La Fionda

La violenza delle madri: omissioni, complicità e doppi standard

Quando si parla della violenza delle madri, sembra quasi che esista una fragile barriera visiva capace di rendere invisibile agli occhi della società e dei media un fenomeno che in Italia solca famiglie, scuole e ospedali: la violenza agita dalle donne contro minori e spesso anche contro gli anziani. Settimana dopo settimana, la cronaca sgretola il rassicurante mito immacolato del “gentil sesso”, quello che dovrebbe proteggere e accudire, ma che nei fatti dimostra spesso il contrario. Basterebbe sfogliare le notizie degli ultimi giorni per rendersene conto. A Muggia, in Friuli, una madre sgozza suo figlio di nove anni, appena affidato a lei, dopo che già in passato il piccolo era stato portato al pronto soccorso con lividi e le stesse minacce di morte erano state rivolte a giudici e assistenti sociali. Il padre, Paolo, aveva lanciato ripetuti allarmi. Ma si sa, una madre non si tocca, neppure quando il pericolo è scritto nei referti medici e nelle parole del bambino (qui i dettagli agghiaccianti) e specie se a presiedere la questione sono una giudice e una psicologa donne.

E non si tratta certo di un episodio isolato. Dallo stesso caso di Muggia emergono i contorni di una tragedia annunciata, ignorata da assistenti sociali, psicologi e tribunali ideologicamente ciechi di fronte a ogni evidenza. I fatti, quelli veri, sanciscono che le sirene d’allarme dei padri rimangono inascoltate, mentre la minima ombra su un padre – magari una semplice insinuazione senza riscontri – basta per liquidare ogni diritto di visita e applicare misure cautelari immediate, braccialetti elettronici compresi. Quando il rischio viene, però, da una donna, improvvisamente tutti diventano prudenti, soft e comprensivi, diventando complici – per omissione e per sudditanza culturale – di ciò che avviene. Mentre si celebrano le campagne d’opinione unidirezionali, ci si dimentica di chi veramente non ha voce: i bambini obbligati a restare con madri pericolose. In un altro caso recente a Reggio Calabria, la nonna di un neonato – dopo averlo soffocato prima ancora di recidere il cordone – getta il corpicino tra gli scogli. Neppure la legge sull’anonimato nel parto sembra valere nulla contro il dominio violento femminile contro il più debole (leggere per credere).

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La narrazione si sgretola di fronte alle madri streghe

L’elenco sembra infinito e la tempistica quasi beffarda: proprio nel mese consacrato alle campagne contro la violenza, scorrono notizie di donne violentatrici, madri assassine e aguzzine di bambini. Non c’è famiglia o quartiere immune: dalla madre condannata a otto anni per aver ridotto il neonato all’invalidità permanente scuotendolo e colpendolo senza pietà (e chi risarcirà questo bambino?), alla madre denunciata dalla figlia di nove anni, costretta con la bocca tappata da un asciugamano ogni volta che provava a piangere (testimonianza atroce). Sembra che invece di controllarsi, nel mese delle campagne anti-violenza, molte decidano di scatenarsi e rivelare un vero problema sistemico che prende la forma di insospettabili “maestre modello” dedite al sesso con minorenni o di baby gang tutte al femminile. Ormai le aule di giustizia sono affollate non solo di false accuse, ma pure di donne imputate di stalking, aggressioni, persino omicidi. Ma c’è una costante ancor più inquietante: ogni volta che emerge la responsabilità femminile nella violenza domestica, la narrazione pubblica si affretta a discolpare, medicalizzare, minimizzare. Se il carnefice è donna, improvvisamente è vittima di difficoltà psicologiche, di traumi, di un contesto problematico. E il bambino? E l’anziano vittima? Rari sono i casi in cui un giudice agisce con la stessa severità riservata ai padri sospettati anche solo lontanamente di una sberla.

Ma torniamo alla cronaca, che ci racconta di una madre a Ragusa la quale, protetta dall’indifferenza e dal silenzio, picchiava e trascurava la figlia. Tutto emerge solo grazie al coraggio di una docente. Eppure la liturgia pubblica indice crociate contro “la violenza sempre maschile”, mentre dal mondo reale ci arrivano casi eclatanti di madri e nonne carnefici (qui l’ultimo orrore). Basta con le scuse: la cultura del sospetto, le campagne di stigmatizzazione preventiva, l’asimmetria giudiziaria e la narrazione tossica mettono ogni giorno a rischio i più deboli. A questo punto, chi tutela davvero l’infanzia e gli anziani, se il sistema preferisce credere alle favole piuttosto che ai fatti? È ora di ricostruire una statistica reale e una cultura della responsabilità: su LaFionda.com e nell’Osservatorio Statistico trovate dati, analisi e altri articoli che smontano la narrazione dominante. Documentatevi: difendere i minori e gli anziani significa rompere l’omertà che li cancella dalle cronache, e smascherare chi – per ideologia – protegge più gli aguzzini che le vittime.



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