Ogni settimana, la cronaca giudiziaria italiana ci regala una sfilza di casi in cui uomini vengono trascinati nel vortice dei media e giudiziario con l’accusa di essere mostri, per poi uscire assolti – ma mai davvero indenni. Le storie sono sempre simili: testimonianze al limite dell’assurdo, scenari da fiction, vite macchiate da denunce tanto pesanti quanto inconsistenti. Eppure, il copione si ripete: un uomo accusato, media scatenati, titoloni da prima pagina, poi mesi – se non anni – di procedimenti. Quando finalmente arriva la sentenza di assoluzione, l’interesse svanisce e resta un dato: la denuncia sventolata come vittoria del sistema, comunque conteggiata nella statistica nazionale della violenza di genere.
Basta scorrere le notizie sui media dell’ultima settimana per rendersene conto. Da nord a sud, tra ex fidanzati, mariti, allenatori sportivi e padri accusati dai figli, la macchina delle false accuse pare inarrestabile. La scena madre è sempre quella: una donna che, magari dopo aver visto Quarto Grado, Amore Criminale o qualche altra trasmissione allarmista reperibile sui media, riscopre improvvisamente vent’anni di presunti maltrattamenti mai segnalati (nemmeno ad amici o parenti, figuriamoci alle forze dell’ordine). Basta uno sfogo, un sogno infantile – sì, anche questo è accaduto – e parte la denuncia, il processo, la gogna preventiva sui media. Così cittadini innocenti si ritrovano sotto il Codice Rosso, obbligati a dimostrare la propria estraneità a fatti mai accaduti. La beffa? Anche dopo l’assoluzione saranno per sempre un +1 nei numeri allarmistici che alimentano la narrazione sull’emergenza “uomini carnefici e donne vittime”.

La fabbrica delle accuse, i media e il danno reale agli uomini
Facciamo qualche esempio concreto preso dalla cronaca dell’ultima settimana. Ad Assisi, una donna – che aveva invocato lo Stato per appioppare un braccialetto elettronico e misure antistalking contro l’ex – viene poi sorpresa a fare shopping a braccetto con il presunto ‘orco’, il tutto con studiati stratagemmi per aggirare i controlli. Ansia? Paura? Evidentemente scomparse all’improvviso. Ma se scoperti, l’aggravamento delle misure colpisce solo lui – la donna la passa tranquillamente liscia. Ci sono poi i casi eclatanti riportati dai media di uomini accusati di ogni possibile nefandezza: botte, minacce di morte, segregazione in casa, violenza sessuale, addirittura tentati soffocamenti. Salvo scoprire – spesso dopo anni – che il fatto non sussiste. Nel mezzo, la vita di uomini completamente distrutta moralmente, economicamente e socialmente. Non parliamo di episodi isolati, ma di una struttura che si autoalimenta grazie al clima dei media e ideologico. Una donna può anche non aver mai affrontato un percorso psicologico, non aver prodotto referti medici o esposto segnalazioni né a polizia né ai servizi sociali: per imbastire un processo, oggi basta la suggestione data da una trasmissione televisiva.
Non è tutto: le accuse, anche se smentite da ogni evidenza, restano nelle statistiche e contribuiscono a dipingere una realtà distorta dove ogni uomo è un potenziale carnefice: «donne, dovete avere paura!», ha irresponsabilmente tuonato Giulia Bongiorno a “Domenica In”, e questo dice tutto della corresponsabilità di media e politici in questo fenomeno. Basta una denuncia per vedere la vita sconvolta: c’è chi viene radiato dalla propria federazione sportiva prima ancora dell’esito del processo, chi finisce sotto misura cautelare per colpa di accuse infondate, chi viene trascinato in tribunale per ritrovarsi poi assolto già in udienza preliminare. Non importa che la verità venga a galla: il sistema è calibrato per ingrassare solo la statistica delle denunce – la reputazione e la vita degli uomini, quelle sì, restano sempre irrimediabilmente danneggiate. Invitiamo i lettori a consultare i dati sul nostro Osservatorio Statistico, per un’analisi libera da ideologie dell’enorme problema delle false accuse ai danni degli uomini.