La Fionda

Infamia. Come l’ideologia sta sporcando la memoria di Charlie Kirk (2)

Che c’entra l’ideologia espressa nella parte precedente di questo articolo con Charlie Kirk? Egli sarebbe stato corresponsabile della “oppressione sistemica e strutturale” di neri, omosessuali, persone con “disforia” etc., e quindi un “seminatore d’odio”, non in virtù di crimini commessi, o di atti “oppressivi” concreti di qualsiasi tipo (sfidiamo chiunque a indicare un video di Kirk in cui egli enunci un’incitazione alla violenza), ma in virtù delle sue legittime idee. Secondo i woke, infatti, la “oppressione sistemica” di cui sopra si manifesterebbe e veicolerebbe non solo mediante reati o atti concreti, ma anche mediante idee che – per parafrasare ad es. la formulazione presente nel fu Ddl Zan – sarebbero «idonee a determinare il concreto pericolo» di futuri, ipotetici, reati o atti concreti discriminatori o violenti. Quindi, il libero pensiero, se giudicato (così, a naso) “idoneo a determinare etc.” da qualche woke, allora non deve essere più libero: dev’essere equiparato a un atto concreto discriminatorio e oppressivo, e sanzionato. Chi intrattiene quel tipo di idee è quindi automaticamente corresponsabile della “oppressione violenta” contro le categorie oppresse, e in quanto tale non si può lamentare poi se viene usata la violenza “rivoluzionaria e liberatoria” contro di lui.

Ma quali sarebbero queste idee violente e oppressive diffuse da Kirk? In questi giorni stanno girando articoli e post, spesso copiati-incollati acriticamente, che elencano le presunte esternazioni di Kirk che l’inchioderebbero alla sua “omofobia, transfobia, razzismo” e insomma alla sua responsabilità morale come “seminatore di odio”. Peccato che si tratti di una gran quantità di bufale, in alcuni casi patentemente false, in altri decontestualizzate in modo da distorcere il significato originale trasmesso da Kirk, ma che si diffondono facilmente come memi tra chi vuole delegittimare il personaggio o la sua parte politica. Prendo per prima la più scenica, che sarebbe esemplificativa della sua “omofobia”: Kirk avrebbe invocato “la legge perfetta di Dio” secondo cui sarebbe giusto “lapidare gli omosessuali”. Lo ha riportato ad esempio Gay.it, ma ben più notoriamente lo ha asserito Stephen King in un post su X. Con la differenza che su Gay.it è ancora tutto lì, mentre King ha cancellato il post e si è scusato pubblicamente, riconoscendo che Kirk, nel discorso originale, stava citando quel passaggio della Bibbia come esempio negativo, da condannare, precisamente per sottolineare come alcuni facciano cherry-picking di alcuni passi della Bibbia ignorandone altri, allo scopo di sostenere tesi pro-“LGBTQ”. Al contrario, Kirk ha sempre avuto un atteggiamento positivo e accogliente verso gli omosessuali, operando anche in favore di una loro maggiore inclusione nel movimento conservatore.

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Charlie Kirk con Donald Trump.

Contro il razzismo della “affirmative action”.

Un’altra infamia è il presunto “razzismo” di Kirk, basato ad esempio sulla presunta affermazione: “Michelle Obama, donna di colore, ha un cervello inferiore a quello di una donna bianca”, riportata come citazione virgolettata, quindi letterale, addirittura da La Stampa. Ma anche questo Kirk non l’ha mai detto. La bufala ha origine da un discorso fatto da Kirk nel suo show radiofonico il 13 luglio 2023, il cui senso è totalmente diverso ed è una critica alla “affirmative action” vigente negli USA (una sorta delle nostre “quote rosa”, ma in favore dei soggetti di colore): «Se avessimo affermato soltanto tre settimane fa che Joy Reid, o Michelle Obama, Sheila Jackson Lee o Ketanji Brown Jackson hanno fatto carriera grazie alle ‘quote affermative’, ci avrebbero dato dei razzisti. Ma ora lo hanno ammesso loro stesse! Vengono fuori e dicono: ‘Sono qui soltanto grazie alla affirmative action’. Beh, l’avevamo capito. Non hai abbastanza capacità cerebrale da essere preso sul serio: allora per poter essere scelto devi andare a rubare il posto a un bianco». Formulazione forse infelice, ma è evidente che Kirk non ha mai detto che “Michelle Obama, in quanto di colore, è inferiore ai bianchi”.

Ha invece criticato, legittimamente, una politica di selezione che anziché basarsi sul merito delle singole persone, valutato in modo oggettivo ed equo, si basa su una presunta “oppressione” di alcune categorie per cui queste devono essere automaticamente privilegiate rispetto ad altre, a prescindere da titoli e merito. Una politica di selezione intrinsecamente razzista, che Kirk contrasta: per esemplificarla, però, necessariamente doveva menzionare degli esempi di persone di colore che ne hanno beneficiato. Alla stessa radice (la critica alle “quote affermative”) risale un’altra esternazione che viene imputata a Kirk, e cioè «quando vedo un pilota nero su un aereo mi chiedo se è qualificato». Nel discorso originale di riferimento, del gennaio ‘24, come si può verificare qui Kirk afferma esplicitamente di pensarla, alla base, in modo opposto: ma usa quella frase per muovere di nuovo una critica al meccanismo delle “quote affermative”, che portano al rischio concreto che una persona di colore, non sufficientemente qualificata, sopravanzi nella selezione una persona non di colore, ma più e meglio qualificata per quel lavoro, magari di grande responsabilità come pilotare un aereo di linea.

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In difesa della dignità umana, senza categorie o etichette.

Il reale pensiero di Kirk si può evincere anche ad esempio da quest’altro suo discorso, che ovviamente la propaganda infame si guarda bene dal diffondere: «Non sarai mai la versione migliore di te stesso, se permetti agli altri di convincerti che non puoi essere migliore a causa del colore della tua pelle, della tua identità sessuale, della comunità da cui provieni. Devi resistere a queste narrazioni, se vuoi essere una persona di successo in America». Kirk, in altre parole, ben lungi dall’essere un razzista (cosa smentita anche dalla quantità di persone di colore che, avendolo conosciuto, si stanno esprimendo in tal senso, tra cui anche alcune celebrità come Terrence K. Williams), rifiutava le politiche dell’identità, estremamente forti negli USA, a favore di una visione in cui ciò che conta davvero è la dignità umana in quanto tale, e il merito e i valori della singola persona, e non le sue caratteristiche sessuali, etniche, o “identitarie”. Una “blindness”, cecità, verso le caratteristiche tipicamente magnificate dal wokeismo, per concentrarsi invece su ciò che accomuna tutti gli esseri umani e sulla possibilità di essere artefici attivi e autonomi del proprio destino. Tutto questo risulta intollerabile per chi incentra su quelle categorie la falsa narrazione “oppressore/vittima” su cui struttura il proprio attivismo e la propria rivendicazione di privilegi, eccezioni, “quote”, e la propria agenda contro la famiglia “tradizionale”, la patria, il binarismo sessuale e le altre categorie naturali dell’umano, mascherando questa “rivoluzione culturale” queer e transumanista da difesa de “idiritti” umani fondamentali.

Forse l’unica affermazione che viene imputata a Kirk in modo corretto e non manipolato, da coloro che stanno festeggiando sul suo cadavere, è quella sulle armi: «Vale la pena accettare qualche morto in più, se questo significa poter esercitare il diritto di avere un’arma per difendere gli altri diritti concessi da Dio». Kirk stava qui sostenendo (si legga il discorso completo) il diritto dei cittadini di armarsi, in virtù del Secondo Emendamento, che è parte della Costituzione americana, piaccia o no agli oppositori. Questo diritto fu incluso dai padri costituenti per garantire ai cittadini la possibilità di una resistenza efficace contro abusi di potere violenti da parte di governi tirannici, come Kirk ha in varie occasioni spiegato. Si può essere d’accordo o meno (chi scrive è convintamente non-violento e contrario all’uso delle armi, ad esempio), ma la domanda da porsi è: questo giovane uomo, questo padre di famiglia, stava facendo davvero qualcosa di così sbagliato, nell’esprimere un legittimo parere in difesa della Costituzione americana, da giustificare e rendere moralmente accettabile la sua eliminazione fisica?

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Charlie Kirk con Terrence K. Williams, attore e comico, tra i tanti che lo difendono dall’accusa di “razzismo”.

Ritrovare una connessione umana con chi è in disaccordo con noi.

Per ragioni di spazio non approfondirò tutte le altre manipolazioni o bufale sul conto di Kirk, invitando il lettore a diffidare di qualsiasi cosa senta o legga sul suo conto in questi giorni, e a verificarla in modo preciso, risalendo alla fonte primaria, prima di crederci, valutarla, e diffonderla ulteriormente (un debunking esauriente delle bufale su Kirk “razzista, omofobo, transfobico, seminatore d’odio”, ad opera di uno youtuber di colore e omosessuale, si può trovare qui). La propaganda infame peraltro sta coinvolgendo anche il suo assassino, Tyler Robinson, con l’intenzione di farlo apparire come un militante di estrema destra, e far risultare l’intero evento come un “regolamento di conti” interno al conservatorismo americano: altra bufala colossale costruita ad arte (ad esempio manipolando una foto di Robinson per farlo apparire un sostenitore di MAGA e di Trump) su cui però non mi soffermerò in questa sede.

Qui mi interessava soprattutto provare a ripulire l’immagine e la memoria di Charlie Kirk dall’infamia vergognosa che lo sta colpendo in questi giorni, da parte di gente che non si fa alcuno scrupolo morale quando si tratta di portare avanti la propria agenda ideologica e politica. Gente che dovrebbe imparare da persone come Charlie Kirk, piuttosto che fare “victim blaming” e festeggiare sul suo cadavere. Chiudo con un’ultima citazione di Kirk, un auspicio che in questi tempi suona quanto mai urgente: «Quando le persone smettono di parlarsi, si apre la strada alle cose peggiori. Se marito e moglie smettono di parlarsi, finiscono per divorziare; se un popolo non intrattiene una sana discussione interna, si arriva alla guerra civile. Quando non si sente più una connessione umana con coloro con cui non si è d’accordo, diventa molto più facile concepire l’uso della violenza contro di essi. Perciò è urgente, in questa fase della nostra cultura, tornare ad essere capaci di una gestione razionale del disaccordo, in cui la violenza non è un’opzione».



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