Istruita e libera da responsabilità familiari, Petronella Wyatt è a tutti gli effetti un’icona femminista. Ma in un articolo del Daily Mail, la Wyatt, rimasta senza figli, ha confessato: «il femminismo ha deluso me e le donne della mia generazione». Wyatt non è la sola a essere delusa. Nei paesi sviluppati, si prevede che entro il 2030, tra i 43 e i 49 milioni di donne tra i 25 e i 44 anni saranno single e senza figli. Tuttavia, UN Women si è innamorata delle nozioni marxiste di “equità”, che sono molto diverse da “pari diritti e opportunità”. Piuttosto UN Women crede che uomini e donne dovrebbero essere ingranaggi intercambiabili nei meccanismi della società. Le donne dovrebbero rappresentare la metà di tutti gli autotrasportatori, minatori di carbone, dirigenti aziendali e membri del parlamento.
Ma la maggior parte delle donne non condivide questo obiettivo. Numerosi sondaggi mostrano che in tutto il mondo le donne danno priorità alla famiglia e alle relazioni rispetto all’avanzamento di carriera: negli Stati Uniti, il 76% delle madri sposate preferirebbe lavorare part-time o non lavorare affatto; nell’Unione Europea, il 28% delle donne occupate di età compresa tra 15 e 64 anni lavora part-time, rispetto a solo l’8% degli uomini. Così, quando i leader delle Nazioni Unite hanno scoperto di recente che gli uomini superano ancora di oltre tre volte il numero delle donne nelle posizioni esecutive e legislative, ogni pretesa di civiltà è scomparsa.

Un disastro sociale incombente.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha fatto ricorso a cliché marxisti, denunciando gli uomini per aver diffuso il “veleno del patriarcato”. «I maestri della misoginia stanno guadagnando forza», ha accusato con rabbia Guterres. Non ha addotto alcuna prova a sostegno della sua presunta ondata di “misoginia”. A quanto pare, non era a conoscenza di analisi che rivelano che la misandria è molto più diffusa della misoginia anti-femminile. Riprendendo da dove si era interrotto Guterres, la direttrice di UN Women, Sima Bahous, ha fatto ricorso ad accuse incendiarie: «Non possiamo accettare un mondo in cui metà della popolazione è sistematicamente esclusa dai processi decisionali», ha dichiarato. Bahous ha poi approvato l’uso di quote elettorali che riservano seggi alle candidate donne – una strategia che viene implementata dal Portale delle Quote di Genere delle Nazioni Unite. Ma Bahous apparentemente non è a conoscenza del fatto che elezioni aperte e libere sono considerate il fulcro delle società democratiche.
Di fatto, oggi, un numero sempre maggiore di donne considera il femminismo antitetico ai propri obiettivi di vita: la pagina Facebook Donne contro il femminismo conta ormai più di 10mila iscritti; in Spagna, un gruppo noto come Nonne silenziate dal femminismo ha tenuto una conferenza al Congresso dei Deputati; la rivista Evie Magazine pubblica regolarmente articoli che sfidano gli stereotipi femministi e mettono in luce il contributo degli uomini alla società. E da noi chi ha fatto dell’antisessismo e dell’antifemminismo una lotta per l’uguaglianza (quella vera), e in questo ottiene ampio seguito, viene messo sotto il mirino dei potenti, con aperte minacce di chiusura giustificate dal penoso pretesto di qualche gruppo social che ha i più ampi contraltari anche dal lato femminile (di cui però non si parla, guai!). Ogni società che ha implementato l’ideologia femminista ha visto le sue aspirazioni all’uguaglianza sociale trasformarsi in un disastro sociale: il nord Europa può testimoniarlo ampiamente, visto che più ha spinto verso l’equità forzata in stile femminista, più le differenze tra i generi si sono allargate, insieme alla distanza tra uomini e donne. Lo stesso destino incombe ora praticamente su tutto l’occidente.