Repubblica: “malattie professionali, le donne si ammalano di più”. Dacci oggi la nostra lamentela quotidiana… Prosegue instancabile la crociata di Repubblica contro l’universo maschile, una missione sacra per il quotidiano del gruppo GEDI. Trovano un pretesto al giorno per dimostrare, o tentare di farlo, quanto sia difficile essere donna in Italia. Stavolta l’appiglio è una lettura acrobaticamente faziosa dei dati INAIL. Il mondo del lavoro è funestato da notizie di operai che crepano come mosche al ritmo di due o tre al giorno, sforando il macabro tetto dei mille morti ogni anno. Quindi l’argomento “infortuni mortali” non può essere utilizzato per insinuare nei lettori la sensazione che le donne siano penalizzate. Poi ci sono gli infortuni con invalidità permanente: l’operaio che perde un braccio sotto la pressa, l’agricoltore che perde le gambe sotto la trebbiatrice, il tornitore che perde un occhio, il falegname che perde una mano. No, neanche l’argomento “invalidità permanente” può essere utilizzato per insinuare nei lettori la sensazione che le lavoratrici siano penalizzate.
Restano le malattie professionali, ma anche questa voce registra una larghissima maggioranza di vittime maschili poiché è difficile trovare donne si ammalano di silicosi in miniera o di intossicazione da amianto nei cantieri. Allora bisogna giocare la carta delle percentuali, perfette per essere plasmate e creare equivoci. I dati INAIL dicono che il totale delle malattie contratte sul posto di lavoro è 72.754 (dati 2023, gli ultimi disponibili integralmente poiché dal 2024 sono fermi al terzo trimestre). Meno di un terzo viene denunciato da donne (19.147), oltre due terzi da uomini (53.607). Porca miseria, nemmeno questa voce può essere utilizzata per insinuare una discriminazione dell’universo femminile poiché i lavoratori ammalati sono molto più del doppio delle lavoratrici. Come si può fare?
I media che si ammalano di storie che non esistono.
Trovato! Aggrappiamoci agli incrementi percentuali. Ecco fatto: le donne passano da 15.915 casi del 2022 ai 19.147 del 2023, incremento percentuale del 20, 31%. Gli uomini passano dai 44.859 del 2022 ai 53.607 del 2024, incremento percentuale “solo” del 19,50%. Conclusione: le donne si ammalano di più. Della serie: prendi l’analisi statistica e trasformala in un gioco di prestigio, illusionismo allo stato puro. Per confondere ancora di più le acque, avvalorando la tesi “le donne si ammalano di più”, arriva la lettera di una lettrice con annessa autodiagnosi: «non hanno mai trovato la causa del mio ictus (…) nessun medico ha voluto certificarlo, ma il mio quadro clinico è stato pesantemente influenzato dal mio vissuto professionale». Also sprach doktor Google.
Meravigliosa la risposta, una supercazzola che avrebbe fatto crepare di invidia persino il Conte Mascetti. Uno degli indimenticabili passaggi: «Persone capaci di costruire legami non automatizzabili, capaci di dire no, ma anche di dire eccomi, con coscienza e presenza. Persone che sanno fare spazio, dare luce e chiederla; che conoscono il sogno, la paura, la fedeltà, il dolore, la caduta e la rinascita». La prestigiosa firma è nientepopòdimeno che Mapi Danna: formatrice, human sustainability specialist, esperta di dinamiche relazionali e Women Empowerment. “Siam mica qui a smacchiare i giaguari” (cit. Pier Luigi Bersani o giù di lì…).