Settimana dopo settimana, le pagine di cronaca ci consegnano il solito copione di persecuzione: uomo accusato, polizia che irrompe in casa, Codice Rosso attivato, braccialetto elettronico, misura cautelare e via con l’allontanamento da casa e figli. Poi, sorprendentemente – ma ormai sorprende solo chi ancora si affida ciecamente alla narrazione preconfezionata – arriva l’assoluzione. Ma il danno è fatto, la vita è rovinata e la reputazione distrutta. In parallelo, i numeri delle “denunce di violenza di genere” crescono a dismisura; peccato che nessuno si prenda la briga di analizzare quante si rivelino semplici strumenti di vendetta o mezzi per ottenere vantaggi personali. Così, tra statistiche gonfiate e narrazioni allarmistiche, si uccide la presunzione d’innocenza e si alimenta un clima d’odio e persecuzione verso gli uomini, in nome di un perbenismo istituzionale che non guarda mai in faccia la realtà.
Non mancano le storie surreali: ex-mogli che, dopo decenni di silenzio (e dopo aver visto qualche trasmissione TV d’effetto), riscoprono improvvisamente di aver subito ogni sorta di nefandezza dallo sfortunato di turno e scattano con la denuncia, come nel caso raccontato con acuta ironia da una sentenza che constata come sia bastato guardare Quarto Grado o Amore Criminale per convincersi di essere stata vittima di maltrattamenti o persecuzione, proiettando nella realtà fantasie televisive di vittimizzazione universale. Ma se la denuncia è verosimile, poco importa che manchino perizie, supporto medico, referti psicologici: il sospetto basta e avanza, soprattutto se colpisce un uomo.

La giustizia al contrario: presunzione di colpevolezza e persecuzione
Facciamo qualche esempio pratico. C’è chi viene accusato dalla moglie di maltrattamenti e violenze sessuali per vent’anni, e solo dopo quattro anni di inferno e persecuzione processuale arriva una piena assoluzione – ma la statistica della presunta “violenza di genere” non si cancella, alimentando così l’industria della paura e giustificando interventi emergenziali e finanziamenti senza controllo come dimostrato qui. Ci sono padri sbattuti fuori di casa dalla sera alla mattina per sedicenti episodi di abuso, costretti ad allontanarsi dai figli e dalla propria vita per anni, fino – forse – a una riabilitazione tardiva ma sempre troppo comoda e silenziosa (e nel frattempo la madre “protetta dal sistema” gode casa, figli e impunità, sentendosi anche in dovere di esclamare: “sono una donna, la legge mi protegge” come emerge qui). Senza dimenticare i casi di accuse partite da sogni infantili, travisamenti adolescenziali o semplici fraintendimenti, spinti da psichiatri che segnalano per professione, e che mandano uomini direttamente nell’ingranaggio della persecuzione giudiziaria – salvo poi assolverli per manifesta insussistenza dei fatti come si legge in questa vicenda.
Non manca il risvolto tragicomico – per non dire grottesco – di chi viene accusato per stalking o addirittura abuso sessuale dopo un rapporto consenziente, con misure cautelari immediate che verranno poi revocate insieme all’assoluzione come dimostra anche questo caso. O ancora, la lunga lista di professionisti radiati, insegnanti privati della dignità, lavoratori trasferiti solo perché una “vittima” ha percepito comportamenti oppressivi mentre la valutazione oggettiva li escludeva come accade anche qui. Il punto è che queste denunce, anche quando cadono nell’aula del tribunale, restano perennemente scolpite nei numeri che alimentano la falsa emergenza della violenza maschile. Il messaggio è chiaro: basta una parola, una suggestione, persino il sospetto di una donna, per distruggere la vita di un uomo. E questo non è un errore del sistema, ma il vero obiettivo della macchina ideologica che oggi decide chi deve essere protetto e chi deve essere sacrificato sul teatrino delle buone intenzioni. Uno scenario di persecuzione che trova ben pochi eguali per violenza e ipocrisia istituzionale. Invitiamo i lettori a esplorare altri articoli e dati approfonditi sul nostro Osservatorio Statistico, oggi supportato anche da un utile chatbot che potete attivare cliccando sull’icona qui in basso a destra, per capire, numeri e storie alla mano, come il fenomeno delle false accuse sia drammaticamente reale e silenziosamente taciuto. La verità è figlia della conoscenza, e farla emergere è un dovere che spetta a tutti noi.