Sui media questa settimana è uscita una storia drammatica che a partire dal privilegio materno, parla di violenze, umiliazioni e persecuzioni protratte per tutta l’infanzia e l’adolescenza ai danni di un bambino, oggi divenuto un uomo problematico. L’aspetto più rilevante è che le persecuzioni del ragazzino si sarebbero potute evitare, se solo i tribunali non fossero inquinati da condizionamenti ideologici antimaschili in generale ed antipaterni in particolare. L’articolo parla, tra le altre cose, delle “menzogne della mamma in ospedale e in tribunale. Due volte le botte sono state tanto forti da costringere la donna a portare il figlio all’ospedale Grassi di Ostia. Il ragazzo, sanguinante e coperto di lividi, era stato rapinato da dei bulli, diceva la donna. Lui assisteva alle menzogne della madre e ai medici che le credevano. Come a lungo hanno fatto i giudici. Il padre, accortosi di quello che succedeva in casa, ha iniziato una battaglia legale per l’affidamento del figlio. I procedimenti civili avviati dall’uomo sono durati 15 anni fino alla sentenza della Cassazione che gli ha dato ragione. Ma a lungo la donna è riuscita a convincere le autorità che andava tutto bene”.
La maternal preference, appunto il privilegio materno, è dura da sradicare. Il padre è da tenere ai margini poiché la mamma è il genitore “migliore” per antonomasia. Lo è sempre, qualsiasi cosa accada prima, durante e dopo la separazione. La diade madre-figlio è inscindibile, anche solo mettere in discussione il principio viene considerata una intollerabile invasione del terreno altrui. Se un uomo denuncia l’incapacità genitoriale materna, l’inadeguatezza, le violenze, le menzogne e i danni psico-fisici infitti ai figli non viene creduto, deve scontrarsi con diffidenza e scetticismo di tutti (polizia, carabinieri, assistenti sociali, consulenti, procure, tribunali) poiché serpeggia la convinzione che esageri o inventi del tutto le violenze subite dal figlio. La molla scatenante è la vendetta, o l’invidia o il rancore per la separazione o un insieme di tutto, comunque è un padre che vuole fare del male alla madre togliendole il figlio.
Un privilegio duro da sradicare
Non è ammissibile che un padre intenda proteggere la prole; quella protettiva, accudente e premurosa può essere solo la madre, quello è il suo privilegio, quindi il padre non viene creduto. Non può voler tutelare il figlio, c’è sempre il sospetto che sotto ci sia altro. Quindi lei mente per coprire le proprie violenze, ma quello che non viene creduto è lui. Chi attiva gli strumenti previsti dalla legge sa di intraprendere un percorso in salita, in questo caso ci sono voluti 15 anni per riconoscere che il padre non mentiva, che il suo allarme era fondato e la preoccupazione era genuina, che il figlio è stato sempre vittima delle violenze materne.
Ora è tardi per riconoscerlo, Giovanni ormai ha 33 anni e, dice l’articolo: “ha sopportato in silenzio per tutta la sua infanzia e adolescenza, sviluppando, però, problemi relazionali da cui si sta tirando fuori a fatica”. Oggi è un uomo segnato dai traumi causati dai prolungati comportamenti materni, dai quali il padre ha provato a liberarlo senza però riuscirvi in tempo utile perché nessuno gli ha creduto. Quanti pregiudizi ideologici antipaterni condizionano per sempre la vita dei figli a causa del privilegio materno? Quanto Giovanni ci sono? Quanti Lorenzo? Quanti Simone, Giulio, Elena, Erik, Donatella, Bianca, Daniele… Quanti ?