Ripetiamo ancora una volta un chiarimento già fatto in più occasioni, ma evidentemente ignorato da molti: non abbiamo alcuna intenzione di entrare in competizione per stabilire quale sia il genere più “cattivo”. I dati che archiviamo non servono certo per controbattere sui social alle provocazioni che criminalizzano la figura maschile in generale e la figura paterna in particolare. Sentiamo la necessità di ribadire che l’analisi della violenza a 360 gradi ha il solo obiettivo di colmare un clamoroso vuoto istituzionale: non è vero, come ci vorrebbero far credere, che l’unica forma di violenza esistente sia quella unidirezionale degli uomini contro le donne. Non significa negare la violenza subita dalle donne – accusa mossa con costanza dai nostri più feroci denigratori – ma dire semplicemente “esiste, ma c’è anche altro”. E dimostrarlo con una casistica inattaccabile. Esiste, ed è gravissimo che esista, la violenza agita da alcuni uomini a danno di alcune donne, ma è falso che tutti gli uomini siano carnefici e tutte le donne siano vittime. È una generalizzazione razzista, tendente a colpevolizzare l’intero genere maschile per le efferatezze compiute da una sparuta minoranza. Ma nessuno lo dice, soprattutto nelle aule parlamentari. Sarebbe folle, sia in Parlamento che sui media, sostenere che tutti gli immigrati sono delinquenti poiché alcuni nigeriani vengono in Italia per far prostituire le donne, alcuni tunisini vengono in Italia per spacciare droga, alcuni magrebini vengono in Italia per stuprare, alcuni cinesi vengono in Italia per riciclare il denaro sporco della Yakuza. Allo stesso modo sarebbe folle sostenere che tutti i preti sono pedofili, tutti i romani sono ladri, tutti i napoletani sono truffatori, tutti i siciliani sono mafiosi. Si alzerebbe un coro: razzismo, intollerabile razzismo!
Invece è proprio un intollerabile razzismo che emerge analizzando la pluriennale crociata antimaschile: gli uomini italiani, tutti, devono essere rieducati; gli uomini italiani, tutti, sono figli sani del patriarcato; gli uomini italiani, tutti, devono scusarsi di essere uomini in occasione di ogni femminicidio poiché sono pericolosi oppressori, violenti, stalker, maltrattanti e quindi potenziali femminicidi. Tutti in blocco, nessuno escluso perché il patriarcato è “strutturale”, la mascolinità tossica è “di sistema”, la cultura italiana è “patriarcale” e tutti gli odiati maschi italiani sguazzano felici nello sport nazionale che non è il calcio ma l’oppressione di genere. La narrazione dominante – politica prima ancora che mediatica – propaganda tali mantra incessantemente da anni, specie sui social, con l’effetto di costruire un allarme artificiale dal quale far nascere l’esigenza di norme sempre più restrittive per il genere maschile, di contromisure istituzionali sempre più selettive a favore solo delle donne e di finanziamenti sempre più ingenti per la premiata ditta Antiviolenza s.r.l. La verità è diversa: la violenza domestica è un fenomeno ampio e complesso che prescinde dal genere di autori e vittime. Nel condannare fermamente la violenza maschile, la collettività non può esimersi dal considerare anche il lato oscuro (o oscurato?) della luna, quegli aspetti della violenza femminile costantemente e inspiegabilmente sottaciuti. Attribuire alla violenza l’esclusività, circoscrivendola a un solo sesso, significa compiere una discriminazione di genere molto più prossima all’accanimento ideologico che alla piena consapevolezza della realtà che ci circonda. Insomma, occorre ribadire un concetto: l’enorme lavoro che c’è dietro al nostro Osservatorio statistico serve ad una analisi sociale che possa allargare una consapevolezza collettiva ammaestrata da media e politica, non certo a fornire argomenti per litigare sui social network.

Basta sterili liti sui social!
Una delle domande più frequenti che i follower pongono alla redazione e in privato ai singoli redattori è «si può sapere quanti maschicidi ci sono stati nel 2023? Sto litigando su un social con una tipa che mi snocciola i 120 femminicidi e le voglio sbattere i maschicidi nei commenti». Non ci siamo. Se lei ti dice che siamo tutti criminali, non serve risponderle che sono tutte criminali anche loro: è una scaramuccia rabbiosa e infantile da social, davvero non ci sono modi migliori per impiegare tempo e intelligenza? Inoltre chi abbocca acriticamente alla menzogna di un femminicidio ogni tre giorni non accetterebbe mai un confronto civile e documentato: l’obbedienza cieca al mainstream ha le caratteristiche di un fanatismo religioso secondo il quale il “mistero della fede” non viene scalfito da nessun ragionamento logico. Smettetela, vi preghiamo, di sollecitare un elenco delle donne assassine che non servirebbe a nulla, tanto le giustificazioni per le responsabili sono una ulteriore professione di fede del fanatismo religioso di cui sopra. La prova? Eccola:
La violenza femminile miete vittime tra uomini adulti, anziani e bambini ma anche donne. La deresponsabilizzazione però è dilagante, la donna che uccide non va in galera ma in un ospedale psichiatrico poiché deve essere capita, curata, sostenuta e non giudicata: è depressa o psichicamente instabile quindi non è responsabile delle proprie azioni, ha sofferto tanto quindi ci vuole una perizia per tirarla fuori dai guai, l’omicidio avviene per errore oppure “si è solo difesa” perché la colpa è sempre del morto, non di chi l’ha ammazzato. Emblematico l’ultimo caso di lite in famiglia (24/3, Carmiano): in casa vi sono solo marito e moglie, l’uomo viene trovato morto con un coltello conficcato nel cuore e i media parlano subito di suicidio. Anche in caso di riti satanici la deresponsabilizzazione femminile regna sovrana (Altavilla Milicia, 11/2): il marito tortura e uccide la moglie per liberarla dal demonio e la figlia 17enne tortura ed uccide i fratelli per lo stesso motivo, ma il padre è criminale e la figlia è vittima dell’ambiente familiare malato. Ci rendiamo conto che il problema è ideologico? Gli elenchi non servono a nulla, anche documentare 1000 uomini uccisi dalle donne a fronte di 100 donne uccise dagli uomini non sposterebbe di un millimetro la narrazione vittimista: gli uomini uccidono perché sono figli del patriarcato e quindi criminali, le donne uccidono perché devono difendersi. E questo è ancor più vero se si aggiungono i tentati omicidi, gli sfregi, gli investimenti e aggressioni di altro tipo:
Poi vi sono ulteriori aggiornamenti sui processi alle sorelle Ziliani che uccisero la madre e ad Alessia Pifferi che lasciò morire la figlia. La casistica purtroppo è ampia, ed è relativa ai soli primi tre mesi dell’anno. Tuttavia sarebbe sbagliato strumentalizzarla, squalificandola per sterili risse sui social. L’obiettivo è più alto, ed è istituzionale: chissenefrega di fragola86 che strepita «ha fatto bene» ogni volta che una donna uccide un uomo, chissenefrega della sequela di «era ora», «brava», «uno di meno», «sei tutte noi», e delle faccine sorridenti con le quali le disagiate del web si precipitano a commentare le notizie di vittime maschili. Un lavoro enorme ci aspetta, ed è quello di spingere i nostri miopi parlamentari a prendere atto del fatto che la violenza non è affatto “di genere”, le uniche ad essere realmente “di genere” sono le contromisure istituzionali.