Se qualcuno pensa che la macchina della giustizia sia infallibile o che la narrazione pubblica non abbia preferenze, basta uno sguardo ai casi più recenti per rendersi conto del contrario. Ogni settimana emergono nuovi episodi che svelano una realtà inquietante: uomini travolti da false accuse, spesso costretti a subire anni di processi, misure cautelari e pubblica gogna, salvo poi essere assolti quando ormai la loro vita è stata inevitabilmente devastata. Nel palcoscenico italiano il copione si ripete implacabile: è sufficiente una denuncia per diventare un mostro agli occhi di tutti, perché la spettacolarizzazione della “violenza di genere” non tollera altro finale. Se poi alla prova dei fatti, di fronte alla giustizia, tutto crolla, poco importa: il danno rimane, nelle statistiche e nell’esistenza delle vittime (vere, questa volta) di accuse infondate.
Prendiamo il recente caso di Asia Vitale a Palermo. Una storia che fa letteralmente sgomento: sei ragazzi in carcere sulla base della versione di una sedicente vittima che poi sconfessa sé stessa in un audio fuori onda. Non serve la fantasia: è tutto raccolto nero su bianco, anche l’addio dell’avvocato difensore che, riascoltando i racconti di Asia, ha deciso di abbandonare la nave giusto un attimo dopo aver perorato l’accusa con fervore tribunalesco. Sembra uno sketch tragicomico, eppure a Palermo qualcuno rischia di rifare il processo da capo perché la presunta vittima, in un’intervista podcast, ammette di aver mentito e di essere stata consenziente (audio alla mano, da certificare con tanto di perito tecnico). L’avvocato cambia rotta, la narrazione crolla, la giustizia sanguina e, finalmente, la verità trova uno spiraglio. Ma intanto sei ragazzi restano invischiati nel tritacarne del sospetto, con annesse condanne definitive da riscrivere.
Quando la giustizia arriva tardi, gli uomini pagano sempre
Le cronache di giustizia ne sono piene: un uomo accusato dalla compagna di maltrattamenti e stalking viene assolto dopo lunghe vicissitudini giudiziarie, perché – lo avreste mai detto? – ai giudici servono le prove prima di condannare qualcuno (accidenti a questa di esasperante pignoleria della giustizia italiana…). E ancora: un altro uomo, accusato di insulti e botte dalla moglie, finisce assolto perché risulta tutto inventato, con tanto di audio e video a discolpa (il caso vuole che certe accuse nascano sempre a ridosso di una separazione, ma sarà solo una coincidenza). Le stesse dinamiche emergono persino in accuse gravissime di tentato omicidio, dove uomini finiscono mesi agli arresti prima che la presunta vittima ritratti e scenda tutto il castello delle “prove” (nessun referto, nessuna volontà omicida, niente di niente).
Se la parola d’ordine dovesse essere allarme, che si dia allarme sulle false accuse, piaga occultata da una narrazione dogmatica e dal Codice Rosso che lascia solo macerie. Uomini assolti perché il fatto non sussiste ma che rimarranno nei numeri delle denunce “di genere”, innocenti privati dei figli per anni, famiglie distrutte perché basta una dichiarazione, magari condizionata o manipolata, per distruggere reputazione e futuro, oltre che l’intero sistema di giustizia. E poi i titoloni sulle testate: si grida allo stupro e alle violenze senza attendere le sentenze, perché la narrazione non può permettersi ripensamenti (si urla al “pomeriggio di violenze” mentre la procura chiede assoluzioni). Persino nelle accuse più infamanti, come quella di abuso su minori, l’assoluzione arriva solo in Appello dopo anni di ostracismo e sofferenza e la verità non interessa più a nessuno. E intanto le denunce restano nelle statistiche della fantomatica “violenza di genere”, falsando la percezione pubblica, sgretolando il sistema di giustizia e alimentando una narrazione a senso unico. Invitiamo tutti a leggere altri approfondimenti su LaFionda e sull’Osservatorio Statistico, perché occorre finalmente ridare dignità a quella parte silenziata di verità che riguarda gli uomini ingiustamente accusati.