Questo recente articolo dell’ANSA potrebbe essere reintitolato: “Lamentificio all’opera, la statistica al servizio dell’ideologia. Ovvero: come manipolo i numeri per dimostrare ciò che voglio”. Si parla di un rapporto prodotto da “Save The Children”, che a ben guardare è un perfetto esempio, spiegato facile facile, di come si costruisce una lamentela gender oriented. Primo. Si prende in considerazione una fascia d’età molto ridotta (25-34 anni), quella più funzionale a validare la teoria vittimistica, escludendo tutte le donne dai 35 ai 65 anni quindi quelle realizzate professionalmente ed economicamente in settori altamente qualificati (e remunerati) come avvocatura, magistratura, medicina, giornalismo, finanza, imprenditoria, eccetera. Secondo. Si tira in ballo il divario salariale – vale a dire l’immancabile gender pay gap – colossale menzogna secondo la quale a parità di qualifica, mansioni, anzianità di servizio ed ore lavorative, quindi a parità di rendimento, ogni donna inquantodonna sarebbe pagata meno dei colleghi uomini. Non ci dilunghiamo oltre, innumerevoli volte abbiamo dimostrato la menzogna alla base di tale assunto.
Terzo. La strepitosa rivelazione del rapporto Save the Children è che il 92% dei padri lavora. Le madri invece sono vittime della child penalty, ennesimo neologismo anglofono per rendere più credibile una bufala. «Poco più di una mamma su due lavora, dunque è tra le categorie più a rischio di povertà», recita l’articolo. “Poco più” del 50% lascerebbe intendere il 50 virgola qualcosa. Non proprio: il report dice che lavora il 68,9% delle donne senza figli, il 65,6% di chi ha un figlio minore, il 60,1% con due figli o più. Ancora: «Dai dati si evince che mentre gli uomini con figli sono più presenti nel mercato del lavoro degli uomini senza figli, per le donne avere figli è associato a una minore occupazione lavorativa. ll 20% delle donne smette di lavorare dopo essere diventata madre». Beh, si evincono anche altri aspetti tutt’altro che trascurabili, sui quali però il report distrattamente sorvola. Ad esempio il fatto che nella maggior parte dei casi si tratta di una scelta condivisa da entrambi, padre e madre, quella di cambiare le abitudini di vita con l’arrivo dei figli. Scelta dettata da un pratico raziocinio e non certo dall’oppressione patriarcale del maschio/bianco/etero: la donna preferisce occuparsi della prole invece di prendere due spicci lavando le scale o lavorando al call-center e poi darli tutti alle babysitter che gestiscono i pargoli.
Madri sole ma mantenute da chi?
Tutto ciò avviene però solo per i redditi più bassi quindi la questione è di classe, non di genere. Non c’è traccia, infatti, di donne realizzate nella carriera notarile, politica, giudiziaria, giornalistica o artistica alle quali convenga lasciare il lavoro all’arrivo del bebè. Ecco perché non è funzionale al lamentificio comprendere nel report le 40-45enni e oltre che in vari campi possono considerarsi “arrivate”. Samantha Cristoforetti, Vittoria Brambilla, Annamaria Bernardini De Pace ed Emma Marcegaglia (tutte felicemente madri) sono solo le prime che vengono in mente, ma vi sono migliaia di anonime professioniste, manager e imprenditrici (tralasciando le influencer alla Chiara Ferragni) che mai si sognerebbero di lasciare l’attività lavorativa per trascorrere le mattinate al parco con il passeggino. Inoltre la famiglia monoreddito, strutturata dall’inizio o divenuta tale in seguito alla nascita della prole, vive esclusivamente sulle entrate garantite dall’uomo che si spacca la schiena nelle fabbriche, nei campi, nei cantieri o in ufficio per portare il pane a casa. Quello che lavora per il bene comune insomma, non per soddisfare la propria autonomia e che Save The Children tranquillamente ignora.
Quarto. «Negli anni, le famiglie composte da un solo genitore con figli – sono passate da circa 2 milioni 650mila nel 2011 a oltre 3 milioni 800mila nel 2021, segnando un incremento del 44%. Il 77,6% delle famiglie monogenitoriali è costituita da madri sole con i propri figli». Oggi quindi, secondo una stima prudente, dovremmo avere in Italia oltre 4 milioni di famiglie monogenitoriali. Un aspetto che il report di Save The Children trascura è lo stato civile delle madri sempre più sole e penalizzate, come recita il titolo. Milioni di ragazze-madri, abbandonate sull’altare quindi sole e penalizzate? Non è così, la maggior parte dei nuclei monogenitoriali madre-figli sono costituiti da donne separate o divorziate, alle quali il tribunale assegna l’abitazione familiare in uso gratuito ed un assegno mensile composto da due voci: per l’ex coniuge e per i figli. L’assegno per l’ex coniuge viene meno qualora la donna goda di autonomo reddito più o meno analogo a quello dell’ex marito; quando i redditi sono vistosamente sproporzionati interviene comunque il tribunale a compensare poiché – principio giuridico controverso ma duro a morire – l’uomo deve garantire all’ex moglie lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Tale privilegio viene spesso preteso anche dalle donne separate senza figli, ma questo è un altro discorso.
I soliti esclusi.
Poi ci sono le madri vedove, categoria tutt’altro che esigua poiché purtroppo, dati INAIL, oltre 1.000 operai ogni anno perdono la vita lavorando per mantenere la famiglia. Pur con tutto il dolore di vedova ed orfani per il vuoto incolmabile lasciato da chi non tornerà più a casa, l’aspetto economico sembra il meno preoccupante. TFR, pensioni di reversibilità, assicurazioni e indennizzi vari possono allontanare la preoccupazione di mettere la pentola sul fuoco. Infine ci sono le madri VIP che decidono di procreare senza la fastidiosa incombenza di doversi accoppiare con un uomo, tipo Gianna Nannini o Carmen Consoli. Beh, sono scelte che possono permettersi solo fasce di reddito privilegiate; dal punto di vista statistico sono in effetti madri single, ma appare impossibile definirle sempre più sole, penalizzate e a rischio povertà. Interessante la chiosa: «Le madri sole con figli sono attualmente una delle tipologie familiari più esposte al rischio di povertà». Una delle tipologie familiari più esposte… d’accordo, ma le altre quali sono? Il report di Save The Children non le cita, meglio sorvolare altrimenti c’è il rischio che vi sia la necessità di parlare di uomini cassintegrati, licenziati, senza fissa dimora o messi sul lastrico da una separazione.