Ho condiviso sui social il post di Mario Adinolfi: “Uccidi il padre”, che commentava la grazia concessa dal Presidente Mattarella a Gabriele Finotello, il 30enne che nel 2021 ha assassinato il padre Giovanni Finotello a martellate. Ecco il testo nudo e crudo, senza commento.
Qualche commento vorrei farlo anch’io, visto il diluvio di menzogne giustificazioniste che si rovescia sul Quirinale al grido di “Gabriele ha trovato in Mattarella il padre che non ha mai avuto”. Gabriele ha ucciso per difendersi? No, ha ucciso per rabbia. Una frase del padre gli ha fatto perdere il controllo: Giovanni ha bevuto, in una colluttazione col figlio finisce a terra, quindi pronuncia la frase che diverrà la sua condanna a morte: «Lasciami stare o ti picchio come picchiavo tua madre». Non è una minaccia del tipo “ora mi alzo e ti ammazzo”, è una richiesta di essere lasciato in pace insieme ai suoi problemi irrisolti che annega nella bottiglia. Non avrebbe la minima possibilità di tradurre le parole in fatti, è malfermo sulle gambe, non ha di fronte un bambino di 8 anni ma un uomo di 30 col quale, tra l’altro, ha appena avuto la peggio. Gabriele quindi non è in pericolo, come non sono in pericolo né la madre né il fratello minore che da tempo si sono trasferiti a vivere altrove.
Però non c’è limite alla menzogna, qualche cialtrone scrive che Gabriele spacca la testa al padre a martellate «per proteggere la madre e i congiunti dalla violenza con cui quell’uomo gestiva la sua presenza, il suo potere e le relazioni in famiglia». C’è la smania febbrile di descrivere un’altruistica emergenza salvifica che emergenza non era affatto, in casa non c’era nessuno oltre alla vittima e a chi l’ha ammazzato. Non pubblico i link perché non ho alcuna intenzione di scatenare proteste, ma li conservo accuratamente in archivio. E poi un profluvio di giustificazioni per il “particolare contesto” nel quale il delitto sarebbe maturato, come se non fosse “particolare” il contesto nel quale ogni delitto matura. Che siano problemi economici, invidia, vendetta, gelosia, malavita, alcolismo, tossicodipendenza, ludopatia, disturbo mentale o qualsiasi altro disagio, il contesto di un omicidio non è mai un quadretto tutto rose e fiori.
C’è anche il disprezzo del cadavere, Giovanni Fioltello è morto perché in fondo è colpa sua; Gabriele l’ha massacrato poiché ha introiettato quel modello comportamentale, gli è venuto spontaneo applicare “la legge del taglione proprio perché l’ha imparata da un padre incapace di educare a una competente legge della vita”. La grazia concessa da Papà Sergio, quindi, rappresenta «un enorme messaggio per noi uomini, in particolare per noi padri, responsabili di un’educazione verso i figli che deve essere scevra da ogni forma di violenza». Mi permetto di pensarla diversamente, almeno fino a quando in questo Paese non sarà reato avere un pensiero autonomo. A me questa grazia sembra una tessera del puzzle tossico sulla cui scatola è scritto “ammazzare il padre è lecito”. Mille altre tessere lo compongono, da Alex Pompa che viene assolto a Deborah Sciacquatori che non viene nemmeno processata, per arrivare a chi – come Gabriele Fioltello – viene condannato a 14 anni, poi ridotti a 9 e infine graziato.

E se invece del padre si trattasse della madre.
La scusa è sempre la stessa: era violento. Il morto, non chi l’ha ammazzato. Un messaggio terribile per la sua carica tossica, invece di promuovere il ricorso agli strumenti previsti dalla legge (denuncia, allontanamento, braccialetto, arresti domiciliari e persino il carcere) sembra promuovere la vendetta rusticana fai-da-te. Forse una riflessione aiuta a comprendere quanto sia unidirezionale e diseducativa l’indulgenza giudiziaria, mediatica e adesso anche presidenziale per l’assassinio di un padre. È socialmente ammissibile la grazia ad un figlio che massacri la madre violenta? Le madri violente esistono, abbiamo in archivio notizie di figli maltrattati, frustati, torturati, bruciati con le sigarette o col ferro da stiro, venduti, indotti a prostituirsi, feriti, uccisi e persino abusati sessualmente dalle madri. Se qualcuno si ribellasse massacrando la madre per difendere sé stesso o la sorellina più piccola, godrebbe della benevola indulgenza mediatica e giudiziaria, quella di pseudoesperti che pontificano sulle carenze educative materne e soprattutto l’arrivo a spron battuto di Papà Sergio con la grazia già compilata per “particolare contesto”? Le minacce materne sono quanto di più diffuso possa esserci, fino dagli anni ’80 un duo comico bolognese ironizzava sullo stereotipo della mamma che minaccia di ammazzare i figli con “io ti ho fatto e io ti disfo”, “ci dò uno scioppone”, “come ti ho messo al mondo ti ci levo”. Gag comiche, ma basate su un fondo di verità. Beh, sarebbe agghiacciante pensare che figli o figlie possano ribellarsi a violenze e minacce materne impugnando un coltello. Bisogna denunciare, mai farsi giustizia da soli. Anche perché poi se ammazzi mamma Papà Sergio non arriva.