È ufficiale: abbiamo una nuova pandemia. Nel 2020 il Covid 19 nacque in Cina e si diffuse in mezzo mondo, ora il virus HateMan 19 nasce a Bologna e si sta diffondendo in mezza Italia; registrati a Roma i primi segnali di contagio. Il paziente zero è la vicesindacA di Bologna, Emily Clancy, che a marzo di quest’anno tuonò al mondo la propria indignazione per i manifesti targati Colibrì/LUVV e il profondo rammarico per non poterli vietare. Mannaggia, non erano illegali. Era illegale vandalizzarli strappandoli e imbrattandoli, ma venne fatto la sera stessa delle indignate proteste di Clancy & Co. Per chi non ricorda: tali manifesti denunciavano la violenza della quale possono essere vittime gli uomini in generale e i padri in particolare. Non parlavano di uomini assassinati, accoltellati, avvelenati, strangolati o sfregiati con l’acido, che pure esistono a centinaia nonostante lo si voglia disconoscere o squalificare a episodi “irrisori” (cit. MinistrA Eugenia Roccella). Niente di macabro, i manifesti di Bologna parlavano esclusivamente di violenza verbale e psicologica, quella che viene da sempre riconosciuta come prerogativa prevalentemente femminile. E no, diamine! A Bologna non è tollerabile nemmeno la benevola concessione di riconoscere la violenza psicologica femminile, chi lo dice solleva un vespaio istituzionale. Ed ecco quali erano gli oltraggiosi messaggi: SE TI DICE SEI UN FALLITO, È VIOLENZA; SE TI DICE TI TOLGO I FIGLI E TI ROVINO, È VIOLENZA.
La feroce indignazione nasceva dal fatto che una precedente campagna antiviolenza rivolta alle donne (l’unica lecita) e finanziata dalla Regione Emilia Romagna, utilizzava manifesti più o meno simili per sollecitare le donne a riconoscere come violenza anche una singola frase, invitandole a rivolgersi ai centri antiviolenza. Quindi un messaggio analogo, finanziato con fondi privati, è Lesa Maestà visto che non riguarda le donne vittime-in-quanto-donne. Peggio: parlare della violenza psicologica subita dagli uomini squalifica la violenza subita dalle donne, «rappresenta un inganno, è un tentativo di mettere sullo stesso piano i due argomenti, quasi a voler alleggerire il problema gigantesco del femminicidio e della violenza di genere» (cit. Gessica Allegni, AssessorA regionale alle Pari Opportunità). Giusto, no? Pari Opportunità significa puntare i riflettori su un solo aspetto del problema, oscurando l’altro. Questa è la vera parità.

Reazioni istituzionali scomposte.
Qualcosa di simile sta accadendo a Roma, ove il virus HateMan 19 sembra avere trovato terreno fertile. I fatti. Il sesto municipio attiva uno sportello di ascolto al quale possono rivolgersi gli uomini maltrattati. I media titolano “Bufera a Roma”, ma l’allarme non è meteorologico. La bufera è istituzionale, in tante si scapicollano a protestare contro l’iniziativa. Durissima reazione del Comune di Roma, in particolare da parte dell’Assessore alle Pari Opportunità, Monica Lucarelli, che chiede la chiusura dello sportello; in un comunicato stampa stronca il progetto: per Lucarelli si tratta di «una delibera pericolosa, una ferita inferta alle donne». Sulla stessa linea Svetlana Celli, presidente dell’assemblea capitolina: «Chiediamo al municipio VI di revocare l’atto con il quale si istituisce lo sportello per uomini “maltrattati”, basato su presupposti ideologici (…) Si tratta di un’iniziativa assurda e che contrasta apertamente con le linee guida nazionali sul contrasto alla violenza di genere, rischiando di legittimare narrazioni che colpevolizzano le vittime e indeboliscono le tutele per le donne che denunciano». Per Cecilia D’Elia, senatrice Pd e vicepresidente della commissione bicamerale sul femminicidio, «siamo davanti a una lettura mistificante, provocatoria e misogina della violenza di genere». La Deputata Michela Di Biase: «In un Paese in cui ogni tre giorni una donna viene uccisa da un uomo, c’era evidentemente bisogno – secondo loro – di riequilibrare la narrazione. Un paradosso grottesco, se non fosse tragico». L’associazione Differenza Donna: «sconcerto e ferma condanna» per un «tentativo istituzionale di ribaltare la realtà».
Poteva mancare lei, la Senatrice Valeria Valente? Ovviamente no, eccola: «un attacco a tutto l’impegno che viene portato avanti per sconfiggere la cultura patriarcale, un attacco ai centri antiviolenza e alle operatrici, ma soprattutto un attacco alle donne. Tutte». Ancora Mattarella e la Von der Leyen non hanno detto nulla, ma forse è solo questione di tempo. C’è buona parte del repertorio di vittimismo femminuccista nelle dichiarazioni che rimbalzano sui media: «è un atto politico e ideologico di gravità estrema, in contrasto con ogni principio di tutela delle donne», «un atto non solo irresponsabile, ma rappresenta una forma strutturale di vittimizzazione secondaria», e poi gli immancabili commenti social: follia ideologica, un attacco a tutte le donne, non bastano i femminicidi a dimostrare che le vittime sono le donne?, vergogna, la Convenzione di Istanbul, la violenza maschile strutturale e di sistema, il maschilismo tossico, il patriarcato, etc. Dobbiamo interrogarci sul perché qualsiasi iniziativa, seppur minima, per supportare le vittime maschili sollevi tante feroci proteste. Perché non se ne deve parlare. La violenza subita dagli uomini è un argomento tabù, non deve essere riconosciuto a livello istituzionale. Di nuovo: perché? Perché deve esistere una sola Emergenza sociale con la E maiuscola, l’unica degna di attenzione politica e mediatica, l’unica sulla quale convogliare fondi, l’unica per la quale varare norme sempre più afflittive. Ancora: perché? Perché serve un pretesto per varare norme liberticide, per distruggere le colonne portanti del nostro sistema giudiziario, per foraggiare il pozzo senza fondo di un certo serbatoio elettorale. Ecco il pretesto: non si può fare a meno di misure impopolari, è l’Emergenza più emergenza di tutte.

Il grumo di interessi e potere.
In tale contesto devono esistere centinaia di centri antiviolenza e residenze protette, devono essere aperti nuovi centri antiviolenza e rifinanziati quelli già esistenti, bisogna fare campagne incessanti per pubblicizzare il 1522, bisogna firmare protocolli con le farmacie, i supermercati, gli ospedali e le Forze dell’Ordine, bisogna stanziare fondi per il reddito di libertà, bisogna garantire il gratuito patrocinio alle donne che denunciano, bisogna formare magistrati specializzati sulla violenza subita dalle donne così come medici, infermieri, poliziotti e carabinieri, bisogna inaugurare panchine rosse e tanto altro ancora… ma non bisogna allestire uno sportello, uno solo, che ascolti gli uomini vittime di violenza. Che fastidio può dare un solo sportello istituzionale in tutta Italia, oltretutto relegato in un quartiere periferico? Di fastidio ne dà, e tanto viste le reazioni inferocite. Perché anche un solo sportello riconosce che il problema esiste ed è esattamente questo che non deve accadere.
Il virus HateMan 19 fa uno strano effetto: sembra che da Bologna a Roma gli uomini possano esistere solo per essere odiati, denigrati, umiliati, insultati, criminalizzati, sviliti. È inaccettabile che qualcuno pensi di offrire loro un supporto, chi osa farlo viene accusato di odiare le donne, attaccarle, vittimizzarle. Come le autorevoli voci di cui sopra, uno sportello dedicato agli uomini è una ferita inferta alle donne, vittimizzazione secondaria, colpevolizzazione delle vittime, iniziativa assurda e irresponsabile che indebolisce le tutele per le donne che denunciano. Fermiamoci qui. Per ora. Dedicheremo altri approfondimenti alla querelle, magari intervistando i diretti interessati/e, o perlomeno coloro che non rifiuteranno di essere intervistati/e. Chiudiamo con l’impressione (personale) che nasce da questa triste levata di scudi. È un nostro must: la violenza non è affatto “di genere”, le uniche ad essere realmente “di genere” sono le contromisure istituzionali. E, questo è il messaggio nemmeno troppo sottinteso, devono rimanerlo.