Sul massacro di Alessandro Venier imperversano strategie incrociate per deresponsabilizzare le assassine, colpevolizzando la vittima. Vi prendono parte un po’ tutti, dalla stampa cartacea a quella digitale, dai notiziari TV ai soliti esperti presenzialisti, con l’immancabile tracimazione sui social degli Sherlock Holmes da operetta della serie “a-me-non-la-si-fa-perché-io-ho-capito-tutto”. Un esempio fra tanti, due sere fa al TG5: «Un piano messo a punto con la compagna del figlio che da mesi le chiedeva di eliminarlo, stanca delle botte e delle intemperanze del compagno, affetto da disturbi psichici». E ancora: «Un quadro familiare, come hanno appurato gli investigatori, di grande disagio, tensioni e violenze quotidiane». Se non fosse che gli investigatori non hanno “appurato” un bel niente. Appurare ha un significato ben preciso: significa accertare, verificare, avvalorare un’ipotesi con prove certe. Gli inquirenti hanno raccolto le dichiarazioni dell’assassina, versione ovviamente unilaterale non solo dei fatti ma soprattutto del pregresso nel quale i fatti sono maturati. Non ci sarà contraddittorio, l’orco accusato di quotidiane violenze è stato fatto a pezzi. Letteralmente.
Nel linguaggio giornalistico fioccano sempre i “pare”, “sembra”, “probabilmente”, poiché commentando indagini ancora in corso i dubbi sono un obbligo. Oggi no, per i giornalisti ci sono solo certezze. Anzi, una certezza: era il morto a brutalizzare le assassine. Che Alessandro fosse affetto da disturbi psichici salta fuori solo ora. Insinuazioni avvalorate da quali fatti? Si sta scavando nel passato per racimolare qualcosa di cui accusarlo, ma non sono emersi referti medici, TSO, ricoveri in strutture psichiatriche, terapie farmacologiche, percorsi terapeutici. Niente. C’è una persona seguita dal centro di salute mentale e in terapia farmacologica per depressione post partum, ma è Mailyn e a carico di Alessandro niente. Niente. Per quanto riguarda le ventilate violenze quotidiane non esistono interventi di Polizia o Carabinieri, denunce, codici rossi, misure cautelari, nemmeno accessi al pronto soccorso delle sedicenti vittime mascherati da incidenti domestici. Niente. Anzi, nell’immediatezza dei fatti l’avvocato De Nardo ha tenuto a precisare che nella prima confessione della sua assistita ai carabinieri “non è stato riferito di una particolare lite scatenante”.

Le tante retromarce su Alessandro.
Dello stesso tenore le testimonianze dei vicini: «viveva con la madre e la compagna in un’abitazione apparentemente tranquilla. Le testimonianze raccolte nel vicinato descrivono una famiglia riservata, che non aveva mai dato segnali di tensioni gravi». E ancora: «I vicini di casa raccontano di un uomo tranquillo: spesso lo si vedeva passeggiare per le vie del paese con la compagna e con la loro figlia». Poi però diventa conveniente parlare di violente aggressioni quotidiane; descrivere un clima di angoscia e terrore affievolisce un po’ la posizione delle assassine. Tanto il morto non può smentire. Ancora il TG5: «Quando la madre di Alessandro ha minacciato di denunciarlo, il figlio le avrebbe sferrato un pugno. Poi quella frase rivolta alla compagna: “ti porto in Colombia e ti annego nel fiume”. L’intenzione di Alessandro sarebbe stata quella di fuggire e portare con sé la bimba di 6 mesi, così l’idea delle due donne di ammazzarlo».
Secondo il TG5 Alessandro stava progettando una specie di sottrazione internazionale: voleva fuggire (il verbo utilizzato è significativo) in Colombia con la figlia. È falso, voleva trasferirsi con tutta la famiglia. Mailyn era al corrente del progetto e non era affatto terrorizzata all’idea di tornare in Colombia, né temeva per la propria incolumità personale come da più parti si vuol far credere. L’avvocato Tosel: «Quando le ho chiesto se era contenta di andare in Colombia mi ha risposto di sì, che ci sarebbe andata con la bambina». Però oggi diventa funzionale alla costruzione del mostro oppressore e patriarcale l’insinuazione che volesse fuggire da solo con la bambina, strappandola quindi all’affetto di madre e nonna. Sempre il TG5: «La Procura ha chiesto la custodia cautelare in carcere per omicidio volontario aggravato; il GIP si è riservato di decidere, ma ha già disposto la perizia per valutare la capacità di intendere e volere della donna al momento dei fatti». Ecco fatto, è in arrivo la perizia salvifica. Lorena Venier è descritta da tutti come una donna perfetta, madre amorevole capace di crescere il figlio da sola in assenza del padre, scrupolosa, efficiente ed apprezzatissima sul lavoro da colleghi e superiori, accogliente con la nuora venuta dall’estero, innamorata della nipotina.
Già pronta la perizia salvifica.
Però potrebbe aver perso la capacità di intendere e volere proprio alle 19,30 del 25 luglio, quando ha iniziato insieme a Mailyn a mettere in atto il piano criminale (Lorena stessa lo definisce “piano”, ancora dubbi sulla premeditazione?) con i medicinali sciolti nella limonata, poi le due iniezioni di insulina, poi il tentativo di soffocamento con un cuscino, poi lo strangolamento con i lacci delle scarpe, poi lo smembramento del cadavere avvolto in un lenzuolo per non sporcare, poi la sepoltura nella calce viva preventivamente acquistata online per accelerare il processo di decomposizione, quindi il trasporto in montagna dei resti “consumati” per esaudire la volontà del figlio che voleva essere sepolto tra i monti. «Pensavo che con il tempo si sarebbe consumato. Successivamente lo avrei portato in montagna per abbandonarlo lì, dove lui diceva che voleva fossero destinate le sue spoglie». Solo l’ultima parte del piano non è andata a buon fine poiché Lorena è lucida, fredda e determinata ma Mailyn no: ha un crollo emotivo e chiama il 112 per confessare. Alessandro non ha collaborato, proprio non voleva morire, il piano criminale è durato sei ore tra omicidio e smembramento. Ma ora bisogna vedere se Lorena non sapeva ciò che stava facendo, e soprattutto se addossare colpe al morto si rivelerà utile ad affievolire le colpe delle assassine.