Gentile Senatrice Valeria Valente, in un intervento pubblicato il 4 giugno scorso, Lei afferma che in Italia vi sarebbe una mattanza di donne, che tale mattanza sarebbe il prodotto di una cultura patriarcale che permea interamente il tessuto della nostra società, cultura che sarebbe “maschiocentrica”, che si nutrirebbe di violenza contro le donne, odio, sopraffazione, disprezzo, eccetera eccetera. Lei afferma che, all’interno di questa oppressione sistemica del genere femminile, il femminicidio (ovvero quella che lei definisce una crescente mattanza di donne sempre più giovani) ne rappresenterebbe solamente l’epifenomeno.
I dati in nostro possesso smentiscono queste sue affermazioni. Gli omicidi in Italia sono in calo costante da anni e sono in calo anche gli omicidi con vittime femminili. Su circa 320 omicidi registrati annualmente (con riferimento agli ultimi anni), la media è di circa 120 vittime femminili e 200 maschili, numero più, numero meno (nel 2022 ad esempio, su 322 omicidi, abbiamo 196 vittime maschili e 126 vittime femminili; nel 2023, su 334 omicidi, abbiamo 217 vittime maschili e 117 vittime femminili, quindi omicidi con vittime maschili un aumento e omicidi con vittime femminili in diminuzione). Lei afferma che si tratta di una mattanza, ma i numeri, come vede, la smentiscono: parliamo di percentuali inferiori allo 0,00035741464407007566% della popolazione femminile, giusto per rendere l’idea. Non abbiamo trovato dati che confermano l’altra sua affermazione, quella sull’abbassamento medio dell’età dell’età delle vittime, ma su questo punto siamo disposti ad attenzionare quelli che lei vorrà sottoporci (sta a lei l’onore della prova, visto che si tratta di un suo rilievo).

Definizioni e numeri.
Adesso concentriamoci sulla classificazione degli omicidi. All’interno della categoria “omicidi con vittime di sesso femminile” dovremmo individuare quella dei cosiddetti “femminicidi”. Per effettuare questa operazione occorre innanzitutto sapere cosa cercare, ovvero conoscere la definizione del termine in oggetto. Tale definizione, come lei stessa ha ammesso in una passata dichiarazione (vedasi clip qui di seguito), non c’è. La frase “donne uccisa in quanto donna” è puramente ideologica e nel senso peggiore del termine; del resto gli stessi sostenitori di questo lemma non riescono ad accordarsi su quali omicidi classificare come tali e quali no: l’accordo in realtà poi lo si trova, ma al rialzo; ovvero classificando come “femminicidi” gli omicidi di donne commessi da altre donne, quelli che avvengono per ragioni economiche, quelli operati dal parente (ascendente o discendente) affetta da una qualche malattia psichiatrica, quelli per pietas.
All’interno di questa pluralità di moventi, volendosi soffermare sugli omicidi commessi dal partner o dell’ex partner (che potrebbero essere anche stati commessi per ragioni economiche, in condizione di infermità mentale o altri motivi, ma fingiamo che non sia così), la percentuale è del 30% (quindi circa 40 omicidi su una popolazione femminile di 31 milioni e oltre di abitanti). All’interno di questo 30% poi gli stranieri di sesso maschile, pur rappresentando solamente il 4,2% della popolazione maschile, arrivino a commettere circa il 30% degli omicidi del partner o dell’ex partner, quasi il 90% delle induzioni o costrizioni al matrimonio, il 43% delle violenze sessuali, etc. Ora, intendiamoci, a noi non interessa passare dalla falsa narrazione degli uomini violenti contro le donne, a quella degli uomini stranieri violenti contro le donne; ciò che ci preme sottolineare è altro.
L’ennesimo invito al confronto.
Ora, intendiamoci, a noi non interessa passare dalla falsa narrazione degli uomini violenti contro le donne, a quella degli uomini stranieri violenti contro le donne; ciò che ci preme sottolineare è altro: 1) non si può disconoscere l’evidenza che l’incidenza di violenza sulle donne nella popolazione immigrata sia proporzionalmente più alta rispetto a quella italiana; 2) la costanza della proporzione negli anni, che suggerisce un fenomeno reale e non un errore di misura, ancora prima dell’addentrarsi in rilievi di natura sociologica e antropologica, mostra la non sussistenza della tesi di una presunta “cultura italiana del femminicidio” (o “dello stupro”, o “della dominazione violenta contro le donne”). A nostro avviso, dunque, il suo intervento si sostanzia in un atto di accusa collettivo contro l’intero genere maschile, in un tentativo di gettare odio contro gli uomini stessi, sulla base di tesi (e questo è forse il fatto più grave) su cui Lei non sembra minimamente disposta a confrontarsi pubblicamente e democraticamente. Su questo, vorremmo ricordarle che la libertà di pensiero e di parola hanno un carattere fondativo della civiltà occidentale moderna e che per questo sono annoverati tra quei diritti fondamentali nelle Costituzioni e nelle Dichiarazioni dei Diritti: in questo modo da un lato se ne vuole fare un diritto non legato alle contingenze politiche, non revocabile al cambiare delle maggioranze, e dall’altro fare sì che le verità morali si generino nei discorsi pratici, senza sottrarre il riconoscimento intersoggettivo sulla validità morale delle proprie norme al confronto tra argomentazioni.
Non può aversi piena emancipazione degli individui senza che avvenga una libera discussione razionale dei cittadini. La libera discussione razionale dei cittadini è possibile, per definizione, solo con la totale libertà di pensiero e di espressione del pensiero. La libertà di pensiero e di parola è quindi inscindibile dalla democrazia e dal progetto emancipativo della modernità, a cui lei e la sua parte politica, in astratto, fate riferimento. Speriamo che lei voglia accogliere il nostro invito al confronto, e se ciò non dovesse accadere, continueremo in ogni caso ad opporci con fermezza contro tutte le tendenze alle violazioni dei principi fondamentali della nostra civiltà, quei principi che oggi vengono lentamente erosi e che dobbiamo invece preservare integri per consegnarli al futuro.