Negli ultimi giorni, la cronaca italiana ha offerto una panoramica drammatica su una realtà di solito avvolta nell’indifferenza: la violenza sulle vittime più scomode del dibattito pubblico, ossia gli uomini. Nonostante si insista a proclamare l’esistenza di un unico tipo di violenza da combattere, ovvero quella maschile contro le donne, la realtà racconta ben altro. Sparsi fra tribunali e pagine di giornale, sono comparsi episodi che definire emblematici sarebbe riduttivo. Episodi in cui il cosiddetto “gentil sesso” si rivela tutt’altro che gentile. Basta leggere la vicenda di Aprilia, dove una donna ha ignorato il divieto di avvicinamento all’ex marito e ai figli, arrivando perfino all’arresto (il caso di Aprilia). Colpisce, però, come il fatto non sia stato inquadrato nell’emergenza o nella narrazione dominante, e nessuna voce indignata si sia sollevata a chiedere centri di rieducazione per donne o finanziamenti straordinari per le vittime maschili.
Non si tratta di eccezioni: la stessa musica si ripete a Taranto, dove una 43enne è stata accusata di maltrattamenti e lesioni personali gravi nei confronti del marito, atti svolti ripetutamente sotto gli occhi delle figlie minorenni. Il repertorio non manca di dettagli raccapriccianti: tentativi di ferire il partner con un coltello, umiliazioni, insulti, ricatti sul silenzio. Eppure, a questa donna sono bastati appena sette giorni ai domiciliari prima di tornare in libertà. Vien da chiedersi quante ulteriori prove di disparità servano ancora a rendere visibile quello che si finge di non vedere: la violenza delle donne sugli uomini non solo esiste, ma viene regolarmente minimizzata o ignorata, salvo qualche eccezione, come l’interessante convegno tenutosi al Municipio VI di Roma Capitale su impulso dell’amministrazione locale, della Lega Uomini Vittime di Violenza e con la partecipazione di importanti realtà italiane come il centro antiviolenza Ankyra di Milano.
Quando la violenza è donna: tabù mediatici e doppi standard giudiziari
La cronaca offre altre perle. A Frosinone, ad esempio, una madre è stata allontanata dal nucleo familiare per aver maltrattato non solo il marito, ma anche il figlio disabile, considerato esclusivamente un ostacolo alla sua “vita sociale” (qui i dettagli). C’è chi, di fronte a un ragazzo disabile, trova forza e dedizione incondizionate; c’è invece chi si tramuta in persecutore, riversando rabbia e frustrazione tanto sul coniuge quanto sul figlio. Ma, ancora una volta, il tema della violenza femminile sul marito e perfino sul figlio è scomparso dal discorso pubblico. Alla stregua di creature mitologiche, queste donne sembrano godere di una sorta di immunità dalla condanna morale e sociale, persino quando si tratta di aggressioni reiterate, minacce di morte e violenze fisiche. Anche questo è l’effetto di una narrazione a senso unico sì, ma di fatto priva di ogni fondamento.
Non meno significativa la tragedia dei Murazzi a Torino, dove una ragazza, insieme ad altri tre giovani, decide di trasformare il futuro di un brillante studente di medicina in una roulette russa: una bicicletta lanciata a caso che lo ha reso tetraplegico, costretto per sempre su una sedia a rotelle. Forse sarebbe riduttivo limitarsi a qualche anno di reclusione. Ma, si sa, anche questa sarà presto derubricata a bravata giovanile. Ogni giorno sulle cronache spuntano nuovi episodi: donne denunciate per maltrattamenti, lesioni, aggressioni con coltelli, sino al tentativo di strangolare il marito (maltrattamenti a Rieti; tentato strangolamento a Catania). Troppo spesso queste storie vengono liquidate senza riflessione. L’unica morale diffusa? Servono centri per rieducare uomini gelosi e violenti. Il fenomeno inverso, chiaramente, non esiste. Per chi vuole approfondire davvero questi temi, consigliamo di esplorare gli altri articoli di La Fionda e le analisi puntuali dell’Osservatorio Statistico: solo informandosi si può comprendere la reale portata della violenza contro gli uomini, quella che nessuno vuole vedere.