Il gruppo Facebook “Mia moglie“, poi il forum “Phica“… Ormai cose superate in cronaca, quindi è possibile parlarne a freddo. E a freddo ho un solo termine: sciacallaggio. Non trovo altra parola per definire l’ondata d’odio ideologico vomitata contro l’intero genere maschile. Web, social e giornali si sono riempiti di maestrine e solerti maestrini che dispensavano insegnamenti su come gli uomini devono comportarsi. Gli uomini si devono vergognare. Gli uomini devono essere rieducati. Gli uomini sono tutti da rifare. Il gruppo “Mia moglie” è ovviamente condannabile da qualsiasi persona di buonsenso, prova ne sia che ha raccolto critiche corali ed è stato velocemente cancellato. Ma va detto che vi aderiva lo 0,1% della popolazione maschile; la stragrande maggioranza degli uomini italiani è fatta di persone che amano, rispettano e proteggono mogli, figlie, compagne. Per gli sciacalli accecati dall’odio antimaschile, però, siamo da rieducare tutti, anche le decine di milioni di uomini che non si sognerebbero mai di iscriversi a un siffatto gruppo di imbecilli.
La colpa “di genere” è una costante. Un assassino uccide la moglie e sono colpevoli tutti gli uomini, quelli che non riconoscono di essere colpevoli sono parte del problema. Un immigrato stupra la ex compagna e sono colpevoli tutti gli uomini, quelli che non riconoscono di essere colpevoli sono parte del problema. Uno spacciatore sfregia la tossicodipendente che non paga le dosi e sono colpevoli tutti gli uomini, quelli che non riconoscono di essere colpevoli sono parte del problema. Ora un maiale posta le foto della moglie e sono colpevoli tutti gli uomini, quelli che non riconoscono di essere colpevoli sono parte del problema. Tutti dobbiamo vergognarci, tutti dobbiamo chiedere scusa, tutti dobbiamo pentirci di essere cronicamente patriarcali, tutti dobbiamo cospargerci il capo di cenere. Non ci sto.
La responsabilità è sempre individuale.
Io rivendico il diritto di non dovermi cospargere il capo di cenere per colpe altrui. Condanno fermamente i deficienti del gruppo incriminato così come i frequentatori del forum “Phica”, ma mi sono sinceramente rotto il cazzo di sentirmi umiliato, denigrato e accusato di ogni nefandezza in-quanto-maschio-bianco-etero-figlio sano del patriarcato. Si tratta per altro dell’ultimo anello di una catena infinita, una sequela ininterrotta di accuse tanto sfacciatamente ideologiche quanto sistematicamente unidirezionali. Nessuno ha mai chiesto a tutte le donne di pentirsi e vergognarsi per ciò che ha fatto Alessia Pifferi, o chiedere scusa per ciò che ha fatto Veronica Panarello, o di assumersi le colpe di Valentina Boscaro, Martina Patti, Rosanna Oliviero, Adalgisa Gamba, Deborah Sciacquatori, Susanna Recchia, Caryl Menghetti, Vera Schenone, Daniela Serreli, Stella Boggio, Melissa Russo, Silvana Sfortuna, Adilma Pereira, Edlaine Ferreira, Rosa Mancuso, Elena Pagani, Elena Scaini, Sara Del Mastro, Rosa Capuano, Salvatrice Spataro, Monica Crescentini, Addolorata Cuzzi, Patrizia Coluzzi, Nadire Kurti, Dana Nicoleta Chita, Agostina Barbieri, Elona Kalesha, Mioara Bascoveanu, Monica Milite, Scilla Bertini, Alessandra Galea, Cinzia Dal Pino, Elisabetta Bacchio, Laura Lupo, Carmela e Rosalba La Placa, Maria Ripalta Montinaro, Sonya Caleffi, Manila Dolciami, Luana Cammalleri, Gesonita Barbosa, Barbara Pasetti, Melina Aita, Laura Paoletti, Sandra Fratus, Hanane Ben Sabeur, Irma Forte, Vania Bonvicini, Liliana Barone, Angelika Hutter, Laura Taroni, Soccorsa Marino, Monia Bortolotti, Rosa Della Corte, Ilaria Sturiale, Raffaella Ragnoli, Nunzia Mancini, Miranda Birsa, Lucia Finetti, Tiziana Mirabelli, Carla Grazia, Vanda Grignani, Mary Patrizio, Giulia Stanganini, Annamaria Geraci, Clementina Fumo, Fausta Bonino, Giulia Lavatura, Elena Perotti, Clara Sannini, Giulia Cocco, Alessia Di Pancrazio, Loredana Graziano, Rosa Comito, Chiara Petrolini, Lorena Venier o le mille altre che accoltellano, sparano, avvelenano, sfregiano, aggrediscono, feriscono e uccidono mariti, padri, fidanzati e figli. La colpa è individuale, non di tutte le donne. La maggioranza sana del mondo femminile non può e non deve essere gravata dalle colpe della minoranza deviante. Per gli uomini invece si può, anzi, si deve.
Ogni uomo è diventato il punching ball dell’odio femminista più feroce: l’intero universo maschile è bersaglio di criminalizzazioni, accuse, recriminazioni e insulti continui; per ogni attacco schivato ne arrivano altri 100 da ogni direzione, con le fonti politiche e mediatiche in prima fila. Di contro, ogni vittima maschile è sempre un caso isolato, anche se i casi isolati si ripetono a centinaia ogni anno. C’è un accanimento cronico nel rifiuto di riconoscere la trasversalità della violenza, l’emergenza sociale deve essere a sesso unico. Questa è la vera vergogna che nessuno vuole vedere, specie nella gestione mediatica della cosa. Impossibile non notare come gli stereotipi e i qualunquismi dozzinali utilizzati per bacchettare il maschile, mascherandoli da sottile analisi sociologica, si applichino perfettamente a un vastissimo mondo femminile che imperversa sul web. La propaganda ideologica antimaschile si rivela un’arma a doppio taglio, certa poraccitudine rosa ne è l’incarnazione perfetta. Provare per credere.
Se cambi i fattori di genere, il risultato non cambia.
Da una veloce googleata emerge una cascata di siti ed app di incontri: Tinder, Instagram, Badoo, Meetic, Ourtime, Bumble, Lovoo, OkCupid… Le foto proposte sono esche, si pesca a strascico, qualcosa dal mucchio verrà fuori. Non proprio immagini monacali ma abbondanza di mercanzia da esibire, vanità, velleità da red carpet da parte di un esercito di fotomodelle all’amatriciana, offerte più o meno esplicite mascherate però dai vertici di ipocrisia di chi specifica “non cerco nulla, sono qui solo per curiosità”. I profili personali non sono da meno, anche fuori dai siti di incontri imperversano selfie iperfiltrati, bocche a culo di gallina, sguardi rapaci, scollature acchiappalike, pose da tigri del materasso, acrobatiche torsioni allo specchio per mettere sempre le ciapét in primo piano. E sotto una bella frase di Neruda, fingendo di voler essere apprezzate per la cultura. Oppure le over 50 truccate come Moira Orfei e ritoccate da filtri siamotuttefighissime – quando non da botulino e silicone – che aggiungono con adolescenziale candore: “semplicemente io”. Tutto lecito, per carità, un po’ triste ma lecito, tuttavia viene da ridere rileggendo i proclami diffusi sui media a seguito delle vicende emerse di recente dal web.
Si parla (cito da uno dei tanti articoli) di «sistema di validazione pubblica che trasforma l’intimità privata in contenuto per sconosciuti». Ok, ma non calzerebbe a pennello anche a tutte le autodefinite milf e cougar a caccia di toyboy, quelle che spendono una fortuna in lingerie affinché la selfiemania nasconda un po’ di smagliature? Oppure: «tanti sé alla ricerca ossessiva di una certificazione collettiva della propria maschia virilità». Istruzioni per l’uso: sostituire maschia virilità con femminea vanità, il risultato è lo stesso. E ancora: «come documento probatorio del mio valore di uomo sul mercato della virilità». Non suona bene anche “mio valore di donna sul mercato della femminilità”? Inoltre: «per costruire un’identità ha bisogno del timbro della massa, del branco, della corrente per sostituire l’elaborazione personale del sé con l’attesa del verdetto degli sconosciuti, di più sconosciuti possibile». Beh, il verdetto degli sconosciuti, anzi, di più sconosciuti possibile, è l’essenza stessa dei social usati come vetrina: like, cuoricini e complimenti vietati ai diabetici sono l’obiettivo principe delle esibizioniste del web. Io valgo nella misura in cui vengo apprezzata, adulata, desiderata.
Pane per l’ego, buono per uomini e donne.
E ancora «dal sono bravo perché riesco, sono bravo perché conquisto al sono bravo perché gli altri me lo riconoscono». Vale solo per gli uomini? Con “brava” non vale? Già, forse è meglio “sono bella perché gli altri me lo riconoscono”. Fin qui siamo nella vanità esibizionistica gratuita, nella ricerca di apprezzamenti che facciano da anabolizzanti al proprio ego ridotto a brandelli dal confronto con lo specchio. Poi entriamo nell’esibizionismo a pagamento, il dorato mondo di OnlyFans. Qui il “sistema di validazione pubblica che trasforma l’intimità privata in contenuto per sconosciuti” è monetizzato, e pure parecchio secondo le vanterie delle sex workers più ricercate, quelle dicono di fare soldi non solo spogliandosi in cam ma anche incontrando i fans in albergo. Vogliamo parlare dei calippo-tour pubblicizzati orgogliosamente online? Insomma i social sono diventati un gran serraglio iliaco, qualcuno lo può negare? La differenza è nel consenso. Gli iscritti a “Mia moglie” pubblicavano immagini, sembra, all’insaputa delle dirette interessate. Chi zoccoleggia online, invece, è cosciente di farlo e pubblica le proprie immagini. A volte di 20 anni prima perché la vanità non ha confini, ma non stiamo a guardare il capello… Comunque aspetterei novità dalla Polizia Postale. Non mi stupirei se saltasse fuori che buona parte delle “povere vittime” erano perfettamente consapevoli e quindi partecipavano attivamente al gioco. Non dimentichiamo che in Italia esistono centinaia di club di scambisti, quella di ricevere attenzioni da sconosciuti col consenso del proprio partner è una realtà esistente da anni. Anzi è già provato che una parte dei profili fossero di donne iscritte con un falso nick maschile, dicono loro «per controllare che le loro foto non fossero pubblicate nel gruppo». Ma chi ci assicura che non fosse invece per pubblicare le proprie immagini o per promuovere sé stesse e raccogliere commenti piccanti, gratificanti, eccitanti, pane per il proprio ego?