«È questa una macchina mostruosa, che schiaccia e livella […]. Certo io resisterò» (Antonio Gramsci, “Quaderni dal carcere”). Il cannoneggiare contro i movimenti di critica del femminismo che si è verificato negli ultimi sei mesi, con un’informazione che mente spudoratamente su tutto, alterando financo i titoli dei nostri articoli, attribuendoci guadagni mai realizzati insieme alle solite accuse di misoginia, terrorismo, istigazioni alla commissione di stupri e omicidi, ci dà modo – per l’ennesima volta – di riflettere sullo stato dell’infosfera italiana: essa ormai sembra muoversi nelle coordinate tracciate dal Der Stuermer e il Völkischer Beobachter, imponendo il più feroce maccartismo rispetto a tutte quelle posizioni invise all’ideologia femminista. In moltissimi scritti abbiamo già esposto la nostra tesi: il femminismo è ormai il principale strumento di legittimazione ideologica delle classi dominanti, il mezzo più potente attraverso cui esse riescono a presentare il proprio dominio come necessario, irrinunciabile. Quello che sta accadendo negli ultimi mesi a chi ormai da anni è costretto a muoversi nelle strettoie (blog, forum, canali YouTube) date dal divieto di accesso ai grandi mezzi di informazione ricorda per certi versi le condizioni in cui nel Seicento, in Francia, Olanda, Inghilterra, nacque il giornalismo (quello vero, non le veline di regime dei cani della prateria dell’informazione italiana).
In particolare meritano qualche cenno le vicende dei giornali inglesi, perché le resistenze che incontrarono da parte dell’ordine costituito sembrano somigliare a quelle che stiamo incontrando noi; anche se la reazione che la politica sta approntando è molto più feroce e soprattutto sarà più “efficace” di quella adottata dal governo inglese tre secoli fa. Esso infatti, non potendo sopprimere né censurare la Review di Defoe, né l’Examiner di Swift, poiché la costituzione garantiva la libertà di pensiero e di espressione, tentò di mettersi al riparo da quelle critiche che lo atterrivano, dapprima cercando di intimidire i redattori incriminandoli di calunnia e di vilipendio (vi ricorda qualcosa?) e poi, in ragione del rifiutato dei tribunali di condannarli, ricorrendo al mezzo più subdolo: impose ai giornalisti tali tasse da obbligarli a chiedere sussidi che diventarono armi di ricatto. Ma nemmeno questo obliquo rimedio servì. I giornali che rifiutavano l’asservimento fallirono. Ma da ognuno di essi ne nascevano altri due, che duravano solo quanto bastava per denunciare questi metodi corruttori, finché riuscirono a metterli fuori legge. Non mancarono neanche gli accenni all’intenzione di volere restaurare la censura, ma rispetto ad essi si profilò una rivolta popolare (totalmente inconcepibile oggi in Italia, per molteplici ragioni la cui indagine esula dai limiti di questo articolo). Dopo tre secoli, se la letteratura inglese del Settecento è ancora viva e moderna, è perché a farla furono i giornalisti, i quali ebbero grande spirito di osservazione per tutti gli aspetti della vita, storici, sociali, politici. Swift, Defoe, Addison, Steele, Johnson.
Un’informazione asservita.
Quale differenza con gli operatori della comunicazione dell’informazione italiana contemporanea… Non solo ci troviamo di fronte a testi che in un’endiadi di sforzo intellettuale sono la copia carbone l’uno dell’altro e di cui l’ispirazione è il peggio della stampa più commerciale del mondo anglosassone, ma essi esprimono la disumanizzante e antidemocratica tendenza ad escludere chi ha idee diverse dalle proprie dal novero degli interlocutori e ad impedirne con ogni mezzo la voce. Questa tentazione, quella di decidere chi ha idee “accettabili” e chi non ha idee accettabili (e di riflesso cancellarlo con ogni mezzo), che da sempre è l’opzione dei dogmatici, dei totalitari, delle personalità fanatiche e degli illiberali, è diventata nel giro di venti o trenta anni una prassi politica e culturale sbandierata ormai senza remore dalle classi dominanti, con il concorso dei topi di fogna (difficile poter usare termini diversi, perdonateci) attivi nei mezzi d’informazione. In un contesto siffatto, con il vuoto pneumatico rappresentato dai soggetti di cui sopra, la democrazia muore. Muore perché, ancora prima di arrivare a quei provvedimenti illiberali e ablativi della libera manifestazione del proprio pensiero che sono in cantiere, essa diventa il terreno di confronto solo tra chi professa idee “accettabili”: tutte le altre, come abbiamo visto, sono escluse. E chi decide chi ha idee accettabili? Il potere.
Non è dato sapere ciò che la maggioranza degli italiani pensa su certi temi, temi su cui viene disinformata in maniera radicale (mentendo, calunniando, diffamando), ma è del tutto evidente che si cerca di convincere la stessa di non essere semplicemente una maggioranza, ma una totalità. A cosa porterà tutto questo? Il prezzo sarà ben più alto rispetto alla chiusura di alcuni blog, pagine e canali di informazione per mezzo di pretesti totalmente falsi (fatto comunque di una gravità inaudita). Esso condurrà all’autodissoluzione degli stessi principi democratici della civiltà Occidentale, all’instaurazione di quel Leviatano femminista che cercherà di emergere mentre il collasso dell’umanità (tra guerre locali, crisi ambientali, sociali ed economiche sempre più gravi) si fa sempre più vicino. Stiamo esagerando? Stiamo usando toni troppo drammatici? Vedrete.