“Un dizionario per cambiare il mondo“. Cambiare il mondo… Wow!!! Niente di meno, aggiungerei. Un progetto ambizioso che i bambini sognano spesso, tra i più piccoli c’è sempre chi vuole sconfiggere i cattivi diventando un supereroe. Crescendo sparisce Spiderman ma non i progetti ambiziosi: chi pensa di sconfiggere lo stress abbracciando gli alberi, chi vende alghe miracolose per sconfiggere la cellulite, chi pensa di sconfiggere la Juve senza corrompere gli arbitri, chi crede di sconfiggere i difetti col chirurgo plastico, chi pensa che per realizzarsi sia indispensabile avere l’ultimo iPhone, chi spera di sconfiggere il nulla cosmico partecipando al Grande Fratello. Alcune aspiranti a miss-qualcosa, restando serie, hanno dichiarato di volere un futuro senza guerre, fame, terremoti e doppie punte.
Tutti fuori strada, la vera chiave per cambiare il mondo è un dizionario. Anzi, “IL” dizionario, quello che in un colpo solo manda in pensione Treccani, Garzanti e Zanichelli. Il futuro del mondo, se vuole essere davvero migliore, passa per il dizionario di genere. Figlio orgoglioso dei più diffusi gender studies, il dizionario si dimostra innovativo, direi pionieristico, trattando temi come gender pay gap e manosphere, che non aveva mai trattato nessuno. Da leggere la simpatica disquisizione sul termine “gattara” citato nell’articolo, compresa la lamentela finale sul fatto che “il maschile di questo termine non viene impiegato”.
Il dizionario da “gender studies”.
Non credo di buttare 45 euro per acquistare tali perle di saggezza femminuccista, ma sarebbe interessante sapere se nel dizionario esiste il termine “minatrice” accoppiato alla lamentela perché viene usato esclusivamente al maschile. O “fabbra”, “maniscalca”, “mozza”, “scaricatrice di porto” e mi fermo qui perché l’elenco dei termini occultati dall’oppressione patriarcale sarebbe lungo. L’ultima voce in ordine alfabetico, dice ancora l’articolo, è “zoombombing”. Identificherebbe l’intrusione di hater o troll durante videoconferenze, riunioni o altri tipi di eventi che trattano temi invisi agli hater. Miracolo da gender studies.
La cronaca registra il fenomeno opposto, vale a dire le proteste che interrompono, disturbano o hanno addirittura il potere di annullare eventi che trattano temi invisi alle hater. L’irruzione urlante alla presentazione del libro dell’avv. Angeli Pisani (Napoli), l’evento cancellato al Monk (Roma), la mailbombing per l’evento alla Regione Lombardia (Milano), le proteste al salone del libro (Torino) sono solo alcuni degli esempi più recenti. Online la strategia non cambia, nei webinar non genuflessi al femminuccismo sono costanti le irruzioni di mammecoraggio e sedicenti attiviste-per-i-diritti-umani. Colonna portante del femminuccismo sembra essere l’assunto democratico, progressista ed inclusivo “puoi dire quello che vuoi, se solo coincide con quello che vogliamo noi”. Chissà se questo compare nel dizionario di genere?