Tragedia familiare ad Empoli: Mauro Caparrini, 84 anni, toglie la vita alla moglie, Piera Ulivelli, di un anno più giovane, poi tenta di uccidersi tagliandosi le vene. Piera era molto malata, Mauro non voleva farla più soffrire e desiderava andarsene insieme a lei. Tutti parlano di delitto della pietà e della disperazione. Tutti? No: le fanatiche del femminicidio a tutti i costi non si lasciano scappare l’occasione per vomitare la solita bordata d’odio. In pole position il “Centro Aiuto Donna Lilith” della stessa città, che rilascia un comunicato stampa che va oltre, molto oltre la vergogna.«Alcune delle narrazioni di cronaca su questi fatti», dice il comunicato, «associano l’uccisione della vittima con motivazioni di carattere sanitario: la donna era malata da tempo… come se questo giustificasse e rendesse il gesto meno inaccettabile».
No gentili signore, non vuol dire giustificare il gesto o renderlo più accettabile, vuol dire comprenderne i reali motivi. Un omicidio per rapina non è femminicidio, un omicidio per disturbo mentale non è femminicidio, un omicidio per satanismo non è femminicidio, un omicidio pietatis causa non è femminicidio. Ma il delirio del fanatismo “femminicidio a tutti i costi”, in servile osservanza del decalogo Murgia, cancella qualsiasi movente reale per ricondurre ogni episodio al possesso, alla gelosia morbosa, all’incapacità di accettare la fine di un rapporto, al concetto “o mia o di nessuno”, alla mascolinità tossica, alle sovrastrutture patriarcali che inquinano l’italico stivale.

Strumentalizzazioni senza vergogna.
Continua il comunicato: «Purtroppo nei casi di femminicidio (…) spesso assistiamo al ribaltamento delle responsabilità, dall’autore alla vittima. (…) Doveva essere disperato, Era malata da tempo… e così via… E quindi rimaniamo di fatto indifferenti nei confronti del dilagare incessante della violenza contro le donne». Indifferenti? INDIFFERENTI? Ma se non si parla d’altro! Tra indignazione politica e trasmissioni tv, articoli di giornale e dichiarazioni istituzionali, fiaccolate commemorative e cortei di protesta, presentazioni di libri e spettacoli teatrali, flash mob e fondazioni varie, l’argomento “femminicidio” è pane quotidiano per 60 milioni di italiani da parte di ogni grande e piccola emittente, pubblica e privata.
Non c’è alcun ribaltamento di responsabilità, è ora di piantarla col vittimismo gratuito. L’assassino viene processato e condannato, sia chi uccide per liberare la famiglia da Satana, chi uccide per appropriarsi di un’eredità, per procurarsi una dose, perché “sente le voci”, per non far più soffrire la moglie anziana e malata. Da ultimo, l’immancabile bufala di un femminicidio al giorno: «Ogni giorno una donna muore vittima di una relazione sbilanciata». infine, senza vergogna, il richiamo a dover affrontare il problema «senza ipocrisie, senza deformazioni ideologiche strumentalizzanti». Da che pulpito! Fortuna che la gente sta aprendo gli occhi, come di mostrano le numerose critiche dei follower che hanno affollato i social del Centro Aiuto Donna Lilith dopo l’uscita del loro delirante comunicato.