salute, con significative esperienze di lavoro». Assegno e condizioni economiche mai modificate fino al 2016! Ma come? “Giovani”, “buona salute”… e i redditi? Nel caso di Carlo e Laura de La Settimana Enigmistica, non era forse Laura giovane e in buona salute? Non dovevo essere mantenuto anche io secondo la stessa logica dei redditi? Dove è finita la solidarietà post-coniugale? Dove è finito inoltre l’interesse superiore del minore? Durante il presunto 30% annuale che i figli minori devono trascorrere con il padre, cosa mangiano, come si scaldano in inverno, in quale casa vanno a vivere se il padre è stato allontanato dall’abitazione familiare, deve pagare un affitto e non ha soldi? Forse il giudice si preoccupa se i minori dovranno dormire sotto un ponte? La sentenza è assurda, l’unica persona tutelata è stata la moglie, che ha un lavoro, un tetto (l’abitazione familiare) tutto l’anno e un assegno.
In conclusione, avete capito? La legge è uguale per tutti ma… se ci sono difficoltà economiche dell’uomo, questo è o giovane o sano o preparato o qualsiasi altra cosa decida di inventarsi un giudice, l’uomo si deve arrangiare (anzi, nel mio caso deve pagare anche l’assegno). Se le stesse difficoltà economiche le ha una donna, questa non dispone di mezzi di sostentamento né è in grado di procurarseli (ciò che vale, a quanto pare, anche per le donne miliardarie). Non è la legge che discrimina, anche se completamente sbagliata, sono le motivazioni e la fantasia dei giudici che interpretano la legge e discriminano. I figli, l’interesse superiore dei minori o l’argomento della solidarietà, sono soltanto delle cortine di fumo in decisioni giudiziarie che sono completamente asimmetriche, eufemismo che sta per una presa per i fondelli.