La Fionda

La deriva giudiziaria: false accuse e disparità di genere

L’Italia ormai è diventata il paese delle false accuse e della deriva giudiziaria delle sentenze capovolte, dove ogni settimana nuove storie squarciano il velo di una realtà fortemente distorta dalla narrazione dominante. Basta fermarsi a vedere cosa sta succedendo nei tribunali: uomini accusati, gettati nella gogna mediatica, privati della libertà, sospesi dalla frequentazione dei figli e marchiati per anni come colpevoli prima ancora che un giudice abbia parlato. È la deriva annunciata, alimentata dal clima ideologico di chi vede ovunque carnefici e vittime in base al sesso e spinge le istituzioni verso misure draconiane, spesso prendendo per oro colato ogni denuncia che abbia un solo denominatore comune: un’accusatrice donna.

Il copione è sempre quello e la deriva delle regole del «Codice Rosso» sono ormai scolpite nella pietra: lei denuncia – magari dopo mesi o addirittura grazie a qualche incontro di sensibilizzazione a scuola, come nel caso del ragazzino di 14 anni travolto dall’accusa di violenza sessuale per due goffi approcci senza seguito, scatenata solo dopo il classico evento sul tema della “violenza di genere” – e per l’uomo scattano istantaneamente restrizioni, arresti domiciliari, allontanamenti, braccialetti elettronici e il pubblico linciaggio. Un altro esempio? Il caso eclatante dell’uomo accusato di violenza e maltrattamenti dalla moglie, alla fine assolto: aveva subito misure cautelari e il divieto di vedere la figlia per anni, per accuse tragicomiche smentite persino dai referti dei carabinieri. Dietro la deriva di ogni caso assurdo rimane la stessa cicatrice: la denuncia infondata entra nelle statistiche nazionali delle «violenze di genere», alimentando una narrativa isterica che serve solo ad incattivire la società e rendere la vita degli uomini un inferno a prescindere dai fatti. Così i numeri crescono e la propaganda gender-oriented tiene il passo.

uomo manette, repressione, deriva giudiziaria

Dietro la deriva: statistiche falsate e sistema sbilanciato

Basti vedere la frequenza con cui un uomo viene assolto in aula dopo un lungo calvario mediatico e giudiziario: è successo all’uomo accusato di maltrattamenti dall’ex compagna, assolto con formula piena, ma la sua presenza in statistiche e percezione sociale resta quella del “maltrattante”. E se si guarda nei dettagli di questa deriva, i tribunali riconoscono sempre di più la «natura conflittuale» e l’assenza di reati effettivi, come nel caso dell’uomo condannato in primo grado e poi assolto su richiesta della stessa procura. Se invece tocchi il tema delle accuse femminili non supportate da fatti concreti, le reazioni oscillano dal cieco silenzio della stampa (emblematico l’intero articolo di LatinaTu sulle assoluzioni per stalking e minacce, dove i cronisti si eclissano quando arriva la sentenza di assoluzione) al sarcasmo giudiziario: vedi il giudice che, nonostante la querelante neghi di fronte ai testimoni qualsiasi esposizione dei figli, “decide” che la violenza assistita c’è comunque, perché lo dice lui. Parte di questa deriva è la facilità con cui si utilizzano le accuse come strumento di controllo, vendetta o guadagno, come nel caso della separazione da “gold-digger” con denuncia lampo per maltrattamenti prontamente smontata in aula. E accanto ai casi familiari non manca il solito plotone di medici, professionisti e perfetti sconosciuti accusati ex post, spesso in cerca di un risarcimento o di un tornaconto immediato, come nel processo contro un ortopedico assolto con trasmissione degli atti per calunnia alla denunciante.

E anche se questa deriva riguardasse solo rapporti burrascosi – molto spesso è così – è chiaro che il peso della legge e della società pende sempre e solo da una parte. Ricordatevi che la valanga di false accuse non intasa solo il sistema giudiziario e distrugge vite di uomini spesso innocenti, ma produce anche misure cautelari immediate e irreversibili, come i domiciliari e l’allontanamento dai figli (caso perfettamente esemplificato dall’uomo finito ai domiciliari perché creduto violento in base a una narrazione che pure i figli hanno smentito). Questa follia procedurale non riguarda solo le coppie: tra i casi dell’ultima settimana anche il figlio accusato di maltrattamenti alla madre anziana, assolto con formula piena, e persino chi ha atteso quindici anni di processo prima di essere scagionato dalle solite accuse di violenza e rapina come nei processi per violenza sessuale poi ribaltati in appello. Davvero crediamo sia giusto perseverare in una visione giudiziaria e sociale a senso unico, dove la sola voce che conta è quella “dalla parte giusta”? Lasciamo allora la domanda aperta: non è forse questa la vera discriminazione strutturale di sistema, ormai radicata nella deriva antimaschile della nostra cultura? Invitiamo i lettori a consultare altri casi e approfondimenti su LaFionda.com e sull’Osservatorio Statistico, dove emerge finalmente la verità dietro la mistificazione mediatica delle statistiche sulla cosiddetta «violenza di genere».



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