La senatrice Valeria Valente, in una delle ultime relazioni presentate dalla Commissione sul femminicidio (da lei presieduta) aveva proposto, tra le altre cose, che i CTU (Consulenti Tecnici d’Ufficio) venissero in sostanza selezionati unicamente tra chi proviene dalle associazioni femministe, che sulla base delle sole segnalazioni di una donna che dichiara di essere vittima di abusi il figlio possa essere sottratto al padre (senza alcun accertamento giudiziale), più potere e molto più fondi per i centri antiviolenza. Qui un estratto di una sua intervista pubblicata dall’agenzia DIRE (di recente condannata per diffamazione ai danni di Giuseppe Apadula), in occasione di un intervento della senatrice presso la commissione Pari Opportunità del comune di Bologna: «Anche a seguito dei recenti fatti di cronaca che riportano di una serie di femminicidi in diverse parti d’Italia in un tempo molto ristretto, per la senatrice l’unica soluzione è affidare le cause a soggetti specializzati nel tema e soprattutto “investire tanto in cultura e formazione e rimuovere alla radice le disparità di potere”». Nella stessa intervista: «È dello stesso parere anche l’assessora alle Pari opportunità del Comune di Bologna, Susanna Zaccaria, secondo la quale “la sede penale non è la sede adatta al contrasto contro la violenza”. Zaccaria parla in commissione anche in veste di avvocata: “Sappiamo bene i principi del processo e per questo sappiamo bene che la richiesta principale delle donne che subiscono violenza non è avere una condanna penale a cinque anni dai fatti”. Le donne, precisa Zaccaria, “vogliono che la violenza cessi subito e non è detto che sia quello penale il percorso giusto”».
Quindi, secondo la Valente (ma questa sua posizione è nota e la ribadita in più sedi) e la Zaccaria, per decidere della colpevolezza o meno di un uomo rispetto alle accuse che gli vengono mosse non è necessario affidarsi a un procedimento penale ma è opportuno affidarsi ai centri antiviolenza. Eppure Susanna Zaccaria, commentando la notizia delle indagini a suo carico (come raccontato dal video qui di seguito) per concorso in sequestro e sottrazione internazionale di minore, di recente sembrerebbe aver cambiato idea: «Ho sempre pensato, anche quando non mi riguardava, che i processi debbano essere fatti in Tribunale e non sui giornali o in televisione e così farò anche in questa vicenda…». Ma come, non eravamo rimasti alla tesi secondo cui la sede processuale non è la più idonea per valutare la fondatezza delle accuse contro un uomo e che quindi i figli gli potevano essere sottratti anche in assenza di un semplice rinvio a giudizio, che i pareri delle operatrici dei centri antiviolenza, all’interno e all’esterno di un procedimento penale o civile, devono assumere un valore maggiore rispetto alle perizie dei CTU e di qualsiasi altro elemento e adesso “i processi si fanno in tribunale”?
Un nuovo, surreale mestiere.
Prima di effettuare qualche riflessione a riguardo, vorremmo aggiungere qualche altra testimonianza: “Violenza di genere, dalla Regione 1 milione di euro per aumentare i posti letto nelle Case rifugio”. «L’aumento dei fondi è una visione lungimirante – ha detto Susanna Zaccaria, presidente di Casa delle Donne, nella conferenza stampa che ha presentato l’accordo –. Dobbiamo essere pronte a numeri anche più alti, non sappiamo quando potremo conoscere i veri numeri della violenza». “Un contributo di 370mila euro per i centri antiviolenza. Rinnovato l’accordo tra Città metropolitana e Cav per il triennio 2025-2027“. “Via de’ Butteri, nasce centro per uomini violenti“: «Il Centro si ispira al modello norvegese di “Alternative to violence”, attivo a Oslo fin dalla fine degli anni ’80, che individua l’origine della violenza maschile nella struttura materiale e simbolica del patriarcato e utilizza una metodologia che coniuga l’approccio politico, sociale e culturale con quello psicoeducativo e psicologico (finanziamento erogato alla Casa delle Donne per il progetto, 50.000 euro, n.d.r.)». Ciò che emerge da queste dichiarazioni è anzitutto l’affermazione circa la sussistenza di una emergenza in atto, con una violenza maschile contro le donne diffusissima e una “mattanza di donne”; la richiesta (e l’ottenimento) di fondi da più fonti per le attività della associazione “Casa delle Donne”; la richiesta di ulteriori fondi per convegni e incarichi per chi fa parte della suddetta associazione o gravita intorno ad essa.
Insomma quello di andare in giro per l’Italia effettuando propaganda di odio contro gli uomini, chiedendo fondi, diffondendo statistiche manipolate, sembrerebbe proprio essere diventato un mestiere. Come lo potremmo chiamare? Forse quello del patriarcologo. E, se ci ritroviamo a dover fare sempre gli stessi nomi (a cui può aggiungersi quello di Gino Cecchettin), ciò avviene in quanto essi rimbalzano da una vicenda all’altra. E, dato più probante e preoccupante di eventuali vicende di corruzione, clientelari o di altra natura, è che il portato di questo indottrinamento non rimane per così dire isolato o circoscritto a proposte di legge illiberali e antidemocratiche, al foraggiamento di carriere politiche o di altra natura, agli esborsi di denaro pubblico, a persecuzioni giudiziarie, a campagne di diffamazione contro cittadini innocenti da parte degli organi di stampa: esso è espressione e a sua volta alimenta un fenomeno altrettanto grave, il fanatismo. Uno dei tantissimi esempi è quello di Simona, una ragazza che senza alcuna remora si è cimentata in una attività di diffamazione verso uomini innocenti, al solo fine di ottenere soldi e visibilità. Quel fanatismo che li porta a credere che per abbattere questo fantomatico patriarcato gli strumenti migliori siano la creazione di nuove fattispecie di reato (solo contro gli uomini), l’abolizione delle garanzie processuali (solo contro gli uomini), l’abolizione dei diritti dei singoli, la limitazione della libertà di espressione della propria opinione. E tutto questo contro l’etica vera, contro il diritto, persino contro la statistica. Lo credono e continueranno a crederlo.