Qualche giorno fa è uscito un arrabbiatissimo articolo sul sito VoxNews, che stigmatizzava il tentativo di censura della presentazione del libro “Le vite delle donne contano”, scritto dalla giornalista Francesca Totolo e avente per oggetto la violenza di genere perpetrata da immigrati. Dell’articolo condividiamo l’indignazione per la protesta censoria inscenata contro il libro di Francesca Totolo, ma non condividiamo l’analisi che viene fatta del conflitto fra femminismo e immigrazione, né i toni con i quali viene fatta. Preferiamo, nel merito, un’analisi più pacata, a volte venata di ironia ma non per questo meno approfondita. In questo senso possiamo dire che nel caso della Totolo non c’è niente di nuovo, il fronte del bavaglio femminista resta sempre lo stesso, caratterizzato da una singolare interpretazione dei concetti di democrazia e pari opportunità, che si traduce in “ognuno è libero di dire tutto quello che vogliamo noi”. Si contano a migliaia gli esempi di bavaglio democratico, non ultima la polemica della vicesindacA Clancy sui manifesti di Bologna. Nel mirino delle democratiche finiscono anche tutte le donne che non urlano al mondo il proprio odio verso il maskio/bianco/etero/occidentale/figlio sano del patriarcato.
Ora è il turno di Francesca Totolo, colpevole di avere detto la verità: l’immigrazione incontrollata comporta l’ingresso di soggetti ad alto tasso di criminalità, sia per quanto attiene ai reati contro il patrimonio che – soprattutto – ai reati contro la persona. Non è vero che le femministe sollecitino le vittime di stupro a rimanere in silenzio quando il carnefice è straniero, è vero però che cortei, fiaccolate, flash mob, indignazione politica e conseguente eco mediatica siano convogliate verso i reati commessi da italiani. Crediamo che l’obiettivo non sia proteggere l’immagine degli immigrati, perlomeno non solo, ma anche altro di cui parleremo alla fine. È vero però che la statistica, quando viene piegata al servizio dell’ideologia, può essere plasmata per far dire ai numeri ciò che si vuole. Ad esempio una nutrita schiera di parlamentari, Boldrini in testa, ama dire: «ok, sarà anche vero che gli immigrati commettono violenze, maltrattamenti e stalking, ma la maggioranza di tali reati sono commessi da italiani». Grazie al cazzo, direbbe qualcuno, ma noi preferiamo evitare le volgarità quindi non lo diciamo, perché anche la persona più ingenua e sprovveduta, tipo l’On. Boldrini, capirebbe che se la minoranza dell’8,5% della popolazione commette il 49% dei reati, è fuorviante sostenere che il problema è il restante 91,5% che commette il 51% dei reati.

Il problema è in casa.
Resta il fatto che non serva a nulla misurare in termini assoluti il tasso di criminalità di una minoranza, per un’analisi realistica è necessario misurarne l’agito in valori percentuali. Su 10.000 italiani, 10 sono condannati per furto. Su 50 stranieri, 5 sono condannati per furto. Gli italiani condannati sono effettivamente di più, ma non se ne può dedurre che siano più inclini a delinquere degli stranieri. Chi lo fa, mente sapendo di mentire. Oppure è la Boldrini. Discorso valido non solo per i reati di genere, ecco un altro esempio di notizia strumentalizzabile: una tigre fugge dalla gabbia e uccide un bambino in visita allo zoo. Può essere letta, interpretata e propagandata in maniera diversa, a seconda di cosa si voglia sostenere. I dati oggettivi dicono che le vittime di tigri fuggite dallo zoo sono rarissime, capita una volta ogni 10 anni (forse), mentre sono milioni i bambini che hanno cani in casa anche se ogni anno 3 o 4 bambini vengono sbranati dai cani con i quali stavano giocando. Comparare questi dati può dare vita a statistiche fantasiose e conclusioni contrastanti, tipo: si registrano più vittime dei cani (4 ogni anno) che delle tigri (1 ogni 10 anni), quindi i cani sono più letali delle tigri. Oppure: il 100% delle tigri uccide un bambino in città, lo 0,000001% dei cani uccide un bambino in città, quindi le tigri sono più letali dei cani. Se poi si contano i decessi per shock anafilattico si può sostenere che persino le api uccidono ogni anno più persone di una tigre, quindi se ne deduce che le api siano più aggressive delle tigri.
Le strumentalizzazioni ideologiche delle statistiche possono essere infinite, basta avere chiaro il fine al quale tendere. È ciò che accade con i femminicidi, le violenze sessuali e tutti i reati cosiddetti “di genere”, numeri gonfiati ad arte per costruire emergenze in realtà inesistenti. Documentiamo, da pionieri pluriennali (ben prima e meglio dei pionieri dell’ultima ora) le denunce da Codice Rosso conteggiate come se fossero condanne definitive e le varie bufale inserite nel conteggio dei femminicidi per poter lanciare l’allarme farlocco “una vittima ogni due o tre giorni”. Torniamo quindi all’articolo di VoxNews: pur condividendo le rilevazioni sui crimini commessi da immigrati, non ne condividiamo la lettura sulle motivazioni dell’oscuramento mediatico e istituzionale. Non crediamo sia vero, ad esempio, che «le femministe, con la loro propaganda schifosa, vogliono che le donne italiane stiano zitte, si lascino stuprare e picchiare in silenzio dai migranti», oppure che «le nostre ragazze vengano messe a rischio con una campagna di propaganda che induce le più giovani a sottovalutare l’emergenza criminalità d’importazione». Il motivo è un altro e si annida nella necessità febbrile di colpevolizzare gli uomini italiani – tutti, senza esclusioni – come fonte dei mali del mondo – tutti, senza esclusioni – . Il problema, secondo il femminismo tossico, lo abbiamo in casa. È il maschio/bianco/etero/figlio sano del patriarcato.

Il patriarcato spendibile.
L’Italia è un Paese cronicamente patriarcale, il patriarcato è ovunque, è strutturale e di sistema, l’oppressione patriarcale dilaga, le sovrastrutture patriarcali impongono il possesso, ogni donna è a rischio perché la violenza patriarcale stupra, sfregia, uccide. Qualche decina di criminali uccide la ex che lo rifiuta, ma la colpa ricade su tutti gli uomini che devono essere rieducati, chiedere scusa e vergognarsi di essere uomini. Turetta, in sostanza, è l’esecutore ma i mandanti siamo tutti noi. Ecco, Turetta. Il colpevole ideale: apparentemente un bravo ragazzo che però cova il gene del Male in quanto maschio/bianco/etero/occidentale/figlio sano del patriarcato, quindi geneticamente incline a trasformarsi in un mostro che uccide la vittima ideale: giovane, educata, studiosa, sorridente, benvoluta da tutti. Sul caso Turetta-Cecchettin è stata costruita una campagna istituzionale e mediatica che non ha eguali nella storia della criminologia italiana, nemmeno per i delitti di mafia si è arrivati a funerali in diretta a reti unificate, discorsi letti nelle scuole su sollecitazione ministeriale e poi fondazioni, libri, seminari, convegni, cortei, flash mob e tutto il resto. Quindi è stato eretto un totem vivente a sempiterna memoria, il padre di Giulia è onnipresente in TV, sui giornali, in Parlamento, nei Ministeri, nelle scuole, nelle università, nelle rassegne letterarie, ovunque.
Nulla accade per caso: Gino Cecchettin che commemora la figlia Giulia uccisa dal maschio/bianco/etero/occidentale/figlio sano del patriarcato è molto più spendibile di un qualsiasi Abdul Aziz ‘Ndebele che commemora la figlia Amina uccisa dall’ex fidanzato nordafricano. Non reggerebbe la tesi secondo la quale i barconi di algerini, tunisini, nigeriani e magrebini arrivano in Italia animati dal più nobile spirito di parità, poi però stuprano ed uccidono solo perché contaminati dal patriarcato italico “strutturale e di sistema”. Non funziona, dai. Allora è meglio non puntare i riflettori sulla violenza di genere agita dalle “risorse” (cit. Boldrini, sempre lei) e battere la grancassa sul fatto che la maggioranza delle violenze sono made in Italy. Aleggia di nuovo nell’aria un sonoro “grazie al cazzo” ma non siamo noi, è sempre il maleducato di prima. Per tali motivi la narrazione femminista è ossessionata dal mantra che noi uomini italiani dobbiamo essere rieducati, dobbiamo pentirci, dobbiamo fare autocritica perché chi non riconosce che la mascolinità tossica è un problema, è egli stesso parte del problema.