L’Italia è piena di incel d’importazione e la narrazione femminista è sempre più in difficoltà. Così accade quando i dati di fatto, magari aiutati un po’ da biechi interessi politico-elettorali, emergono per quello che sono. Ciò che noi diciamo ormai da anni, ovvero che una parte piccolissima della popolazione residente in Italia (gli immigrati) commette un’enormità di stupri rispetto agli autoctoni ora è un concetto che passa con molta più facilità di prima. Certo continua a portarsi dietro la facile accusa di razzismo, ma i numeri, oltre che i sempre più frequenti fatti di cronaca, stanno lì a dimostrare che il razzismo non c’entra proprio nulla. Sono, appunto, i fatti. Di fronte ad essi, com’è normale che sia per un’ideologia basata su fantasie più lisergiche di quelle che si possono trovare in qualunque testo sacro, il femminismo balbetta, è sempre più in difficoltà, sempre meno circondato da fiancheggiatrici e fiancheggiatori. D’altra parte, lo diceva Abraham Lincoln, che stupido non era: «Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre». E le varie favolette come “la cultura dello stupro” tipica del “patriarcato” bianco e occidentale ormai non reggono più. E così l’ira funesta delle nostre cagnette (cit.) nostrane resta sempre più snobbata.
È una buona notizia? Sì e no. Sì perché è benvenuta qualunque cosa metta in risalto la malevolenza e la falsificazione insite nel femminismo, specie quello che si ammanta di retorica progressista e di sinistra. No perché la palla al balzo viene presa da quella cosa becera e imbarazzante che è la destra italiana, che si ferma ai vari Mohamed, Mustafà e compagnia per titillare gli istinti razzisti annidati nell’intestino crasso del popolino, così evitando accuratamente di prendersi la responsabilità di affrontare la radice del problema. Ovvero che, per l’appunto, da tanto, troppo tempo, stiamo riempiendo il paese di incel d’importazione. Ma incel veri, mica quelli italiani additati da tutti che, paciosi e un po’ amareggiati, sfogano la propria frustrazione sui forum e sui social e poi finita lì. No no, si tratta proprio di quel tipo di incel su cui il femminismo e dintorni da sempre fanno un gran terrorismo. Non è gente che sbotta su qualche post e poi si guarda bene dal commettere alcunché di improprio su qualsivoglia individuo di sesso femminile, anzi. È gente che sui social parla e scrive arabo o la propria lingua, che è parte di una comunità non integrata negli usi, costumi e leggi italiani, oggetto anzi di odio e disprezzo. E che è, nella maggior parte dei casi, sola, senza alcun tipo di relazione affettivo-sessuale significativa.
Altro che gli incel nostrani…
Diciamocelo apertamente: c’è qualcosa che va oltre le provenienze geografiche, le razze o altro, ed è la natura umana. Quella maschile, specie se è giovane com’è giovane l’esercito che a ondate sbarca sulle nostre coste, ha tra le sue pulsioni-base quella dell’accoppiamento. E chi sbarca viene da tradizioni socio-culturali severamente restrittive e tradizionaliste. Magari non sono maschi brutti, come secondo lo standard incel, ma sicuramente non sono belli per lo standard italiano. Per non parlare del loro status: quand’anche maranza e danarosi per attività criminali, difficilmente attraggono a sé soggetti femminili consapevoli di sé. Insomma, quando gli va di lusso, nella triade look, money, status, magari hanno un po’ di money, ma sul resto sono messi male male. Ben peggio degli incel nostrani che, al di là delle loro sfuriate, alla fine sono dei bonaccioni che non torcerebbero un capello a nessuno. Insomma, prendi una donna (cit.) che sia (s)vestita all’occidentale, mettila sotto gli occhi di un giovane magrebino o subsahariano che ha ZERO chance (e sa di avere zero chance) non solo di aver un banale rapporto sessuale, ma anche solo un regolare rapporto affettivo, e la frittata è fatta. Non resta che prendersi con la forza ciò che si potrebbe ottenere con un garbo che non si conosce. Si tratta di una frittata evidente da numeri e statistiche che ormai sono state (finalmente!) sdoganate nel discorso pubblico.
E dunque, direbbe il nostro amico Vladimir Ilic Ulianov, “che fare”? Sicuramente non come i mentecatti della destra politica italiana (“tutti via!”), ma nemmeno come la sinistra (“tutti dentro”). Il problema alla base di questa massa di giovani carichi di ormoni e privi dei freni per domarli di cui sono dotati gli uomini nostrani, è essenzialmente il più totale e disastroso fallimento delle politiche d’integrazione, se mai ve ne sono state. Ed è dalla responsabilità di quel fallimento che sinistra e destra cercano di sfuggire, sfruttando in modo strumentale un problema che, gira che ti rigira, va a colpire le donne che finiscono sotto gli istinti incontrollati di questi incel d’importazione. Il che è già grave. Ma diventa drammatico quando la colpa viene poi fatta ricadere sugli autoctoni che, dopo anni di civiltà, sono in realtà impregnati dell’esatto contrario di ciò di cui blatera il femminismo, ossia di “cultura del non-stupro”. Il concetto è semplice: lascia entrare frotte di giovani in tempesta ormonale senza curarti minimamente di una loro integrazione e ciò che avrai come risultato è un tasso di propensione allo stupro che soltanto la Svezia può raccontare cos’è. Ogni donna che vada incontro a una tale devastante esperienza tenga a mente, se può, che il patriarcato bianco ed etero non c’entra nulla. C’entra la deprimente insipienza della classe dirigente politica italiana ed europea.