Uomini e donne esistono, e sono diversi. Femministe, femministi, attivisti abcdefghi+ e compagnia bella vi diranno che tutti nasciamo identici, tabulae rasae, poi un dottore, tirando a indovinare, vi “assegna un sesso alla nascita”, e su questa base la famiglia, gli insegnanti e le cerchie sociali vi “socializzano” secondo quell’ipotesi – vale a dire vi spingono artificiosamente a incarnare quel “costrutto sociale” arbitrario, ad es. usando determinati pronomi, imponendovi determinati giocattoli e vestiti, eccetera. Ovviamente, sono tutte sciocchezze. E fino a qualche decennio fa non ci sarebbe stato neanche bisogno di precisarlo. C’è chi dice che ormai il wokeismo sia un’ideologia morente, ma sebbene esistano bolle in cui sta certamente arretrando, guardando il panorama più ampio, si nota che invece è vivissimo e gagliardo (anche nelle istituzioni europee, come vedremo prossimamente) ed è perciò importante non abbassare la guardia, e avere gli strumenti per rimetterlo al suo posto. Ci pensiamo noi: in quanto segue vi forniremo una guida essenziale e facilmente comprensibile su come si può distinguere gli uomini dalle donne, e viceversa (cosa che un woke, ovviamente, non è in grado di fare), con tanto di prove.
Partiamo dall’abc: “uomini” e “donne” sono termini che indicano, rispettivamente, gli individui umani adulti di sesso maschile e quelli di sesso femminile. Quindi, per distinguerli è necessario capire cosa siano i due sessi. Non fidatevi dei woke quando vi dicono che i sessi sono “costrutti arbitrari”, o magari che sì, in un certo senso esistono, ma non sono un “sistema binario” (due), bensì uno “spettro” pressoché infinito di condizioni tutte diverse tra loro, che stanno in un continuum tra due estremi puramente ideali e astratti (“maschio” e “femmina”). Come fa Agustín Fuentes, antropologo dell’Università di Princeton, nel volume da poco uscito per la Princeton University Press, Sex is a spectrum. The biological limits of the binary (“Il sesso è uno spettro. I limiti biologici del binarismo”), citando ad es. tra le argomentazioni le insolite peculiarità di astruse specie animali come il labride testa blu – un pesce la cui femmina è in grado di diventare maschio, se manca un maschio dominante – o il ratto-talpa – un roditore che esprime tre “ruoli di genere” principali, come le api: regina, maschi riproduttivi, e maschi operai. (Nota bene: tutti esempi, quelli di Fuentes, in cui i sessi sono e restano i soliti due, maschio e femmina, qed.)
La “cospirazione di estrema destra contro il gender”.
In una recensione del volume di Fuentes uscita a luglio su The Lancet, considerata fino a poco tempo fa una delle riviste scientifiche più autorevoli, Sarah Richardson, docente di women and gender studies all’Università di Harvard e direttrice del GenderSci Lab – il cui obiettivo dichiarato è «contrastare la ricerca sulle differenze tra i sessi e limitare le implicazioni delle conoscenze biologiche su genere e sesso per il legislatore e le vite dei soggetti appartenenti alle minoranze», quindi un fine politico, non scientifico – ha scritto che sostenere che i sessi siano due rende complici di (corsivo nostro qui e nel seguito) «un attacco coordinato da parte dell’estrema destra al fine di demolire il concetto di genere (gender) e cancellarlo dal discorso pubblico e normativo» (notare la “finta contro-propaganda” qui in atto: il “genere” è assunto come lo stato delle cose normale da difendere, mentre i due sessi sono la teoria che si vuole imporre con l’attacco ideologico); e significa essere conniventi con i «bigotti ‘scientifici’ di epoche passate, come l’antropologo ottocentesco J. McGrigor Allan, sostenitore della superiorità degli uomini sulle donne».
Bizzarrie da accademia americana? Magari! Per fare un esempio molto vicino e per niente accademico, non più addietro del 23 ottobre scorso sulla tv generalista La7, è andato in onda un dibattito sul tema dell’“educazione sessuale-affettiva” a scuola (uno dei principali obiettivi dell’attivismo femminista/abcdefghi+, che abbiamo smontato qui), nel corso del quale la giornalista e scrittrice Simonetta Sciandivasci ha affermato (seria): «Io penso che i bambini possano essere educati alla realtà e all’esistente, nella realtà e nell’esistente non esiste solo il femminile e il maschile»; e alle veementi proteste della giornalista Maddalena Loy nel sentire questa caz… questa bislacca idea, ha incalzato piccata: «Forse bisogna abolire anche lo studio dei lirici greci e di tutta la classicità greca che invece prevedevano per esempio il genere neutro».
I sessi sono due, e non possono essere di più.
Ora, checché ne dicano Fuentes e gli attivisti del GenderSci Lab al di là dell’oceano o la Sciandivasci al di qua, i sessi sono solo due, ve lo possiamo assicurare; e per giunta, questo non c’entra un piffero con tizi che due secoli fa sostenevano la superiorità degli uomini sulle donne, né con le regole grammaticali in uso duemila anni fa nella Grecia classica: bensì con milioni di anni di evoluzione. Ma per rendersene conto bisogna capire cos’è il sesso e come funziona. Esistono diverse strategie di riproduzione, ad esempio esistono specie i cui individui si riproducono dividendosi in due parti. Nelle specie più complesse la strategia più comune è la “riproduzione sessuata”, che prevede l’incontro e la fusione di due particelle viventi elementari, detti “gameti”, prodotti dagli individui maturi di quella specie. In origine, i nostri remoti predecessori nella scala evolutiva erano “isogami”, cioè producevano tutti gameti simili. Questi venivano lasciati nell’ambiente e il loro incontro faceva partire il processo di fecondazione e di sviluppo del neo-nato individuo. I gameti, pur essendo simili tra loro, potevano presentare però delle minime variazioni di dimensione. Produrre un gamete ha un costo biologico, per cui gli individui che producevano gameti più grandi, ne producevano di meno, ma quei pochi contenevano più materiale con cui sviluppare e nutrire il nuovo individuo; mentre gli individui che ne producevano di più piccoli, ne producevano in maggiore quantità, ma con meno materiale biologico per sviluppare il neo-nato.
L’incontro tra gameti piccoli, ma numerosi, e gameti grandi, più rari ma pieni di “mattoni” della vita, era il più frequente e proficuo, capace di generare prole con alte chances di sopravvivenza: la fecondazione tra due gameti piccoli non aveva sufficiente materiale su cui far sviluppare l’embrione, mentre la fecondazione tra due gameti grandi, più “costosi” e meno diffusi, era estremamente rara. Perciò, col passare delle ere evolutive, la selezione naturale ha favorito l’evoluzione di due categorie di individui, uno “specializzato” nel produrre moltissimi gameti piccoli, l’altro nel produrre un solo gamete molto grande: lo and behold, ecco il maschio e la femmina. Questo risultato, un sistema anisogamico (cioè con gameti differenti) e “binario” (a due sessi), una volta evoluto, si stabilizza necessariamente: una diminuzione o un aumento ulteriore delle dimensioni dei gameti risulterebbe in varianti inefficienti ai fini riproduttivi, per le ragioni già illustrate, e quindi non sarebbero premiati dalla selezione naturale; idem per una variante di gameti di dimensioni “intermedie”. E lo dimostra il fatto che nella storia delle specie anisogamiche molteplici linee evolutive, del tutto indipendenti tra loro, hanno condotto alla stessa condizione finale: i due sessi. Pur con tutte le differenziazioni di altro tipo che costituiscono la meravigliosa biodiversità del mondo animale. Come illustra egregiamente F. S. Dougan, psicologo evoluzionista (allievo di David Buss) presso l’Università del Texas in un arguto paper pubblicato su Archives of Sexual Behavior lo scorso agosto, dal titolo There are only two sexes and there can never be more (“Ci sono solo due sessi, e non possono essercene di più”: qui una sintesi).
Restiamo umani: quindi uomini o donne.
Il woke a questo punto obietterà che state ignorando gli “intersessuali”, cioè soggetti che non rientrerebbero tra gli uomini e le donne: non statelo a sentire. Già il termine è fuorviante, perché quello che chiamano “intersex” (la “i” di abcdefghi+) è in realtà una condizione nota in ambito scientifico come disturbo dello sviluppo sessuale (disorders of sexual development, DSD), e indica un “intoppo” durante lo sviluppo del nascituro, che fa sì che l’individuo presenti alla nascita caratteri sessuali anomali. Trattasi di una stretta minoranza della popolazione (circa lo 0,018%) e per ciascun tipo di DSD, l’intoppo si verifica sullo sviluppo di un individuo che è comunque maschile o femminile. Come spiega Dougan: «Sebbene in alcuni casi di DSD si hanno soggetti con caratteristiche anatomiche sessuali ambigue o miste, non esiste alcun caso documentato nella specie umana di un individuo in grado di produrre sia sperma che ovuli fertili. … Tutti i casi noti di DSD e anomalie cromosomiche consistono di variazioni dello sviluppo sessuale specifiche di uno o dell’altro sesso: non creano nuove categorie riproduttive, ma riflettono delle condizioni atipiche dello sviluppo di uno dei due sessi esistenti». Il woke vi dirà che questa teoria è falsificata dall’esistenza di specie ermafrodite: non dategli retta. La condizione di ermafroditismo è stata osservata in alcune specie di pesci e anfibi, mai nell’essere umano, e comunque nemmeno l’ermafroditismo smentisce il binarismo sessuale, perché è semplicemente la condizione di poter produrre entrambi i gameti, non un terzo sesso che produce un gamete diverso.
A questo punto il woke, messo alle strette, vi urlerà che se si definisce una persona umana solo dal poter produrre sperma o ovuli, allora i soggetti infertili, o che hanno superato l’età fertile, o i bambini, o i monaci che hanno fatto voto di castità, non sono umani? Certo che sono umani: il sesso è definito dal tipo di gamete che l’individuo è strutturato per produrre (in condizioni di salute e maturità sessuale) – in termini tecnici, dal suo fenotipo – e non dai gameti che attualmente produce. Proprio allo stesso modo in cui il numero di braccia nella specie umana è definito dalla struttura sana e completa del corpo umano (quindi: due), non da quante braccia attualmente ha un tizio cui accidentalmente manca un braccio (tizio che però resta certamente umano). E comunque, cari woke, qua non stiamo parlando di dare o togliere patenti di umanità: definiamo una caratteristica umana, il sesso, che – vi piaccia o no – è naturale, binario, innato e essenziale. Poi ognuno è libero di definirsi (anche) in base al proprio sesso oppure di ignorarlo – ma se si decide di ignorarlo, sempre uomini o donne si resta. Tertium non datur.