L’Assessore alle Pari Opportunità del Comune di Senigallia, Cinzia Petetta, annuncia di voler realizzare il 19 novembre prossimo una “Festa dell’Uomo”, con la motivazione di rivolgersi «sia a chi commette violenza, che a quelli, la maggior parte, che si comportano bene come padri, mariti, cittadini». Orrore! Come al solito, le accanite oppositrici al concetto più alto e completo di pari opportunità proprio non riescono a trattenersi. Sdegno. Preoccupazione. Indignazione. Profonda contrarietà. «Un palese ideologico disconoscimento della realtà e del percorso di emancipazione femminile». Come una giornata di festa dell’uomo possa bloccare l’emancipazione femminile, è un mistero che solo la femminuccista più infervorata può svelare. Addirittura! Come mai? Perché «tale scelta presuppone ed implica una pretestuosa contrapposizione ed una fuorviante equiparazione tra questa Festa dell’Uomo e la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne (…) La proposta assessorile sembra sottendere e palesare altresì una presunta contrapposizione tra mondo maschile e mondo femminile in cui non ci riconosciamo».
No ragazze, leggete meglio, non è difficile; se proprio non riuscite a capire fatevi fare un disegnino. L’assessore di Senigallia Petetta non ha detto di voler istituire una giornata per celebrare gli uomini vittime di violenza femminile. Cosa cazzo c’entra il 25 novembre? Dove sia la contrapposizione uomo-donna lo vede solo il femminuccismo più ottuso. Infatti… «le realtà femministe, nella diversità possibile di approcci e sottolineature, ritengono sempre più necessario anche il coinvolgimento di uomini “consapevoli” – in quanto padri, fratelli, nonni – nel contrasto al devastante strutturale fenomeno del femminicidio». Come come come? Visto che il corporativismo rosa detta l’agenda politica ovunque, perché dovrebbe il Comune di Senigallia non sottomettersi al diktat femminuccista? Le incazzatissime virago, dando lezioni di democrazia, si arrogano il diritto di stabilire cosa sia politicamente corretto e cosa non lo sia e, a quanto pare, una festa dell’uomo non lo è. Chiaro? In un solo caso può essere tollerato il coinvolgimento degli uomini, provate a indovinate qual è? Ma è ovvio, il femminicidio!

Innumerevoli precedenti.
Gli uomini non devono avere una loro giornata di festa, né a Senigallia né altrove, ma, in via del tutto eccezionale, possono essere benevolmente coinvolti nelle manifestazioni di donne che combattono il femminicidio. In quei contesti hanno il permesso di esistere per pentirsi di essere uomini ma, si badi bene, non tutti. Il privilegio è riservato a quelli “consapevoli”, vale a dire consapevoli di essere considerati inferiori dalla dittatura rosa e partecipare solo se le femminucciste aprono le gabbie e consentono loro di scendere in piazza. Ulteriore selezione: la concessione femminuccista è circoscritta a padri, fratelli e nonni, lo scrivono testualmente. Esclusi a priori mariti, fidanzati e conviventi, sembra che alle femminucciste stia proprio sulle ovaie l’idea che possano esistere coppie felici. Un uomo, se adeguatamente indottrinato, può quindi essere “consapevole” (qualunque cosa voglia dire per le loro bizzarre testoline) ma deve essere un nonno, un padre o al massimo un fratello. Gli uomini che formano una famiglia, con matrimonio o senza, possono essere solo “il nemico”, tutti potenziali assassini.
Selezione femminuccista a parte, il concetto è che gli uomini non possono e non devono avere un loro spazio per celebrare la positività maschile. Non so se Cinzia Petetta intendesse premiare gli uomini che si sacrificano per salvare le vite degli altri o la memoria di quelli che crepano per portare il pane a moglie e figli, non so se intendesse dare visibilità ad imprenditori locali che creano posti di lavoro, sacerdoti che aiutano prostitute e tossicodipendenti, oppure carabinieri, poliziotti, medici, vigili del fuoco, sommozzatori, bagnini, atleti o qualsiasi altro uomo che si sia distinto nel territorio di Senigallia a beneficio della collettività. Il bizzarro sdegno per l’iniziativa della Petetta segue un nutrito filone di proteste analoghe, l’ultimo anello della catena è la protesta – perfino istituzionale – per l’apertura a Roma di uno sportello di ascolto per uomini maltrattati. Prima ancora la protesta a San Benedetto per una panchina inclusiva che osava condannare la violenza subita da chiunque, uomini, donne, anziani e bambini; poi le proteste per i manifesti di Bologna e di Napoli; in mezzo un numero infinito di boicottaggi dei convegni nei quali non avrebbe dovuto essere concessa la parola a odiatissimi uomini che osano fare un’analisi critica del femminismo. Sono ammesse solo le foche ammaestrate, quelle che applaudono a comando.
Senigallia: avamposto delle pari opportunità
Dire “la penso diversamente” non è più concesso, il femminuccismo rivendica il diritto di stroncare opinioni non allineate ma lo fa sempre in nome dell’inclusione, della democrazia, delle pari opportunità e del politically correct. Un comunicato che parla di femminicidio poteva dimenticare il Guru onnipresente? Certo che no, eccolo: «un illuminate esempio è l’appello “al maschile” rivolto da Gino Cecchettin in primis proprio agli uomini, a seguito della brutale uccisione di sua figlia Giulia». Un passaggio che non ha nulla a che vedere con la festa dell’uomo di Senigallia ma è significativo per comprendere, se ancora ce ne fosse bisogno, il condizionamento ideologico alla base delle proteste antimaschili: «È importante sapere che da alcuni anni sono operanti in Italia ed anche nelle Marche, a partire da esperienze anticipatrici del privato sociale, alcuni “Centri per Autori di Maltrattamenti (CAM)”, sostenuti da appositi finanziamenti statali inseriti nella programmazione regionale in materia di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne, Centri in cui, in analogia a quelli dedicati a donne vittime di violenza maschile, opera personale “qualificato” e appositamente “formato”».
Al tempo: ci spiegano che c’è uguale attenzione per tutti, donne maltrattate e uomini maltrattanti. Per le prime esistono i CAV, per i secondi i CAM, e tutti sono foraggiati con denaro pubblico. Quindi le donne vengono prese in carico quando sono vittime (o dicono di esserlo senza esserlo davvero, ma quello sulle false accuse è un altro discorso); gli uomini vengono presi in carico quando sono violenti. Donne autrici di violenza? Niet Uomini vittime di violenza? Niet. Il fenomeno a ruoli invertiti non esiste, e se esiste chissenefrega perché la politica non deve occuparsene, né quella locale né tantomeno quella nazionale. Lo sconfinamento nella violenza sembra essere un’ossessione per le scalmanate che salgono sul pulpito a combattere qualsiasi iniziativa a favore dell’universo maschile. Anche quando non c’entra assolutamente una beata minkia, comunque femminicidio, CAV e Cecchettina ci stanno sempre bene. La chiosa: «le donne, da sempre, ma in particolare a partire dalla rivoluzione femminista degli anni settanta, rivendicano “pari diritti” in ogni campo». Ok, quindi rivendicare pari diritti significa negare quelli altrui. Et voilà, ecco il femminuccismo spiegato facile. Anche all’assessore di Senigallia. Che speriamo tenga duro e a cui mettiamo a disposizione tutti i nostri dati e le nostre ricerche.