Uno spettro si aggira tra i Men’s Rights Activists (MRAs), gli attivisti per i diritti maschili: l’ideologia gender. È comune infatti, per chi come noi lotta per il riconoscimento delle discriminazioni sistemiche sugli uomini e in generale per i diritti maschili, trovarsi a fiancheggiare attivisti che, parallelamente a queste istanze, sostengono anche “idiritti” abcdefghi+, solitamente confondendo sotto questa formula istanze ideologiche che con la tutela dei diritti fondamentali hanno poco a che fare. Ed è inevitabile che questo conflitto ideologico prima o poi emerga. Quando mi sono approcciato per le prime volte ai problemi legati ai diritti maschili, non ero al corrente dei complessi intrecci – fin dalla loro genesi – tra femminismo e ideologie “di genere” e pensavo che il discorso si esaurisse con lo sbufalamento di narrazioni false come il gender pay gap, la “violenza di genere”, il “patriarcato” e in generale il “privilegio maschile”. Ma quando cominciai a sottolineare alcune storture dell’ideologia gender, come gli atleti “donne trans” (cioè uomini) negli sport femminili, o i molti casi di cronaca in cui criminali sessuali di sesso maschile si identificano come donne per farsi inserire nel sistema correttivo femminile – più leggero (e abitato da potenziali prede) –, con mia grande sorpresa alcuni dei compagni di strada e interlocutori con cui avevo condiviso fino a quel momento analisi, sbufalamenti e dibattiti con oppositori, mi accusarono di “misandria” e in alcuni casi interruppero dialogo e collaborazione.
L’argomento sembra lineare: le “donne trans” sono di fatto uomini, per cui se ti schieri contro di loro o i loro “diritti”, sei misandrico. Eppure, siamo proprio così sicuri che sia un “diritto fondamentale dell’uomo” – inteso proprio come “diritto maschile” – il pretendere di essere riconosciuti e trattati come donne, e l’accesso a spazi, categorie e privilegi riservati (magari ingiustamente) alle donne? Mi pare evidente sia dal punto di vista banalmente logico e categoriale, che dal punto di vista scientifico, che si può riconoscerlo come “diritto fondamentale” solo se si accetta una premessa nascosta: quella dell’ideologia gender, secondo cui uomini e donne sono diversi solo in virtù di “ruoli” e “espressioni di genere” che sono puramente (o prevalentemente, secondo la versione più morbida) costruzioni sociali arbitrarie. E quindi un uomo ha tutto il diritto di essere trattato come donna se così desidera, e accedere agli spazi riservati alle donne, anche senza nessun tipo di diagnosi o operazione, specie se ciò gli consente di accedere a vantaggi e privilegi: e sarebbe una forma di odio e discriminazione contro gli uomini, negarglielo. E non va visto neanche necessariamente come forma di “furberia” strategica, ma dev’essere interpretato come la libertà maschile di esprimere e interpretare “mascolinità alternative” a quella “tradizionale” (ad esempio questa posizione è argomentata qui).
Dittatura della minoranza?
Problemino: tale premessa è, come su LaFionda.com spieghiamo e documentiamo da anni, fallace, puramente ideologica e dannosa sotto ogni aspetto. Non solo essa nega il principio di realtà oggettiva (tra i valori fondanti di questo sito), l’unico sul quale sia possibile basare norme condivise e valide per tutti, compresi i “diritti fondamentali”, che solo a fronte di una realtà oggettiva possono essere applicati in modo davvero equanime e a tutela di tutti: quando nell’applicazione delle regole condivise entra in gioco l’aspetto soggettivo, diventa infatti impossibile garantire una giustizia davvero imparziale e giusta, come il caso delle leggi da Codice Rosso, con l’elemento soggettivo della “vittima” che diventa elemento oggettivo sul piano dell’applicazione della norma, dimostra ampiamente. La premessa gender nega anche la realtà scientifica incontrovertibile dell’anisogamia della specie umana, per cui essa è divisa in due sessi, maschio e femmina, i cui corpi sono sessuati, cioè differenziati a causa dei diversi percorsi biologici che si attraversano durante lo sviluppo, dal concepimento fino alla pubertà e anche oltre. E negando tale realtà, si negano delle differenze che sono tutt’altro che “ruoli” o “espressioni” puramente arbitrari e intercambiabili, inventati e voluti dai difensori di un certo equilibrio di potere per auto-perpetuare tale equilibrio, e trasmessi solo dal modo in cui gli individui vengono a formarsi ed essere educati dalla società. Tale realtà comporta anche un’altra conseguenza, che l’ideologia gender nega: e cioè la necessità di una cooperazione armoniosa tra uomini e donne, affinché gli individui di entrambe le categorie, e la società tutta, possano prosperare al massimo.
Le differenze tra uomini e donne, consolidate da milioni di anni di storia evolutiva, sono calibrate in modo tale che il massimo vantaggio per entrambi nasce da una cooperazione in cui ciascuno dei due sessi contribuisce alla costruzione e al benessere della società sfruttando al massimo quelle che sono le sue peculiarità e i suoi punti di forza naturali. Questa alchimia può fiorire solo se uomini e donne si riconoscono, si rispettano, e si celebrano reciprocamente, nelle loro differenze e proprio in virtù di esse. E se è vero che nella società odierna non valgono più le condizioni estreme dello stato selvaggio dell’era preistorica, o anche solo di epoche precedenti della storia; e quindi non è più così pericoloso, per la specie e per i singoli gruppi umani, deviare un po’ dai “ruoli sociali” che ipostatizzano queste differenze, ciò non significa che questi ruoli vadano strenuamente combattuti, demonizzati e azzerati come qualcosa di oggettivamente inesistente e moralmente sbagliato, in quanto strumento culturale artificiale atto a perpetuare uno stato di oppressione per certe categorie (dogma centrale dell’ideologia gender). Nel modello di società “occidentale” moderna ciascuno è idealmente libero di cercare il proprio posto nella società come preferisce senza riceverne alcuno stigma, ed è giusto così: ciò non significa che la biologia profonda di uomini e donne si sia parallelamente azzerata. Ci sono sicuramente uomini con caratteristiche e/o tendenze e preferenze femminili più marcate, idem per donne con caratteristiche e/o tendenze e preferenze maschili: ma poiché questi non sono prodotti arbitrari di una specifica epoca e società, ma sono tratti profondamente innestati nei nostri corpi sessuati, la distribuzione sarà sempre “a campana”, con questi individui destinati a rimanere minoritari.
Una “soluzione finale” inaccettabile.
Ecco che negando e demonizzando tale realtà che ci caratterizza, e facendolo in modo sistematico, per decenni, fino a provocare e spingere in modo artificiale dei cambiamenti radicali in questa direzione anche nella struttura stessa della società, si va inevitabilmente a danneggiare la grande maggioranza di uomini e donne, spingendoli artificialmente lontano da una serena realizzazione di sé tramite l’obbligo morale trasmesso a schermi unificati (compresi quelli degli smartphone) di adottare comportamenti, scelte e percorsi di vita anche molto lontani dalla propria natura, e inibirne altri che sono invece connaturati ad essa (come sotto la retorica della “mascolinità tossica”, o quella del valore della maternità come “retaggio del passato, roba da bigotti reazionari che vogliono tornare agli anni ‘50 e anzi strumento di oppressione patriarcale”). Ma soprattutto si va a inficiare quella serena cooperazione tra i due sessi che è il mattone fondamentale di una società prosperosa e sana. Questa è la ragione principale per cui tutti, compresi i MRAs e compresi gli attivisti per la tutela dei diritti fondamentali delle persone omosessuali e transessuali, dovrebbero schierarsi contro l’ideologia gender. D’altra parte, chi sostiene che i MRAs devono essere a favore delle “donne trans” (cioè uomini) da trattare come donne a tutti gli effetti, di solito è caduto pienamente vittima dell’ideologia gender per cui nega la realtà di quanto detto finora. Ma la loro argomentazione cade anche, come avevo accennato, a livello meramente logico e categoriale.
Essi sostengono che siccome viviamo in una società profondamente ginocentrica (vero) e le donne hanno privilegi innegabili, sia morali che legali (vero), negare agli uomini di accedervi presentandosi socialmente come donne è una forma di odio verso gli uomini perché nega una “soluzione” alle discriminazioni maschili. Ma questa “soluzione” è di fatto l’opposto di una soluzione: perché ha come premessa il mantenimento e la radicalizzazione dello status quo ginocentrico e discriminatorio verso gli uomini. Gli uomini così trovano sì una parziale via d’uscita dai loro problemi, ma non la trovano in quanto uomini, bensì in-quanto-donne (finte). E questo significa non la liberazione del maschile, ma la totale, finale, definitiva soppressione del genere maschile, che si dissolve in un indistinto femminino assoluto (a concretizzare il massimo slogan-sogno femminista: “il futuro è donna”, anzi “femmina” proprio). La “soluzione finale” contro l’uomo. La misandria assoluta. Qualsiasi attivista che non covi un odio profondo verso gli uomini, non può che sentire ribrezzo e orrore verso una simile “soluzione”. E piuttosto, combatterà affinché gli uomini siano riconosciuti, celebrati, e liberati dai problemi attuali, in quanto uomini. Vestiti da uomini, presentandosi come uomini, e riconosciuti socialmente come uomini, negli spazi degli uomini, a fare cose da uomini. Pari e a fianco delle loro, profondamente diverse, ma ugualmente importanti, compagne di esistenza: le donne.