Ha fatto scalpore la vicenda del cosiddetto “stupro di Palermo”, con gli ultimi risvolti svelati dal podcaster Gioacchino Gargano (chapeau!). Gli avvenimenti sono noti: due anni fa, una ragazza allora ventenne, di nome Asia Vitale, denunciò sette ragazzi accusandoli di averla stuprata in gruppo. I fatti ovviamente sconvolsero l’opinione pubblica, che si schierò dalla parte della ragazza, linciando pubblicamente gli accusati, di cui vennero diffuse le foto, i nomi, e ogni altro aspetto della vita privata. Emerse che la giovane si era allontanata volontariamente con i ragazzi, a tarda notte, presumibilmente dopo aver fatto uso di alcolici, ma era letteralmente impossibile affermare – pur esprimendo una condanna severissima per gli autori del presunto stupro – che quel tipo di condotta fosse rischiosa, perché si veniva immediatamente accusati di essere “complici degli stupratori” o di “giustificare lo stupro”. Anzi, la vicenda stessa rinfocolò l’onnipresente retorica e fraseologia femminista sulla “cultura dello stupro” che permeerebbe il nostro tessuto sociale, su come gli autori della violenza fossero dei figli sani del patriarcato, su come in Italia la violenza sessuale sia una condotta non punita dal nostro legislatore o quanto meno punito poco severamente, su come questa vicenda esprimesse la normalità di quanto accade a moltissime donne ogni giorno (solo che non denunciano) e via di seguito. Eppure sin da subito erano emersi altri elementi (come le testimonianze di persone che conoscevano questa ragazza) che qualche dubbio sulla coerenza della retorica sui “figli sani del patriarcato” effettivamente lo sollevavano, ma nel clima di giacobinismo femminista imperante era praticamente impossibile discostarsi dalla salmodia prestabilita.
Nel corso di questi due anni Asia Vitale ha iniziato a vendere contenuti per adulti, ha rilasciato interviste in cui ha affermato che “lavorare è uno spreco di tempo” e altre non molto diverse (ad esempio una in cui affermava di aver girato un video su un finto stupro). Queste dichiarazioni peraltro non hanno determinato reazioni di violenza verbale nei suoi confronti, ma al più si è detto che è una ragazza traumatizzata da quello che ha subito e che ha probabilmente bisogno di aiuto. E questo tipo di comprensione nei suoi riguardi si è manifestata anche quando è stata denunciata per aver inseguito per strada il proprio ex ragazzo brandendo un coltello. Tuttavia, qualcosa è iniziato a cambiare quando è stato reso noto che il suo avvocato rinunciava al mandato, affermando che a seguito di fatti recenti non riteneva più che la propria assistita fosse credibile e attendibile nella narrazione degli avvenimenti che la riguardavano. Pochi giorni dopo è emersa l’esistenza di un audio (una conversazione telefonica con il podcaster Gargano) in cui Asia Vitale afferma di essersi inventata tutto. L’audio a breve verrà reso pubblico ma è già parzialmente disponibile.

Asia Vitale una delle tante false accusatrici?
Ciò che colpisce ascoltando l’intervista delle Iene ad Asia Vitale è che la ragazza ammette l’iniziale presenza del consenso, anzi addirittura dice di essere stata lei a proporre ai ragazzi di appartarsi. Dopo però dice anche che non era lucida in quanto aveva assunto alcolici e stupefacenti e che poi questo consenso lo avrebbe ritirato (sebbene non esplicitamente). Al di là della discrepanza tra queste dichiarazioni e quelle della conversazione telefonica, in cui invece afferma che era pienamente consapevole di quanto stesse avvenendo e di avere anzi orchestrato lo stato di finta alterazione psicofisica, quello che colpisce è l’insistenza sul “il consenso inizialmente c’era, ho chiesto io a loro di avere un rapporto di gruppo, ma poi non ho capito che è successo”. Sono frasi che colpiscono perché proprio di recente la Boldrini, la Valente (insieme ad altri parlamentari e senatori) e una pletora sterminata di giornaliste e personaggi pubblici, hanno affermato che nel nostro ordinamento la violenza sessuale in sostanza non sarebbe punita, che sarebbe assolutamente legale costringere una donna ad avere rapporti sessuali prescindendo dall’elemento del consenso, che gli uomini italiani sono una orda di stupratori e che per questo hanno proposto un disegno di legge che prevede che non si possa (più) costringere qualcuno ad avere rapporti sessuali contro la sua volontà.
Ora, poiché nel nostro ordinamento la violenza sessuale è già punita, molti hanno commentato il DDL presentato dalla Boldrini come la previsione dell’introduzione di un modulo da firmare prima delle consumazione di un rapporto sessuale. Commenti superficiali in realtà: il DDL della Boldrini, all’atto pratico, non prevede alcun modulo. Esso si sostanzia in una proposta di modifica del testo dell’articolo 609 bis del codice di procedura penale, che si articola in due passaggi. Il primo è l’introduzione della formula “in assenza di consenso”. Si avrebbe dunque un incipit così (corsivi nostri): «Art. 609-bis. – (Violenza sessuale) – Chiunque, in assenza di consenso, costringe o induce taluno a compiere o subire atti sessuali è punito eccetera…». Il secondo è: «Agli effetti dell’articolo 609-bis del codice penale, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, per consenso si intende quello espresso quale libera manifestazione della volontà della persona e che rimanga tale e immutato durante l’intero svolgersi dell’atto sessuale. Il consenso deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto e può essere revocato dalla persona in qualsiasi momento e con ogni forma». Come è del tutto evidente, l’inserimento della espressione “in assenza di consenso” all’interno di una formulazione che già esprime la punibilità della condotta di chi costringe o induce qualcuno a commettere o subire atti sessuali è totalmente pleonastica. Sarebbe come dire che oggi vi sia una area di impunibilità per chi costringe o induce qualcuno a commettere atti sessuali contro la propria volontà ma lo fa con il consenso di quella persona: una frase senza alcun significato e che infatti non ha alcuna possibilità di essere sostenuta attraverso l’indicazione di casi pratici e reali.

Il vero scopo della proposta Boldrini
Ma quale è o quale può essere l’intendimento di una proposta simile? Il primo a nostro avviso è palese ed è quello permeante la narrazione che lo ha accompagnato, ovvero diffondere l’idea che in Italia sia possibile costringere le donne ad avere rapporti sessuali contro la loro volontà, che la violenza sessuale quasi non sia punita, che in Italia a tal proposito vi sia una emergenza, perché un numero impressionante di donne, una su tre, sia vittima di violenza sessuale, che ciò deriverebbe da una “cultura patriarcale”: in altre parole, rinforzare e sostenere la narrazione femminista. Del resto, la reazione dei commentatori (purtroppo anche tra gli attivisti della Questione Maschile) non è stata quella di chi seriamente e lucidamente analizza il problema e ne restituisce una altrettanto lucida risposta, ma di chi si limita a scherzare sul fatto che “la Boldrini vuole il modulo”, senza sapere aggiungere due parole in più (se non di peggiori). E qualcosa c’è da dire anche sulla parte che introduce la revocabilità del consenso e che così tanto fa venire in mente la vicenda di Asia Vitale. Sgombriamo immediatamente il campo da ogni dubbio: nessun giudice oggi non condannerebbe per violenza sessuale un uomo che costringe una donna ad un rapporto sessuale e poco importa il fatto che ci fosse stato qualche bacio o qualche gesto desiderato da entrambe le parti. Nel momento stesso in cui insorge la violenza (ovviamente sotto forma anche delle minacce di qualsiasi natura) essa viene punita. Lo stesso giudizio di condanna è espresso e condiviso dal corpo sociale.
Quale è allora lo scopo di questa proposta di modifica? Un primo obiettivo coincide con il precedente e con i suoi corollari, un secondo potrebbe essere quello di indebolire le tutele legali e le garanzie processuali di chi viene denunciato come autore di una violenza sessuale, che potrebbe essere giudicato colpevole sulla base delle mere dichiarazioni del suo accusatore: se il consenso diventa revocabile in qualsiasi momento e se la sua espressione è suscettibile di avere qualsiasi forma, in astratto potrebbe benissimo prefigurarsi il caso di una donna che riesce a ottenere la condanna dell’accusato sulla base di una affermazione totalmente autoreferenziale: “sei mesi fa o cinque anni fa, in quella sera, in quel preciso momento, non ero consenziente; siccome adesso sto affermando che il mio consenso è venuto meno, sulla base di questo esclusivo elemento voglio essere considerata vittima di una violenza sessuale e che la persona che sto indicando sia condannata nei termini di legge”. Questo scenario, che già in moltissimi casi si realizza oggi (come dimostra la vicenda di Asia Vitale), non è così irrealistico o lontano come si potrebbe immaginare. Ma c’è di più, qualcosa che va ben oltre il dramma psico-cognitivo della mente boldriniana (su cui per pietas cristiana ormai non ce la sentiamo più di tanto di infierire: tanto basta sentirla parlare, fa tutto da sola). Ci riferiamo alla forza con cui la campagna di odio contro gli uomini e le mistificazioni femministe vengano continuamente rilanciati, la totale assenza di anticorpi nel tessuto sociale e l’impossibilità in Italia (come altrove) di aprire un dibattito libero, civile e razionale sulle relazioni tra uomini e donne. A tutela di tutti.