I dati sono impietosi e chi ancora si ostina a parlare di aumento della “violenza di genere” dovrebbe fermarsi un attimo a leggere ciò che accade realmente nei tribunali italiani, settimana dopo settimana. Basta scorrere l’ultima raffica di casi chiusi con assoluzioni, archiviazioni e formule pienamente liberatorie per rendersi conto che il vero allarme, quello autentico, è la dilagante epidemia delle false accuse mosse contro gli uomini. La cronaca pullula di esempi grotteschi: dal caso di un artista accusato di vandalismo sessista dalla sindaca di Viterbo (e prosciolto dopo oltre un anno e mezzo!) alla surreale vicenda della presunta violenza sessuale e ricatti durati dieci anni conclusasi in un nulla di fatto e tante macerie lasciate dietro.
Il copione è sempre quello: accuse clamorose, titoli urlati sulla stampa, misure restrittive immediate, e poi una lenta, costosa e purtroppo invisibile verità che affiora troppo tardi. Addirittura, anche lì dove la stessa magistratura chiede l’assoluzione, le denunce restano impresse nei dati e nelle statistiche ufficiali della cosiddetta “violenza di genere”, nutrendo narrazioni tanto allarmistiche quanto prive di riscontro fattuale. Benvenuti nella repubblica della percezione soggettiva, dove basta un capriccio, una vendetta, un piccolo conflitto domestico e – se sei uomo – sei già imputato per maltrattamenti, stalking o peggio.

La macchina infernale delle accuse e la realtà dei dati gonfiati
Non si tratta di eccezioni, ma della prassi consolidata: accuse gravi che si sciolgono come neve al sole non appena si passa dal tribunale mediatico a quello reale. Da un rapporto passionale finito con un’accusa di lesioni, archiviata dopo sei anni per mancanza di reato, alla celebre ex di copertina che passa da parte lesa a indagata per falsa testimonianza nel giro di un’udienza sola, passando per la sfilza infinita di casi gemelli (come quelli registrati a Castelfranco, Viterbo, Avellino, Salento, Lecce, Sora e Montebelluna): identica l’accusa, identico l’epilogo, identici i danni incalcolabili per chi le subisce. Nel Paese delle denunce automatiche e delle sentenze che, alla fine, smontano accuse scritte sulla sabbia, la vera vittima è il principio di innocenza, la credibilità della giustizia e di chi usa i dati in modo strumentale.
Se basta una dichiarazione soggettiva a far scattare braccialetti elettronici, misure restrittive e processi farsa, salvo poi archiviare tutto quando ormai i danni personali, professionali ed economici sono irreparabili, allora significa che è il modello stesso a essere marcio. E mentre i dati e le statistiche dei nuovi paladini del “diritto di percezione” schizzano alle stelle, i tribunali restano sommersi da procedimenti costruiti sul nulla, intasando il sistema e producendo solo altra polvere negli occhi di chi vuole davvero capire. Invitiamo chiunque sia davvero interessato alla giustizia e alla verità dei fatti a esplorare le altre inchieste pubblicate qui su LaFionda.com e consultare i materiali dell’Osservatorio Statistico: solo partendo dai dati, e non dagli slogan, si ricostruisce la realtà. Chi non vuole vedere questa deriva, molto semplicemente, è complice.